La Stampa, 3 settembre 2023
Alzheimer, come fermarlo
Entro il 2050 in Italia potrebbero vivere 2,3 milioni di persone affette da demenze come la malattia di Alzheimer, circa 800mila in più rispetto a oggi. È una cifra che potrebbe ancora essere modificata, evitando che molte persone si ammalino. Fino al 40% di questi casi potrebbe essere infatti ritardato o evitato del tutto intervenendo sui principali fattori di rischio. È il messaggio che la Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer’s Disease International hanno lanciato per la dodicesima edizione del “Mese Mondiale dell’Alzheimer”, che si celebra a settembre, chiedendo ai governi di tutto il mondo di rafforzare il finanziamento sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione. Non sembra, però, che i governi abbiano intenzione di ascoltare l’appello. «L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio», afferma la presidente della Federazione Alzheimer Italia Katia Pinto. «Un aspetto che non è sufficientemente considerato nel nostro Piano nazionale demenze, che, oltretutto, potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano, così da permettere di proseguire il lavoro già iniziato e implementare inoltre iniziative efficaci di prevenzione», conclude Pinto. Secondo un’analisi condotta nel 2000 dalla “Lancet commission on dementia prevention, intervention, and care” sono 12 i principali fattori di rischio per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, scarsi livelli di istruzione e l’inquinamento. È intervenendo su questi che si può cambiare lo scenario epidemiologico della malattia, riducendo fino al 40% i casi su scala globale, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito.
«Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza», avverte Paola Barbarino, ad di Alzheimer’s Disease International: «Dobbiamo garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari».
Intanto, c’è grande attesa per le nuove terapie. Negli ultimi due anni si sono resi disponibili i primi medicinali diretti contro le placche amiloidi, ritenute responsabili del declino cognitivo. In Usa due prodotti sono stati già approvati e una terza approvazione è attesa per la fine dell’anno. A breve potrebbero essere disponibili anche in Europa. Questi farmaci non curano la malattia, ma, rallentandone la progressione, potrebbero cambiare la vita di molti malati. E allo studio c’è anche un vaccino.
Un quinto delle persone, infatti, è portatrice di una variante genetica che sembra proteggere dall’Alzheimer e dal Parkinson e che, in futuro potrebbe portare allo sviluppo di un vaccino in grado di rallentare o bloccare la progressione di queste due condizioni comuni.
L’analisi dei dati medici e genetici di centinaia di migliaia di persone ha rilevato che avere questa variante, chiamata DR4, riduce le possibilità di sviluppare entrambe le patologie di oltre il 10%. È quanto riporta lo studio guidato dall’Università di Stanford, in California, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. fla. ama. —