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 2023  settembre 02 Sabato calendario

Il declino di Figliuolo

Non manca il coraggio né la rettitudine né il sentimento interiore, l’amore total body per l’ordine organizzato. “Non ci crederete, ma lui trova la logistica assai romantica”, garantì Beppe Severgnini, suo biografo ufficiale, coautore del libro sulle virtù dell’uomo-nazione, andato in stampa dopo l’ultima siringa pandemica, Un italiano.
Logisticamente parlando, Francesco Paolo Figliuolo, super generale, penna alpina di avanzata postazione, si trova attualmente un po’ impantanato nel fango di Romagna. “Non ho date per i ristori”, ha detto ieri l’altro anche un po’ innervosendosi per questa continua lagna emiliana sui soldi di Roma che sono come l’araba fenice: “Che ci sia tutti lo dicono, dove sia nessun lo sa”. Prima due, poi tre, poi quattro infine quasi cinque i miliardi timbrati e vidimati. Di questi, giunti nelle casse della via Emilia poche decine di milioni. Il resto stazionerebbe nei libroni della Ragioneria dello Stato.
Figliuolo è finito in Romagna e da militare ha accettato senza fiatare. Come quando gli affidarono il comando delle truppe Nato in Kosovo, o – meglio – quando Mario Draghi lo chiamò a liberare l’Italia da Domenico Arcuri, onnipotente commissario pandemico. Tra un attimo ricapitoleremo.
Intanto: Ravenna è il luogo dove Giorgia Meloni, e non sappiamo se per fargli del bene o del male, lo ha voluto spedire il 27 giugno scorso, dopo 41 giorni di tira e molla con due tizi piuttosto animosi che iniziavano a darsele. Il primo, Stefano Bonaccini, presidente della Regione, ambiva a raccogliere il testimone dell’emergenza e avanzare a grande falcate verso la promozione a primo ricostruttore della Nazione. Dopo il terremoto di Mirandola, l’alluvione di Romagna. Il secondo, il leghista Matteo Salvini, voleva far fuori proprio Bonaccini e avere un uomo del Nord laborioso, un tecnocrate, magari un ingegnere, un banchiere, un mezzo politico, o un mezzo industriale. Chiunque pur di portargli via la borsa con la spesa.
Meloni trovò la penna alpina un’ottima soluzione per fregare i due contendenti. Chiamatemi il generale! Stella alpina, scienziato dell’organizzazione, militare infaticabile. Preciso, fermo, saggio, oculato. Passato lucente. Ogni siringa distribuita per suo conto e in suo nome durante la prova del fuoco della vaccinazione era andata a segno. Mesi in cui la sua figura è magicamente lievitata, con i telegiornali che offrivano mostruose applicazioni del generale. File dritte, disciplina teutonica, vaccinatori sorridenti, strutture efficienti. Draghi chiudeva vittoriosamente il tempo del commissario straordinario di Giuseppe Conte. L’Italia si disfece di Arcuri, dal tono spesso un po’ saccente, baldanzoso, anche enigmatico, con una tale velocità e soddisfazione che Bruno Vespa quando ebbe il generale tra le sue telecamere, chiese come diavolo avesse fatto a portare tanti vaccini e tante siringhe e tante tende, e tenere tutto pulito, libero, luccicante. Dimenticò Vespa, e prima di lui dimenticò Draghi, che le siringhe e i vaccini li aveva procurati il malmostoso Arcuri, il quale – per strafare – aveva anche promosso le tende col fiore di campo, quel di più che doveva far sembrare la disgrazia una festa. Comunque ce lo ricordiamo tutti il generale: concentrato, equilibrato, prudente ed efficiente. E chi scrive, scusandosi per il cognome che porta e che potrebbe risultare irriguardoso, richiamando il livello più basso dell’arma nei confronti della piuma più alta dell’esercito, riferisce che lui, anzi Lui, maiuscolo, oggi è costretto a fare i conti con il fermo tecnico di Romagna, la palude insidiosa, l’alluvione che spiazza, i conti che non tornano, i ristori che non arrivano. Ieri il sindaco di Ravenna: “Vogliamo parlare con la presidente del Consiglio”. Due giorni fa il commissario Figliuolo, un po’ sconfortato: “Comprendo che avere un portafoglio più pesante avrebbe significato più fiducia nel sottoscritto”.
Il fatto, scandaloso un po’, è che al generale credono e non credono. Lui dice e non dice. Per esempio: “Garantisco che tutti i ristori verranno saldati. Tutti”. Però prima devono completare la “perimetrazione” dell’area del danno, poi avviare la radiografia di ciascuna delle case alluvionate, dei ponti cascati, dei vigneti inondati.
“Così andranno via anni”, accusano i sindaci. I quali, pensando male e magari facendo peccato, hanno immaginato che il governo voglia solo guadagnare tempo dal momento che in cassa c’è poco. Incagliato il primo decreto da 1 miliardo, adesso e per tutto il 2023 ci sarà da spendere non più di 860 milioni di euro.
“Figliuolo ha un solo difetto: è impulsivo”, certificò Severgnini.
Per il resto è bravo, anzi bravissimo. “Il migliore che ci sia”, decretò il biografo.
Così in effetti sembrava.