il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2023
Intervista a Gemma Tuccillo ex capo del Dipartimento per la giustizia minorile
Gemma Tuccillo è stata a lungo a capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità per il ministero di Giustizia. In pensione, ora è consulente giuridico del ministro Carlo Nordio per la giustizia minorile. Le chiediamo una riflessione sull’omicidio del musicista 24enne Giovanbattista Cutolo, ucciso a Napoli da un ragazzino di 16 anni a colpi di pistola, forse per uno scooter parcheggiato male.
Il ragazzino rideva mentre veniva arrestato.
È la sfrontatezza che deriva dalla totale inconsapevolezza dei danni che si arrecano e da una altrettanto grande fragilità.
Da cosa dipende questa sfrontatezza?
Innanzitutto dall’incapacità di relazionarsi agli altri.
Che spiegazioni ha?
Ce ne sono tante possibili. Una sicura, che si è progressivamente aggravata, è quella dell’abuso di relazioni virtuali, che non consente di cogliere appieno i danni, per gli altri e per se stessi, dei comportamenti realizzati nel concreto. E li rende fragili e inconsapevoli. No, fino a quando il giovane, chi prima, chi dopo, acquisisce consapevolezza di quel che ha fatto e deve assumersene la responsabilità.
Quando avviene?
Quando si commette un reato così grave, avviene quando entra nel circuito penale.
La mamma di Giovanbattista dice che quel ragazzino “è una bestia, non può andare negli istituti minorili”.
Di fronte alla tragedia della perdita di un figlio non posso, da madre, che abbracciarla. Ma, senza alcuno sconto, ci troviamo di fronte a un giovanissimo che ci auguriamo di poter recuperare. Nei tempi che viviamo, se tutti corriamo il rischio di essere i genitori delle vittime, tanti, forse troppi, rischiano di essere i genitori dell’assassino.
Anche perché troppi giovanissimi escono con un coltello o una pistola in tasca. Come evitarlo?
Adolescenti sempre più poveri di valori vanno coinvolti in iniziative che possano appassionarli. Molti di loro sono talentuosissimi, ma non lo sanno, vivono in contesti che impediscono di scoprirlo, e non è giusto che ciò avvenga solo quando sono dietro le sbarre. Sento un grande dolore per la musica di Giovanbattista che non ascolteremo più, ma anche per un ragazzino che forse la musica non l’ha mai ascoltata.
L’assassino infatti viene da una famiglia disagiata, con un padre pregiudicato.
Questo ha il suo peso. Ma spesso i contesti di provenienza sono molto deprivati sotto il profilo economico, culturale e affettivo: famiglie disgregate che non stimolano allo studio e all’individuazione dei talenti dei propri figli.
Come i contesti intorno ai minori protagonisti e vittime degli stupri di Caivano.
Dietro cui c’è una grande povertà educativa.
Come si risponde?
Con interventi delle istituzioni che facciano rete, senza anelli mancanti, sin dalla primissima infanzia, con attenzione a tutti i segmenti di crescita, per intercettare subito ogni segnale di disagio.
Come è possibile che un ragazzino di 16 anni circolasse libero, con quei precedenti per tentato omicidio?
Tentato omicidio può significare tante cose e non me la sento di commentare non conoscendo dettagli e contorni dei reati, forse solo pendenti, che gli vengono ascritti. Poi: gli strumenti per la presa in carico del minore ci sono tutti. L’importante è la individualizzazione del trattamento: non tutti i ragazzi possono seguire gli stessi percorsi. E soprattutto, la presa in carico non deve finire con la fine della pena, questi ragazzi devono essere accompagnati anche dopo.
La stragrande maggioranza dei reati minorili si consuma al Sud.
Ma in questi ultimi anni questo disagio si è disseminato su tutto il territorio nazionale, anche in zone prima estranee a questo tipo di cronaca. E poi abbiamo notato una cosa: non è aumentato il numero dei reati ma quello degli autori. I ragazzini agiscono in branco molto più spesso che in passato.
Come a Caivano: perché?
Dipende dall’assoluta mancanza di autostima con cui sono cresciuti. Da qui la necessità di spalleggiarsi l’un l’altro.