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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

Intervista a Pupi Avati

«E cosa vuole che le dica? Se si è devoti ai propri sogni, c’è il rischio di vederli realizzati. Ecco vorrei parlare di questo e non di temi politici». Sarà difficile non parlare di politica con Pupi Avati, cineasta e consulente nel governo Meloni, che ci risponde commosso dalla sua casa romana: il suo Dante – ieri l’annuncio alla Mostra – selezionato al Festival Internazionale del Cinema di Tokyo. «Ci sono voluti 20 anni per convincere una committenza sorda ai miei appelli, alle mie genuflessioni, ai miei baci della pantofola».
Avati, se anche lei ci ha messo 20 anni per fare un film…
«Devo tutto a Dante. Mi sono completamente immedesimato con quel ragazzo che ha patito il dolore e che ha provato l’amore. Il mio film parte da lì».
E aggiungiamo che non è proprio un blockbuster.
«Se arriviamo in Oriente, al centro di un’altra cultura, raccontando la poesia, allora credo che sia un dono per tutti. Non c’è niente di più toccante e commovente di un verso poetico. E in questo nessuno supera Dante».
Lo ha preparato tanto?
«Ho una biblioteca di dantistica invidiabile».
E allora le volevamo chiedere se ha ragione il ministro Sangiuliano…
«La prego, la prego!».
…quando definisce Dante il fondatore del pensiero della destra.
«Sul serio vogliamo attribuire una connotazione politica alle altezze imperscrutabili di Dante?».
No, appunto.
«Ecco, andiamo avanti. Eravamo partiti bene: parlavamo del dolore e della bellezza».
Proseguiamo con la giovinezza. Il suo Dante è sempre raffigurato come un ragazzo.
«Come Mozart, come Bix Beiderbecke. Come Montale e Luzi quando scrivevano poesie. Il cuore di chi fa arte deve restare sempre quello di un ragazzo».
Da ragazzo suonava il clarinetto.
«Ci ho messo trent’anni a scoprire che non avevo quel talento».
Si esercita ancora?
«Solo dopo aver chiuso porte e finestre e solo quando mia moglie non è in casa».
Dopo il jazz, la Roma del nostro grande cinema.
«Quegli sceneggiatori erano coltissimi. Mi sentii inadeguato anche lì, iniziai a studiare».
Ha fatto anche il commesso viaggiatore.
«Vendevo pesce per la Findus. Mi ha salvato Fellini con il suo8emezzo».
Glielo ha mai raccontato?
«Di più, lo responsabilizzavo. Dicevo: “Federico, è per colpa tua se faccio cinema. Quindi...”».
Le manca?
«Vorrei fare questo viaggio in Giappone con lui. Ma i tempi di Fellini non ci sono più. Gli inviai una lettera quando vinse l’Oscar alla carriera, se la portò a Los Angeles. Gli avevo scritto che quando lui faceva cinema era come se lavorassimo tutti».
Adesso non è più così?
«Si vive di amichetterie».
Avati, lei è consulente del governo.
«No, in realtà no. Sono consulente del ministro Tajani».
E cosa gli consiglia?
«Di puntare sul patrimonio culturale. Devo dire che il sottosegretario Borgonzoni sta cercando di allargare all’estero la rete del nostro cinema».
Sì, mentre i ragazzi del Centro Sperimentale di Cinematografia hanno passato l’estate a protestare.
«Non mi scandalizza il cambio dei vertici del CSC. Tuttavia sto lavorando, senza nessun mandato, affinché il Centro torni ad essere il cuore del cinema europeo. Voglio vedere delle persone con dei curricula da paura. E la calma piatta che c’è adesso non va bene».
Molto agitato, invece, è il mare hollywoodiano.
«Non temo l’IA. La macchina non può sostituire le emozioni che consentono di essere creativi. Una macchina sogna? Piange? Ride?
Soffre?».
E lei soffre per il suo Milan?
«Qualche rammarico».
A quale giocatore rossonero dedicherebbe un film?
«A Pippo Inzaghi. Ha l’anima di un ragazzino, un rapinatore in area. Mi viene da piangere quando penso ai suoi gol fuori da ogni sintassi calcistica».
Al milanista Salvini avrebbe sconsigliato il red carpet a Venezia?
«A Venezia i ministri ci sono sempre andati».
Lei ci è stato nove volte.
«Più una da giurato. Ma l’emozione della prima non si scorda mai. Con
Una gita scolastica, era il 1983, mi commossi vedendo in Sala Grande la gioia dei ragazzi che avevano lavorato con me».
Ultimamente si è commosso anche per la Meloni…
«Mi sembra sempre una ragazzetta che si è presa un impegno gigantesco. Accompagnata da una squadra che forse non era preparata a governare. Ma ancora politica?».
Ha ragione. Alla Meloni non la aiutano neanche i familiari...
«Questa non la commento».