la Repubblica, 3 settembre 2023
Sui binari muore una persone ogni 115 giorni. La colpa è della fretta
Chissà se Michael Zanera, la vittima più giovane della strage di Brandizzo, aveva mai letto della storia di Aniello, ucciso su un binario, mentre lavorava, a giugno del 2022. O se Giuseppe Lombardo aveva sentito mai parlare di Pasquale Barra: aveva più o meno la sua età, 55 anni, quando nel 2021 è stato ucciso da un mezzo mentre lavorava alla stazione di Jesi. Perché la strage di Brandizzo ha, com’era inevitabile, sconvolto l’Italia.
Ma quello che è successo in Piemonte era già accaduto. E, se nulla cambia, succederà ancora. Lo dimostrano i numeri che mettono insieme gli incidenti ferroviari, ai danni dei lavoratori, avvenuti dal marzo del 2018 a oggi. «Un infortunio grave ogni 57 giorni, un morto ogni 115», dicono dalla Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, dove da tempo denunciano la giungla dei subappalti e le condizioni, spesso impraticabili, alle quali sono costretti gli operai delle aziende.
Stretti nei tempi e anche nei numeri. «Una domanda interessante da farsi a proposito della strage di Brandizzo – ragiona Alfredo Mortellaro, ex direttore dell’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture (già anche capo della commissione d’inchiesta sul crollo del ponte Morandi) – è da quanto tempo era arrivato l’allarme sui binari sui quali stava lavorando la squadra di operai a Brandizzo, e quanto tempo è stato dato loro per intervenire».
Perché negli incidenti spesso il punto è tutto lì: si fa in fretta, si fa male. A luglio, per esempio, due operai addetti alla manutenzione e dipendenti di Rfi sono stati condannati a tre anni nel processo in abbreviato per il deragliamento del Frecciarossa 9595 Milano-Salerno, avvenuto il 6 febbraio 2020 nel Lodigiano, nel quale morirono due persone (i macchinisti) e rimasero feriti in 31. Il tribunale, in primo grado, ha stabilito che era stato un pezzo che serviva allo scambio dei binari difettato: i fili erano invertiti. Un errore macroscopico e banale, che nessuno ha controllato e che ha causato l’incidente. Così come errori sono stati quelli che hanno ucciso un operaio di 26 anni, schiacciato da un mezzo di lavoro, mentre si trovava sui binari a Fabro Ficulle.
E un errore ha causato l’investimento di un altro addetto ai lavori di una ditta di appalto, a novembre del 2018, travolto da un treno merci mentre lavorava su un binario parallelo. Il 12 dicembre del 2018 è morto invece Michele D’Avolio, pugliese, trasferito in Emilia per lavoro: stava lavorando sul terzo binario della linea Piacenza-Bologna quando è stato investito da un treno merci. «Continua senza tregua la sciagura che coinvolge il personale delle ditte appaltatrici nelle attività ferroviarie. Troppe vite spezzate nel nome del profitto, troppe lesegnalazioni riguardanti i ritmi di lavoro eccessivi, in assenza delle più elementari norme di sicurezza», avevano gridato, con parole perfettamente sovrapponibili a quelle di oggi, i sindacati quando – era il 10 luglio del 2019 – Mario Cavaliere, operaio di 57 anni, era morto folgorato mentre lavorava per una ditta esterna all’elettrificazione della linea ferroviaria all’altezza di Brindisi.
Ma, davvero, tutto questo è inevitabile? Davvero bisogna fermarsi agli errori degli operai? È quello che per esempio i manager di Rfi hanno detto in aula al processo sul deragliamento a Pioltello del regionale sulla Milano-Venezia, avvenuto il 25 gennaio del 2018. Il convoglio, che arrivava da Cremona ed era diretto a Milano, uscì fuori dai binari a causa di un problema sulla linea causando tre morti e 46 feriti. «Hanno sbagliato gli operai: avevamo inviato alcune mail per segnalare il pericolo rottura dei binari già mesi prima ma hanno dimenticato di inserirle nel sistema. Se le sono perse», hanno detto alcuni dei manager di Rfi imputati nel processo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. «Ma la frequenza degli incidenti dimostra invece come sia il sistema a non funzionare», attacca Mortellaro, nel ricordare come da tempo il ministero avesse indicato a Rfi una serie di criticità senza però ottenere risposte. «Servono sistemi di verifiche più accurati, con doppi controlli. E soprattutto, come ha scritto Repubblica, è incredibile che nel 2023 la magistratura vada a caccia di fonogrammi o si parli ancora di blocchi telefonici: Amazon è in grado di tracciare miliardi di pacchetti nel mondo, e noi non siamo in grado di utilizzare un sistema che blocchi i treni se ci sono operai sui binari. È incredibile».
Anche perché i numeri sugli incidenti ferroviari parlano chiaro: è vero che l’Italia è una delle nazioni al mondo con le migliori performance ma è altrettanto vero che, secondo le ultime statistiche dell’Ansfisa, l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, se il 63% degli incidenti è causata «dalla presenza indebita di pedoni sulla ferrovia», gli altri incidenti si verificano per due questioni su tutte, non rispetto delle procedure – «che dimostra la necessità di prevenire distrazioni o automatismi» dice la stessa agenzia – e gli incidenti «legati a contesti manutentivi». Più di un incidente su dieci (11,1%) avviene infatti a causa delle procedure sbagliate e l’8,9% per la cattiva manutenzione.