Corriere della Sera, 3 settembre 2023
Panatta risponde a Pietrangeli
(intervista a Petrangeli in scheda 64f37253643a6 )
«Aridagli...».
Pare di vederlo, Adriano Panatta, a bordo piscina dell’omonimo Tennis club a Treviso con l’intervista di Aldo Cazzullo a Nicola Pietrangeli sul Corriere in grembo, e gli occhi al cielo.
Adriano, alla soglia dei 90 anni Nick Pietrangeli ha due chiodi fissi: Licia Colò e lei.
«È che quando diventi molto anziano, perdi la memoria. La verità è stata raccontata nella docu-serie Una Squadra di Procacci, che Nicola svilisce. Ma lui svilisce tutto e tutti, è una vita che lo fa».
La trasferta in Cile, la maglietta rossa contro Pinochet, la Davis conquistata nel ‘76: i temi di un’esistenza.
«Io capisco che possa confondere, in quel contesto storico, un gesto politico per una sceneggiata: lo conosco. La maglia rossa non la capì nessuno, incluso Pietrangeli. Mimmo Calopresti ne fece un bel film. Capisco che possa inciampare nell’obbrobrio di mettere sullo stesso piano Allende e Pinochet: lo conosco. Dice che ho le gambette come Berrettini, vabbé. Avendo avuto 1400 donne sarà stanco però ha ancora la voglia di far sapere a tutti che è stato il più forte e il più bello. È arrivato il momento di dire a Nicola, con simpatia e senza giri di parole, che ha rotto i coglioni».
Come un fiume carsico sotterraneo scorre affetto, però.
«Massì, a Nicola gli si vuole bene, spero campi altri 90 anni però ha scocciato con questo modo di porsi. Il suo, più che affetto, sembra rancore. Non è mai stato tenero né con me né con i miei compagni di Davis: a me questo non piace. Io non ho mai messo in piazza le mie storie e i miei successi, parlo bene di tutti, soprattutto delle donne: è la mia legge. Ma come regalo per i 90 anni glielo dico: Nicola caro, sei stato il più figo però a un certo punto bisogna rendersi conto che verremo dimenticati».
L’ha invitata alla cena di gala, l’11 settembre al Circolo Canottieri Roma?
«Sì ma non andrò: non posso. Faremo una cosa insieme a Bologna con la squadra del ‘76, durante la Davis».
Gli si vuole bene, per carità,
e spero campi altri 90 anni,
ma il suo sembra più rancore
che affetto
Rivendica di avervi portati in Cile, contro tutto e tutti.
«È vero, si battè tantissimo, gliel’abbiamo riconosciuto mille volte, è stato detto e ridetto. Lui ha sempre questo atteggiamento e non ci fa bella figura: vuole il merito di tutto ma quella Davis, a Santiago, la vinsero i giocatori in campo. Io ho 73 anni, dirigo un circolo, non posso stare dietro alle paturnie di Nicola né far polemica ogni volta...».
Pietrangeli dice che non l’ha invitato alla festa per i 70 anni.
«Ma non era una festa, era una cena! Io, mia moglie Anna, i miei figli riuniti a Forte dei Marmi. Non c’era neanche Paolo Bertolucci!».
Dice che lei, Adriano, per lui figlio unico era un fratello.
«Io un fratello e una sorella ce li ho. Mio fratello di tennis è Paolo: siamo cresciuti insieme. Ma Nicola l’ho frequentato da adulto. Anche la nostra rivalità è un film nella sua testa: sarà durata un anno, ne abbiamo 17 di differenza! Lo sconfissi agli Assoluti del ‘70, è finita lì. Poi l’ho ritrovato in Davis come capitano».
Dice che si sente tradito.
«Aridagli. Io non avevo il potere di esonerare nessuno, la verità è che Nicola c.t. dopo la Davis non lo voleva più nessuno, dal presidente Galgani ai giocatori. Era diventato insopportabile e indifendibile. Bitti Bergamo è arrivato dopo. Ma che sta a dì?».
Sembra che non riesca ad accettare di essere stato destituito dai suoi ragazzi.
La nostra rivalità è un film nella sua testa, sarà durata un anno. Io ne ho 17 di meno, lo battei nel 70, è finita lì
«Nicola ha un ego spropositato. È uno che ha detto a Rivera: sei fortunato che io non abbia giocato a pallone... Però non riesco a volergli male».
Dice che una sera, a Cortina, lei pianse sulla sua spalla.
«Forse gli ho detto che mi era dispiaciuto, di certo non ho mai pianto sulla spalla di nessuno. Né mi sono scusato: scusarmi di che, poi?».
Prese male anche quel «la saluta mio padre Ascenzio», custode del Tc Parioli, alla fine di un match in cui lo fece impazzire di smorzate.
«Questo è un falso storico. Successe al Tc Milano, io ero un pischello, giocavo la Coppa Lambertenghi. Lea Pericoli disse a Nicola: vieni a vedere sto ragazzino che non è male. Lui arrivò, Lea ci presentò. Fine. Sono le stesse cose raccontate da anni. Nel caso di Nicola, repetita non iuvant. Sorrido ogni volta che vedo una sua dichiarazione ma lui è così, lo conosciamo tutti. È la solita tiritera».
Gli farà gli auguri, pur non andando alla festa?
«Ma certo che glieli faccio, ci siamo sempre telefonati, anche quando ci incontravamo al Roland Garros, a Parigi, era prassi andare a cena insieme, vedere i match accanto in tribuna d’onore, chiacchierare. Va accettato per quello che è, tanto non cambierebbe nemmeno se campasse fino a 180 anni. Io poi sono incapace di invidia e risentimento, di tennis parlo sono quando mi chiedono, della mia carriera non ho tenuto niente, né coppe né cimeli. Si rassegni, Nicola: siamo tutti destinati a scomparire».
Eppure il dibattito su chi sia il miglior tennista italiano, pur essendo stato ciascuno figlio del suo tempo, non accenna a spegnersi.
«Abbiamo giocato a tennis in epoche talmente diverse, come si fa a fare paragoni? Fabio Fazio un giorno me lo chiese: siamo stati tutti e due bravini, ho risposto. La verità è che Jannik Sinner o qualcun altro dei ragazzi di oggi vincerà molto di più di me e Nicola messi insieme. Lui ne soffrirà, io invece sono contento: non vedo l’ora che Jannik salga al numero 4 del mondo, come me nel ‘76 dopo aver vinto Roma e Parigi, così la facciamo finita e non ne parliamo più!».
Ma è così bello arrovellarsi nell’impossibilità di arrivare a una risposta che accontenti tutti.
«Spero di eguagliare il suo record di longevità, però basta. Le grandi imprese dello sport non danno l’immortalità. Tutto finisce e passa. Ed è giusto che sia così».