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 2023  settembre 04 Lunedì calendario

Una giornata tra i bambini di Parco Verde

A Caivano tra i bambini che sognano di diventare carabinieri «contro i pedofili e la droga». I volti dei più piccoli, i sogni, le speranze. Tra chi resiste e chi ha paura: «Per adesso c’è mia mamma che mi protegge».
Stavolta la paranza dei bambini sta dalla parte giusta. Ha il sorriso un po’ sdentato di Sara, che strilla «mi voglio fare carabiniera!» e quasi sparisce, minuscola com’è, sotto un berretto con la fiamma. Ha la timidezza di Mimmo, che a nemmeno sette anni vorrebbe pure lui gli alamari «e la pistola», si capisce, soprattutto quella, «ma per difendere mamma e papà dai cattivi, eh». Ha la sorprendente saggezza di Simone, nove anni («ma ne dimostro quasi undici!»), convinto che la caserma sia «la casa di tutti», gli occhi già spalancati sul mondo sotto il ciuffetto biondo tinto: «I pedofili lo so chi sono! Quelli che rubano i bambini. Ho sentito alla televisione il fatto di Kata, la bambina sparita a Firenze, e il papà suo sta come un disperato! Così, quando qualcuno si avvicina, tengo paura, sì, lo so che può succedere anche qua. Però, per adesso c’è mamma che mi protegge, e da grande non avrò problemi, mi faccio militare».
O di qua o di là, insomma, così parrebbe in superficie: due mondi opposti con in mezzo il nulla di Caivano, uno scioglimento per infiltrazioni e tre sindaci commissariati in pochi anni, zero cinema, zero teatri e zero trasporti pubblici; il vuoto di prati stenti e pieni di siringhe; il buio sgarrupato dei palazzi di Parco Verde, zeppi di telecamere messe lì dai pusher a spiare le mosse di «guardie» e clan rivali, e popolati da seimila anime di cui mille delinquenti e cinquemila poveri cristi terrorizzati. Qui la resistenza, se esiste, ha giocoforza una divisa e la faccia dello Stato: che in certi posti, diceva Carlo Alberto Dalla Chiesa andando da solo in uniforme alla Vucciria, «deve essere visibile, perché l’arroganza deve cessare». L’arroganza della mafia, come quella della camorra, degli spacciatori, delle belve che si portano via i bambini.
Il «Bronx»
Eccoli allora attorno a noi i bambini della resistenza (con nomi di fantasia per ovvi motivi di tutela), alunni delle scuole Ciari, Milani, Cilea-Mameli-Rodari. Alcuni quasi coetanei delle vittime del Delphinia, altri appena più grandi dei due scriccioli volati giù una decina d’anni fa dalle «case di mattoni» dello Iacp, il «Bronx» a neanche cento passi da qua, Fortuna Loffredo e Antonio Giglio. Quando ammazzarono Fortuna dopo averla violentata, c’erano bambini che rifiutavano di dire alle «guardie» persino il nome dei genitori, «io non ci parlo con te». Quando morì in un incidente il magistrato che indagava sul caso, a Parco Verde festeggiarono coi mortaretti. Qua c’era «il discount dei clan», ha scritto Roberto Saviano, perché anche un killer era più pezzente e dunque più a buon mercato.
Adesso li troviamo in caserma, i bambini, con mamme e maestre al seguito. Una dozzina, non molti, non ancora. Ma è un segno. Sono queste le famiglie di Parco Verde raccolte attorno alla parrocchia San Paolo di don Maurizio Patriciello, tra le pochissime a sfilare con coraggio martedì scorso nel corteo di solidarietà per le cuginette violentate al centro sportivo diventato discarica di corpi e anime. Sono venute a trovare i carabinieri in via Frattalunga, nella vecchia tenenza che da un anno è diventata compagnia: più uomini e mezzi per la «guerriglia quotidiana». Perché la guerriglia, certo, si vince nelle piazze dello spaccio, che sono poi gli appartamenti di Parco Verde occupati abusivamente dai guaglioni del Sistema, con gli altri inquilini che devono chiedere a loro il permesso per entrare e uscire dal portone, come ostaggi. Ma si comincia a combattere assai prima, nei cuori e nelle menti. Servono modelli, qualcosa di diverso da Genny Savastano. Serve «lavoro sociale per avvicinare la gente alle istituzioni», mi spiegava Teo Luzi, il comandante generale dell’Arma, qualche giorno addietro, per «dare segnali di fiducia agli italiani».
