Corriere della Sera, 3 settembre 2023
Bernstein, il genio bisessuale
VENEZIA Leonard Bernstein amava sua moglie, Felicia Montealegre, e amava gli uomini. Visse d’arte, visse d’amore. Il film Maestro, diretto e interpretato da Bradley Cooper, in gara a Venezia per Netflix, parla del loro controverso matrimonio. «È stato un amore vero – fa sapere Cooper, rimasto in Usa per lo sciopero contro Hollywood —, non convenzionale, l’ho trovato affascinante». Chiamava la sua omosessualità (non sbandierata) «il piccolo démone». Una sera a teatro tiene per mano «il mio folletto», il clarinettista David Oppenheim; c’è anche la moglie (Carey Mulligan) che vede tutto e lascia la sala, va a casa e gli mette fuori della camera da letto cuscino e pantofole.
Poi, nella scena della verità, gli dice: «È difficile amare chi non accetta se stesso. Se non stai attento morirai come una checca vecchia e sola». Ma in una lettera gli scrisse: «Niente è irrevocabile, neppure un matrimonio. Ti accetto come sei, non voglio diventare la tua martire e sacrificarmi sul tuo altare. Vediamo cosa succede se sei libero di fare ciò che ti piace, ma senza colpa né confessione, please».
Cooper si è scurito la voce, come l’aveva Bernstein, che era un fumatore accanito, ma l’attore non smette per due ore. Coraggiosamente dirige, all’inizio sembra fare harakiri portando la bacchetta al ventre. Bernstein era bisessuale, Felicia gli dice: «Nostra figlia è sconvolta dai pettegolezzi». Il padre alla primogenita spiega che «sono solo invidiosi del mio talento».
Jamie: «Era un argomento complicato per lui. Da una parte voleva esprimersi liberamente, dall’altra era condizionato dall’idea di doverci crescere». Nina: «Non fu facile accettarlo. Amava mamma ma il matrimonio non gli bastava». Nel film dice: «Il pubblico vuole che sia una cosa sola,io voglio tante cose». Non resse e se ne andò via di casa, perdendosi in festini e cocaina. «La cosa straordinaria è che tornò, passò gli ultimi due anni della vita di mamma con lei», dice Jamie.
È morta giovane, nel 1978, a 56 anni. Era nata in Costarica e cresciuta in Cile, dove aveva studiato pianoforte con Claudio Arrau, ed è a una sua festa che conobbe Lenny. «Mia madre – dice Jamie – si mise ai suoi piedi e lei lo nutrì con un gambero. Si sposarono nel 1951». C’è una polemica (rientrata) sul nasone finto di Cooper. Per alcuni critici Usa «uno stereotipo razzista», ma i figli smorzano e autorevoli ambienti ebraici hanno replicato: «Nessun antisemitismo». Quando dirigeva sembrava uno spadaccino posseduto dalla danza. Era teatro su un podio. Alle orchestre comunicava la gioia e l’entusiasmo della musica. Come disse Rubinstein, «era il più grande pianista fra i direttori, il più grande direttore fra i compositori, il più grande compositore fra i pianisti». Nella villa di Zeffirelli a Positano compose un musical, Caro Franco francamente, in cui assegnò una parte a ciascun ospite. Eclettico, pieno di vitalismo americano, amava Mahler e i Beatles, era generoso e curioso, riflessivo e estroverso, e questa fluida ambivalenza la esercitava nella vita.
Jamie, in famiglia com’era suo padre? «Affettuoso. In casa ci leggeva Lewis Carroll i Sonetti di Shakespeare. Gli piaceva averci intorno. Mi mancano i suoi abbracci e i suoi scherzi. Ci portava con lui in tourné». Ai Wiener si propose come direttore stabile, che hanno avuto una sola volta. La riposta del portavoce: «Caro maestro, ogni volta che viene a trovarci ci fa sempre piacere».
Un uomo scisso in due, l’anima contemplativa che esplodeva di notte, quando scriveva, e quella estroversa che collezionava amici ovunque. Nella colonna sonora c’è la sua messa che è un musical dove trasfuse il suo umanitarismo. Le parole sono l’’autoritratto: «Cosa dico non lo sento, cosa sento non lo mostro, cosa mostro non è reale, cosa è reale non lo so».