la Repubblica, 3 settembre 2023
Intervista a Pat Barker
Il bisogno di Pat Barker, britannica, classe 1943, è quello di esplorare la violenza e la moralità della guerra. Di questi tempi ne abbiamo tutti bisogno.
Tale è la potenza del suo tocco che la trilogiaRigenerazione sulla Prima Guerra mondiale, ora tradotta per Einaudi da Norman Gobetti, nel 1995 vinse con l’ultimo titolo,La strada fantasma, il Booker Prize. Nei suoi primi lavori però Barker si era concentrata sulla vita di alcune donne proletarie del nord-est inglese e il suo debutto Union Street del 1982 fu così importante da essere subito incluso nella selezioneGranta dei Migliori Giovani Autori Britannici. Una fuoriclasse in grado di reinventarsi, anche se dagli anni Novanta è il conflitto ad interessarla, tanto che aRegeneration è seguita un’altra trilogia,Noonday, sulle ostilità 1939-1945, e due romanzi che riprendevano l’ Iliade raccontandola dal punto di vista delle schiave, vedove, orfane (Il silenzio delle ragazze eIl pianto delle troiane, tradotti in Italia con successo da Einaudi) facendoci trovare davanti anche a Achille e Agamennone.
Il focus diRigenerazione è il trauma: seppure ci troviamo spesso nel fango, il sangue, i corpi dilaniati, la mattanza delle trincee, sono le loro conseguenze psicologiche ad essere scandagliate. Per farlo Barker si è calata in un contesto e in persone realmente esistite: siamo infatti al Craiglockhart War Hospital, in Scozia, dove l’antropologo e psichiatra William H.R.Rivers cura i soldati scioccati, tra loro i poeti Siegfried Sassoon (che, pur essendo un eroe pluridecorato, lancia un proclama antibellico) e Wilfred Owen più altri personaggi: alcuni di loro non parlano, altri non camminano, altri ancora hanno allucinazioni, o non ricordano nulla e Rivers con grande empatia (mentre altrimedici affrontano le ferite psichiche con l’elettrochoc) cerca di far raccontare a ognuno il dramma vissuto. Anche Rivers però soffre e si sente sempre più diviso perché, secondo le indicazioni del comando, questi ufficiali devono poi essere rimandati al fronte. A parte Rivers e Sassoon è Billy Prior, un personaggio inventato invece, a spiccare: la sua resistenza, la sua carica vitale e autolesiva al tempo stesso, il suo forte e ambiguo desiderio sessuale ne fanno un protagonista potente.
Come è passata dai temi del proletariato femminile a quello della guerra?
«Penso che la guerra sia sempre stata al primo posto. Ma non avevo abbastanza fiducia in me stessa. Di romanzi sui conflitti mondiali erano piene le librerie: dovevo trovare un approccio nuovo. Il lavoro di Rivers e altri psichiatri che cercavano di trattare i soldati traumatizzati, mi aprì la strada.
Inoltre la prospettiva di Rivers – quella di uno spettatore empatico che non aveva esperienza delle trincee – era sia la mia che quella di un lettore attuale. Non volevo scrivere dal punto di vista dei combattenti, l’hanno già fatto benissimo così tanti autori.
Sentivo che l’ottica degli psichiatri che muovevano i primi passi era altrettanto interessante».
Cos’ha di così speciale la guerra da un punto di vista letterario?
«Nel conflitto letteratura e dramma prosperano. Ci sono difficili scelte morali da prendere sotto una pressione estrema – e la minaccia della morte è la più estrema. Su una scala minore, anche adattarsi al cambiamento è una sfida importante, e la guerra causa improvvisi voltafaccia nelle vite di tutti. In Inghilterra all’inizio della Seconda Guerra Mondiale un milione di persone spostò l’abitazione... una rivoluzione che investì famiglie, posti di lavoro, strade. Esperienze cariche di novità adatte a un romanzo».
Non ho capito se lei è una pacifista o se, in alcunesituazioni, riconosce la necessità della guerra. Per esempio in Ucraina, dove si assiste all’invasione di uno Stato sovrano, o la Seconda Guerra Mondiale con l’Europa nelle mani di Hitler.
«Con grande riluttanza, ammetto che talvolta la guerra sia necessaria, e una guerra difensiva come quella dell’Ucraina oggi è giustificata. Ma molti interventi dell’Occidente nei paesi in via di sviluppo negli ultimi anni sono stati ingiustificati e disastrosi».
Lei sottolinea spesso come le donne siano state beneficate dalla guerra. Sua madre ha addirittura “adorato” quel momento.
«Mia madre entrò nel Royal Naval Service femminile all’inizio del conflitto. Così se ne è andata da casa, ha incontrato una gran varietà di persone. Un’esperienza che l’arricchì molto».
Doveva essere una donna davvero speciale. Non le ha rivelato chi era suo padre (le aveva detto che era morto in battaglia, n.d.r.).
«Da bambina erano tantissime le domande a cui non mi veniva risposto. Era un puzzle. Non maleper uno scrittore! Credo che sia stato il mistero dell’identità di mio padre a stimolare così tanto le mie riflessioni sugli anni della guerra».
Perché ha scelto come protagonisti del romanzo alcune persone realmente esistite, Rivers, Sassoon, Owen, anche Robert Graves?
«Ero affascinata dall’amicizia e l’influenza reciproca che ebbero Rivers e Sassoon. Soprattutto da Rivers che persuade Sassoon a smetterla con la sua protesta e tornare al fronte, ma poi fa suo l’orrore provato da Sassoon».
Perché quasi tutti gli uomini del romanzo sono gay o bisessuali?
«Sassoon era apertamente gay, e Owen dopo l’incontro con Sassoonentrò nel giro di Oscar Wilde. Ho cercato di essere precisa. Prior è un camaleonte sociale e un bisessuale, si sente a casa o straniato dovunque. È un personaggio utile per riunire più fili narrativi».
Scrive le scene sesso in modo raro, franco e diretto. Come fa?
«Le scene di sesso dovrebbero sviluppare un personaggio e/o portare avanti l’azione. Se segui questo principio non c’è motivo di trattarle diversamente da altre. E come lettrice posso dire che scrivere di sesso come un’esperienza quasi mistica produce la prosa più ampollosa che conosco».
Le è più facile scrivere di donne o di uomini?
«È più facile scrivere di personaggi del nostro stesso genere. Ma proprio perché è più semplice induce a una certa pigrizia, si mettono lì delle esperienze autobiografiche e il protagonista diventa un avatar dell’autore. Ammiro chi accetta il rischio di immedesimarsi in un’identità diversa, soprattutto oggi che questa pratica viene spesso disapprovata. Un autore deve osare».