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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

La biblioteca di Caterina la Grande

Nelle sue memorie, Caterina racconta di aver iniziato a leggere libri dopo essersi sposata. Il primo volume che le capitò per le mani s’intitolava Tiran the Fair, che era la storia di una sorta di cavaliere errante sul modello di Don Chisciotte. Probabilmente lesse una traduzione francese, forse da un testo inglese o spagnolo; e dopo averlo terminato si procurò le lettere di Madame de Sévigné, un classico dell’epoca, ambientato alla corte di Luigi XIV. Sempre stando alle sue memorie, fu la scoperta di alcune opere di Voltaire a farla diventare più selettiva e a spingerla verso un altro tipo di letture. A un certo punto, nel 1751, cominciò a leggere Historical and Critical Dictionary di Pierre Bayle, quattro pesanti volumi pieni di articoli su un’infinità di temi. Disse di averne letti tre, di aver iniziato il quarto, e di averci impiegato sei mesi per leggere ciascun volume. L’insistenza di Bayle sull’importanza della ragione nel distinguere il vero dal falso doveva interessare parecchio alla giovane Caterina, che a corte, come si può immaginare, non aveva molte persone di cui potersi fidare ed era costretta a muoversi a tentoni.
Tra il 1754 e il 1755, lesse La storia universale di Voltaire,Lo spirito delle leggi di Montesquieu e gliAnnales di Tacito. Furono tre letture importanti, portatrici di idee nuove. Letture su cui Caterina dovette rimuginare parecchio, soprattutto nei mesi in cui sentiva che stava per compiersi il suo destino e che avrebbe presto preso il potere. La giovane principessa era sempre più affascinata dal concetto di legge e dal concetto di istituzione, cioè dall’idea che sia le une che le altre, essendo state concepite proprio per sopravvivere ai governanti, rappresentassero il cuore dello Stato e del buongoverno. Nella sua mente cominciavano a farsistrada le idee di libertà e di rispetto di regole uguali per tutti, mentre nel cuore cominciavano a risuonare parole come «felicità», «ragione» e «legittimità», parole che forse in Russia non valevano molto, ma che per lei poco alla volta cominciavano ad acquisire significato.
Bisogna sapere che Caterina era attentissima alla propria reputazione in Occidente e che fin dall’inizio del suo regno cominciò a preoccuparsene sistematicamente. Anche per questo intratteneva fittissimi rapporti epistolari con i filosofi illuministi come Voltaire e con chiunque potesse aiutarla a costruirsi un’immagine di imperatrice moderna e illuminata. Lo dimostra in particolare la sua corrispondenza con Madame Geoffrin, che a Parigi ospitava il più influente dei salotti letterari. In certi giorni era frequentato da scrittori e intellettuali, in altri da aristocratici, in altri ancora da diplomatici stranieri. Durante le serate si commentavano gli articoli di stampa, le nuove pubblicazioni, oppure si leggevano proprio le lettere che personaggi illustri da tutto il mondo facevano pervenire. Un altro modo in cui Caterina cercò di stabilire un legame con la Repubblica delle Lettere e di mostrarsi illuminata e degna erede di Pietro il Grande fu rappresentato dalle traduzioni di opere occidentali. Lei stessa tradusse in russo il romanzo Beli sario di Jean-Francois Marmontel, vietato in Francia poiché favorevole alla tolleranza religiosa e critico nei confronti dell’assolutismo. E poi promosse la Società per la Traduzione di Libri Stranieri in Russia che contribuì alla diffusione degliscritti meno abrasivi di Jean-Jacques Rousseau.
Nella Repubblica delle Lettere c’era chi guardava a sovrani tipo Caterina o Federico di Prussia per promuovere la causa illuminista. Erano gli anni della pubblicazione dell’ Enciclopedia, un’impresa che non era già più la semplice traduzione del lavoro di Ephraim Chambers, cioè un insieme difacts and figures,ma una cosa completamente diversa. Diderot voleva esplorare tutto lo scibile, a trecentosessanta gradi, incluse quelle aree del sapere che ogni regime assoluto vorrebbe precludere ai propri sudditi. Dunque la sua Enciclopedia sarebbe stata un’opera davvero universale e come tale non si sarebbe fermata davanti a nulla, men che meno davanti alla censura o alla prospettiva che i suoi autori potessero finire alla Bastiglia. E difatti, all’inizio del 1752, dopo l’uscita dei primi due volumi, Luigi XV decise di vietare la pubblicazione di quelli seguenti, il che costrinse Voltaire, Diderot e gli altri adepti al culto enciclopedico a cercare dei protettori per continuare il lavoro in semi-clandestinità.
Fu a questo punto che dalla Russia di Caterina giunse una proposta per certi versi inaspettata, e sconvolgente, quella di offrire aiuto a Voltaire e agli altri illuministi per completare la pubblicazione dell’ Enciclopedia in tempi rapidissimi e in sicurezza. Fu un aristocratico russo, Ivan Shuvalov, a contattare il suo amico Voltaire, proponendogli di continuare il lavoro di pubblicazione a Riga. E tutto questo proprio mentre anche Federico di Prussia, che aveva avutolo stesso riflesso di Caterina, aveva offerto agli enciclopedisti francesi di trasferirsi a Berlino e continuare da lì la propria battaglia. Entrambe le proposte non ebbero seguito, soprattutto per la presa di posizione contraria di Diderot che intendeva restare fedele a Le Breton e ai suoi soci, i quali avevano investito parecchi soldi nell’iniziativa editoriale. Ma certo che anche lo stesso Diderot dovette realizzare come il mondo pareva essersi rivoltato sottosopra: nella civilissima Francia si perseguitava la filosofia e nell’arretratissima Russia la si coltivava… Ma cosa cercava Caterina in Occidente? Era sincero il suo interesse nei confronti degli illuministi o era soltanto un pretesto per rifarsi l’immagine dopo il colpo di Stato e la morte del marito? Ed era autentica la sua convinzione di riformare la Russia in base ai princìpi e ai valori dell’Illuminismo, oppure era soltanto il capriccio, l’ingenuità o la malafede di un’imperatrice quasi per caso, ritrovatasi non si sa bene come in un gioco molto più grande di lei? Domande del tutto speculari riguardavano il fronte francese: che cosa pensavano realmente i vari Voltaire, Diderot e d’Alambert di Caterina? Avevano davvero fiducia in lei, nella sua determinazione riformatrice e nelle sue capacità di governo? Davvero, al di là dell’adulazione di cui traboccano le loro lettere, pensavano che Caterina potesse cambiare la Russia? Davvero erano convinti che fosse pronta a sacrificare il suo regno per un ideale, che fosse disposta a mettere a repentaglio la propria vita per la felicità del suo popolo?