La Stampa, 2 settembre 2023
La mappa di Xi
Tianxia, letteralmente «tutto ciò che è sotto il cielo». Uno spazio a metà tra il reale e l’ideale, quando la Cina non era ancora Zhongguo («Paese di mezzo»), ma era già un impero. Ora, la Repubblica Popolare Cinese di Xi Jinping si ridisegna quello spazio a metà tra il reale e l’ideale, con una nuova mappa sui suoi territori. Pubblicata nei giorni scorsi e, spiegano i media di Stato, «compilata in base al metodo di disegno dei confini nazionali della Cina e di vari Paesi del mondo», include diversi territori contesi e alcuni non amministrati da Pechino. Un’abitudine che il governo cinese ha dal 2006 e che ha l’obiettivo di «eliminare le mappe problematiche», cioè quelle che non includono le rivendicazioni territoriali del Partito comunista. Ma l’attenzione per le cartine geografiche è aumentata nell’ultimo decennio, così come è aumentato il numero delle linee di demarcazione tracciate da Pechino. Da decenni, si parla di «linea dei nove tratti» per fare riferimento alle porzioni di mar Cinese meridionale contrassegnate dalla Cina. Sostanzialmente tutte, in una sorta di U che si sovrappone a territori controllati o rivendicati da diversi Paesi del Sud-Est asiatico. Nella nuova mappa i tratti sono 10 e partono dalla costa nord orientale di Taiwan. Con le manovre militari degli ultimi anni, l’esercito cinese sta provando a trasformare lo Stretto in una sorta di mare interno. Quantomeno a livello simbolico, col presidio dell’area a est dell’isola, l’unica da cui potrebbero arrivare aiuti dall’esterno.
Scendendo verso sud, vengono inclusi acque e atolli contesi con le Filippine. Le tensioni con Manila sono tornate ad alzarsi dopo che Ferdinand Marcos Jr ha archiviato l’era filocinese di Rodrigo Duterte, aprendo quattro nuove basi militari agli Usa nella parte settentrionale dell’arcipelago. Cioè quella più strategica per la sua vicinanza a Taiwan. Nelle scorse settimane, la guardia costiera cinese ha sparato con cannoni ad acqua verso delle imbarcazioni filippine che cercavano di rifornire un avamposto militare ricavato dal relitto arenato di una nave della Seconda guerra mondiale. Una prassi, in un lembo d’acqua altamente militarizzato. I 10 tratti sono in conflitto anche con rivendicazioni territoriali di Brunei, Malesia e Indonesia. Spesso si tratta di isolette o fondali ricchi di risorse. E per questo ancora più appetibili. Risalendo a Nord, ci sono le isole Paracelso, nodo della discordia col Vietnam, che in passato l’impero cinese ha dominato per quasi un millennio. Dossier in fase di sviluppo, visto che Hanoi ha rafforzato i rapporti con gli Usa in materia di commercio e sicurezza dopo che la guerra in Ucraina ha fatto temere un crescente allineamento tra Russia e Cina.
Il 10 settembre, subito dopo il summit del G20 a Nuova Delhi, Joe Biden sarà nella capitale vietnamita per siglare un innalzamento delle relazioni bilaterali a partnership strategica. In India potrebbe invece non esserci Xi, a testimonianza di un rapporto certo non idilliaco tra i due partner dei Brics. La nuova carta standard di Pechino considera suoi l’altopiano dell’Aksai Chin e lo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Di quest’ultimo ha denominato diversi luoghi in mandarino come parte dello “Zangnan”, cioè Tibet meridionale. Lungo l’enorme frontiera contesa, nel giugno 2020 e nel dicembre 2022 ci sono stati violenti scontri tra le truppe dei due eserciti: 19 round di colloqui tra funzionari della difesa non sono bastati a risolvere la situazione, che resta ancora instabile. L’area è particolarmente strategica per le sue risorse idriche, ma anche per la questione della successione del Dalai Lama, che in autunno dovrebbe visitare proprio l’Arunachal Pradesh in un gesto dall’alto valore simbolico. Il governo indiano ha spiegato di aver presentato «forti proteste» a quello cinese. Lamentele anche dai vari Paesi del Sud-Est asiatico. Con cui Pechino sta negoziando da tempo un complicato «codice di condotta» navale.
Sempre sull’Himalaya, oggetto di rivendicazione cinese anche alcuni lembi di territorio contesi al piccolo Regno del Bhutan. La mappa cinese include anche l’intera Bol’soj Ussurijskij, piccola isola invasa dall’Unione Sovietica nel 1929 e dal 2008 a sovranità condivisa tra Pechino e Mosca. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha minimizzato negando l’esistenza di una contesa. Anche perché, almeno su carta, sono stati dimenticati i territori sottratti all’impero Qing coi due trattati «ineguali» del «secolo delle umiliazioni» cinese. Nonostante al confine sinorusso ci siano ancora musei che ricordano la vicenda, ora Mosca è considerata amica. Tanto che a ottobre Vladimir Putin sarà l’ospite principale del terzo forum sulla Via della Seta.