Corriere della Sera, 3 settembre 2023
Brandizzo, la disperazione di Antonio Massa
Grugliasco (Torino) C’è un uomo, in questa storia nera, che ha il cuore schiacciato dai sensi di colpa. Dalle 23.47 di mercoledì 30 agosto non vive più, non sa più dormire senza farmaci, è preda di uno sgomento che gli chiude lo stomaco e di un pianto inconsolabile. Non bastano gli abbracci dei suoi due bambini, l’amore di sua moglie Cinzia, la vicinanza degli amici.
«I ragazzi», come li chiamava lui, sono tutti morti, e dice bene la procuratrice di Ivrea Gabriella Viglione: «Qualunque cosa gli possa succedere processualmente non sarà mai peggio di quello che ha vissuto umanamente».
Antonio Massa, 46 anni, ha vissuto umanamente quello che si può immaginare per un ufficiale che manda i suoi uomini al fronte. E poi quegli uomini muoiono, proprio come i suoi ragazzi.
Mercoledì sera, a Brandizzo, è stato lui a mandare gli uomini del cantiere al fronte, ed è stato quel via libera a fare la differenza fra la vita e la morte. Un via libera anticipato rispetto agli orari che lui stesso aveva discusso al telefono con la responsabile dell’Ufficio movimenti di Chivasso. Non aveva nessun ok, il tecnico manutentore Antonio Massa. La Rete ferroviaria italiana per cui lavora lo aveva assegnato di scorta alla squadra di operai che doveva sostituire alcuni pezzi di rotaie. E a lui toccava proprio quel compito: coordinarsi con le Ferrovie perché quegli operai lavorassero in sicurezza. Però non era stato firmato nessun dispaccio per l’interruzione della linea e la dirigente dell’ufficio movimento l’aveva pure avvertito: «Attenzione che deve passare un treno in ritardo». Lui voleva cominciare, lei gli ha detto: «Io non te l’ho ancora data l’interruzione». Ma lui ha fatto partire i lavori lo stesso.
Perché tutta quella fretta? In Procura alzano le spalle: e chi lo sa... vai a capire. Forse per guadagnare tempo e andare a casa prima, o forse perché semplicemente è così che si fa, a volte. Si va avanti lo stesso, tanto poi l’autorizzazione arriva. Si va avanti lo stesso e non succede mai niente. E invece prima o poi arriva la volta in cui succede che qualcosa va storto. E finisce che il prezzo da pagare è in vite umane; in questo caso quelle perdute dei cinque operai uccisi dal treno, ma in qualche modo anche quella compromessa per sempre di chi è sopravvissuto e ha visto i corpi straziati ai margini delle rotaie.
Quando quel gigante d’acciaio da centinaia di tonnellate ha finito la sua corsa, i morti erano i cinque lavoratori ma ce n’erano altri quattro con la morte nel cuore. Antonio Massa è uno di loro, e poi il capocantiere Andrea Gibin, ma anche i due macchinisti, incolpevoli.
Il tecnico di Rfi e il capocantiere sono tutti e due indagati. Ma sulla bilancia delle responsabilità sembrano pesare molto di più le azioni di Massa. Gibin avrebbe dovuto compilare un modulo di cui non c’è traccia, è vero, ma quel documento non riguarda l’interruzione programmata della linea, che Massa doveva accertare prima di dire al caposquadra e ai suoi uomini: «ok, potete andare».
Chissà quante volte, in questi giorni, il tecnico Rfi avrà rivisto la scena. Lui che va avanti e indietro sulla banchina e chiama Chivasso. «Allora! Dobbiamo fare sto’ lavoro. Quando mi liberi la linea?». Dall’altra parte lei risponde: «Aspetta, non c’è ancora il via libera». Sono le 23 e 26.
Se chiude gli occhi Antonio Massa può sentire la voce di quella donna distintamente, come se fosse ancora lì, al telefono con lei, nella stazione.
Le parole fissate nella memoria (registrate e adesso agli atti) sono un tormento. «Deve passare un treno che è in ritardo, hai solo due finestre orarie per lavorare», dice lei. E gli da due fasce di tempo: tutte e due fra la mezzanotte e prima dell’una e mezza, perché all’una e mezza deve passare un treno merci. Lui è tranquillo: «Guarda, facciamo anche prima dell’una e mezza». Era un lavoro veloce. Roba da meno di due ore e poi a casa, a dormire. Mentre i lavoratori si preparano passa un treno. Ma non è quello che sta viaggiando in ritardo, vuoto. È un treno passeggeri. E forse è questo il momento in cui tutto comincia. Probabilmente il tecnico Rfi crede che a questo punto non ci siano più rischi e dà al capocantiere il permesso di cominciare i lavori.
Lui, Antonio Massa, vive a Grugliasco ma da mercoledì sera non si è mai mosso da Brandizzo. I suoi pensieri, il suo strazio, la vita vissuta fino a quel momento, sono ancora lì, inchiodati alla banchina da cui ha visto e sentito l’indicibile. Non serve nemmeno chiudere gli occhi per rivedere la squadra che va incontro alla morte, per risentire il rumore degli strumenti elettrici che riempie l’aria.
Ripensa a se stesso con il telefonino fra le mani. Gli operai sono già fra le rotaie, lui parla con la dirigente di Chivasso: «Potremmo fare così...». Si sentono i rumori del cantiere, lei dice: «Non te l’ho ancora data, l’interruzione...». Ma il treno è già lì. Adesso si sentono le urla, lo stridere dei freni. È troppo tardi, ci sono errori da cui non si torna indietro.