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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

Intervista a Michael Mann

È stata una corsa lunga trent’anni, ma Michael Mann è alla Mostra con il suo Ferrari.Enzo è incarnato da Adam Driver, che sul tappeto rosso affianca il regista, 80 anni, insieme allo storico bolide 315 S, vincitore della Millemiglia e a Piero Ferrari, figlio del fondatore. Girato in Italia, il film è ambientato nel 1957 quando Ferrari – nel prologo lo vediamo pilota in bianco e nero – vive una crisi personale e professionale. L’azienda che ha creato è in difficoltà, piloti e amici morti, il matrimonio con Laura (l’ottima Penélope Cruz), naufragato nel dolore per la morte del figlio Dino e il loro sodalizio economico è minacciato da un segreto: Enzo ha un’altra donna e un figlio. Il film è un’esclusiva per l’Italia Leone Film Group con Rai Cinema.
Lei fu folgorato da una Ferrari moltissimo tempo fa.
«Sì. Nel 1967 a Londra. A Chicago, dove sono cresciuto, non esistevano, non ce n’erano molte neanche a Londra, dove studiavo cinema. Mi imbatto in questo oggetto bello, potente e misterioso, voglio saperne di più: perché un conto è avere una bella scultura, altro è qualcosa che si muove, come un bellissimo animale.
Resto folgorato dalla confluenza di tutto questo. Scopro che da dove proviene niente è così inutile come l’auto da corsa dell’anno scorso, che viene fusa per riusare il metallo.
Ferrari invece ha l’idea di prenderla, dipingerla, foderare gli interni di buona pelle... Forse qualcuno la comprerà. Ho capito che quella che per lui è un’auto usata, per noi è una cosa da Museum of modern art.
Questo è ironicamente vero oggi, perché la quantità di tecnologia da corsa presente in una Ferrari GT è fenomenale. Vive solo dai 2 ai 3 anni».
Il mondo delle corse d’auto è cambiato. Le piace ancora?
«Non so molto dell’attuale ambiente di gara di Formula 1, tranne ciò che ho letto. Ho gareggiato per sei anni in una corsa amatoriale, una Ferrari Challenge, tra un film e l’altro, non sono mai stato costante ma era bellissimo. Lì ho capito la concentrazione mentale, il fatto che devi essere dentro ciò che fai mentre il resto della tua vita scompare. Non puoi avere nient’altro che ti preoccupi. Per me era così, parlando con Lewis Hamilton ho capito che è vero per tutti i piloti. Sei talmente preparato e concentrato che vivi una sorta di esperienza Zen».
Perché raccontare Ferrari oggi?
«La sua storia è straordinaria eprofondamente umana, universale. E ha una forte componente melodrammatica».
Difficile ricostruire il mondo delle auto del 1957?
«Molto. Abbiamo fatto tante ricerche e lavorato in pre-produzione. Usato il suono delle autentiche macchine dell’epoca, registrando con sette microfoni e usando auto identiche, dopo aver studiato le originali rese disponibili dalla Ferrari. Enzo era ossessionato dai dettagli e viveva per le gare, la parte industriale serviva solo per mantenere in vita le corse, la sua vera passione».
Avete girato a Modena e Maranello, ricostruito un’epoca.
«Il nostro è stato un approccio da antropologi culturali. Abbiamo vissuto lì, ci siamo documentati sui luoghi e sulle persone di allora.
Approfondito le relazioni tra le persone: cosa significava avere una relazione extraconiugale in quell’Italia del dopo guerra? Erano tanto le madri single come Lina. E poi c’era la situazione economica e industriale di un Paese ancora piegato dalla guerra, che sarebbe rinato solo qualche anno dopo. Ci ha aiutato che molto in quei luoghi è stato conservato della storia di Enzo.
La casa in cui viveva, persino la sedia è ancora dal barbiere».
Siamo ormai abituati grazie alle serie tv agli attori che recitano nella propria lingua. Qui c’è un divo americano che interpreta Ferrari e il film è in inglese. Che lavoro avete fatto sul linguaggio?
«Ottima domanda. Ci abbiamo lavorato molto. Ho fatto molti esperimenti e deciso di basarmi su un inglese americano con un accento italiano, il suono dell’inglese parlato da un nativo italiano. I nomi dei luoghi invece li ho voluti nella perfetta pronuncia italiana. Tutto doveva essere coerente. Ha aiutato avere attori fantastici, come Penélope che parla italiano e ha fatto film da voi. Sul set abbiamo fatto attenzione a tutte le pronunce, e in post-produzione abbiamo registrato di nuovo alcune battute. A volte entravo per far accorciare una vocale. Potevo eliminare millisecondi da una vocale e far diventare leparole più grandi e altro, con molta attenzione alla lingua e all’intelligibilità».
Sono occorsi trent’anni, ma il suo “Ferrari” ha tagliato il traguardo.
«Sì. Ed è una perfetta convergenza di tutto: un film per un pubblico largo, girato in Italia, che debutta alla Mostra. Sono entusiasta».
Cosa pensa dello sciopero di attori e sceneggiatori?
«Noi del film sosteniamo gli attori in sciopero, siamo qui con il permesso del sindacato. Io faccio anche parte della Writers Guild, gli sceneggiatori: sospetto che il momento che stiamo vivendo oggi sia destinato a entrare nella Storia».