Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  settembre 03 Domenica calendario

La Via della Seta non porta risultati


Trovare un’exit strategy dalla Via della Seta senza compromettere le relazioni commerciali con Pechino (primo partner asiatico dell’Italia con 34 miliardi di interscambio). E sollecitare un intervento della Cina sul Cremlino per una composizione pacifica della guerra in Ucraina che significa «l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina».
Sono questi i due obiettivi principali della visita del ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio Antonio Tajani, partito per una due giorni di incontri nella capitale cinese. Domani Tajani co-presiederà insieme al suo omologo Wang Yi l’undicesima sessione plenaria del Comitato intergovernativo Italia-Cina, la prima a tenersi dal 2020. Quindi vedrà in due appuntamenti bilaterali lo stesso Wang Yi e il ministro del Commercio Wang Wentao.
Ad anticipare le questioni chiave della missione è stato il titolare della Farnesina, intervenuto ieri a Cernobbio per il forum Ambrosetti – The European House proprio poco prima di imbarcarsi per l’Asia. «La Via della Seta non ha portato i risultati che ci attendevamo. L’export dell’Italia verso la Cina nel 2022 è stato pari a 16 miliardi e mezzo di euro rispetto ai 23 miliardi della Francia e ai 107 miliardi della Germania» ha spiegato il ministro, citando non a caso due Paesi europei e del G7 che, a differenza di quanto fece l’Italia nel 2019 all’epoca del governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte, non hanno sottoscritto il grande progetto di espansione cinese. Un ragionamento, già fatto nei giorni scorsi dalla premier Giorgia Meloni, che serve proprio a separare il piano politico da quello economico-commerciale, perché la Cina «è un partner ma anche un rivale sistemico». Il dado è tratto? Fino a un certo punto. «Il Parlamento dovrà fare una valutazione e poi decidere se rinnovare o meno la nostra partecipazione a questo progetto» ha infatti aggiunto Tajani, estendendo in qualche modo a tutta la politica italiana la responsabilità di decidere un cambio di rotta sulla «Belt and Road Initiative».
Parole che a Pechino, dove la visita è considerata decisiva, sono state sicuramente ascoltate con attenzione. Per il Global Times dimostrano «che l’Italia spera di continuare a beneficiare della cooperazione con la Cina». Il tabloid in lingua inglese del Quotidiano del popolo fa inoltre notare che in cinque anni l’interscambio è aumentato del 42% e chiede tempo per esprimere il potenziale della Via della Seta. Il presidente cinese Xi Jinping, però, avrebbe messo in conto che l’uscita è più che probabile e starebbe già valutando eventuali contromosse. Quali? Molto dipenderà proprio dai viaggi di Tajani e Meloni, che dovrebbe a sua volta partire per Pechino prima di Natale. Xi l’ha invitata nel novembre del 2022 quando si videro al G20 di Bali, ma data la delicatezza del viaggio date e dettagli non sono ancora noti. Palazzo Chigi e Farnesina, infatti, hanno ben chiara la posta in gioco, e di sicuro ne hanno parlato in modo riservato anche durante le trasferte negli Stati Uniti dei mesi scorsi. Anche perché, come è accaduto nel caso dell’esercizio della «golden power» su Pirelli, la Cina ha già dimostrato di rispondere colpo su colpo.