E accanto alla voragine umana di Parco Verde s’è creato in effetti un poderoso asse della fiducia che passa dalla parrocchia alla caserma dei carabinieri, secondo il più canonico degli archetipi nazionali reso pop dalla saga di Don Matteo. Da un anno la compagnia ha un giovane comandante simbolico sin dall’aspetto: un metro e novanta e passa, barbone nero, Antonio Cavallo ricorda un po’ una vecchia pubblicità della Ferrero («Gigante, pensaci tu») ed è diventato il beniamino dei bambini, colui che prima ancora di arrestare i delinquenti li scaccia dai loro incubi. L’interruttore l’ha fatto scattare Patriciello, una passione per i media forse inferiore solo a quella per le Scritture, tanto buonsenso da rifiutare la trita etichetta di «prete anticamorra» («il Vangelo è amore, la camorra è odio, non c’è bisogno di definizioni»), tanto pragmatismo da chiedere a Cesare ciò che Cesare sa di dover dare («sono previsti in organico sessanta vigili urbani, ne abbiamo solo dieci…»).
Eroi
Un anno fa don Maurizio ha deciso di fare incontrare i bambini della parrocchia con Cavallo. «Chiamatemi Antonio», ha detto lui. «Cosa mangi per essere così alto?», «Andavi bene a scuola?», «Sai usare la pistola?», hanno chiesto loro. Un piccoletto di cinque anni l’ha abbracciato: «Ti conosco, sei venuto a casa mia e hai portato via il mio papà». Ci sono manette sacrosante, che liberano i più deboli. Da allora i bambini a Carnevale non si vestono semplicemente da carabiniere, che già sarebbe un bel salto in questi paraggi, ma da «Capitano Cavallo». I più grandi, quelli dell’Istituto Morano (da dove la preside Eugenia Carfora si batte ogni giorno per strappare ragazzi alla strada), hanno fatto una statuetta da presepe con la sua faccia e gli hanno regalato una zamia, la pianta di Padre Pio, «che cresce bene anche in posti difficili». Lui è entrato nel loro immaginario, sono connessi. Ed è così anche adesso, in caserma, con Mimmo che gli si stringe alle gambe, Sara che gli chiede il berretto in prestito, i ragazzi della «seconda generazione cresciuta con don Patriciello» tutti attorno. Il capitano, figlio e nipote di carabiniere, ha introiettato dalla nascita il codice dell’Arma che sconsiglia gli eccessi di protagonismo, e scuote la testa: «Gli eroi qua sono loro che riescono a resistere. Non c’è solo il problema dello spaccio, è il giorno per giorno: la sfida, è vivere qua in mezzo».
Il muretto
Il suo comandante provinciale, Enrico Scandone, generale torinese con radici campane, non mi cita i pur molti arresti della compagnia (223 in tredici mesi) ma il recupero dell’aiuola all’ingresso di Parco Verde, «era diventata una discarica, è un bel segnale». Michel Rocard sosteneva nel famoso «discorso del pianerottolo» che per salvare una banlieue bisognasse cominciare riparando le cassette delle lettere. Cavallo, appena insediato, ha fatto abbattere il muretto che i clan avevano eretto in piazza per onorare i loro guaglioni prigionieri, un mattoncino per ogni arrestato. Segnali, in questa guerra tra mondi che, a guardar meglio, tanto separati poi non sono. Adriano Police, 21 anni, aiutante di Patriciello e studente universitario, mi spiega come qui più che altrove «un incontro ti può salvare la vita, un altro te la può rovinare… ma se potessi scegliere, sceglierei sempre di rinascere a Parco Verde. Si fa presto a dire “buttiamo tutto giù”. Io qui ho fatto incontri straordinari».
E magari la salvezza passa per un arresto, come è capitato a Toto, staffetta della droga sul suo SH corsaro. «Mi sfotteva e scappava sempre», racconta Antonio La Motta, tenente e braccio destro di Cavallo: «Quando l’abbiamo acciuffato mi ha detto “meglio così, sennò finivo male”. Aveva una compagna con un figlio in arrivo, voleva uscire dal giro e non sapeva come fare». Qui bisogna «salvare il salvabile», dicono da generazioni mamme e nonne con saggezza da naufraghe, spesso giustificando così omertà o peggio. E forse volevano salvare il salvabile anche le due donne che anni fa saltarono addosso al tenente per strappargli di mano un pusher colto sul fatto. Una di loro, adesso, è tra le madri in visita alla caserma. Ma è passato molto tempo, lei sta coi bambini. Ogni tanto, quando si sbatte il naso sull’ovvia osmosi tra i due mondi, è meglio apparare : sì, metterci una pezza da carabiniere, con misericordia da parroco.