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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

La via referendaria al nuovo Pd


C’è chi ritiene che la segretaria del Pd sia dominata dalla volontà di cancellare ogni traccia della stagione di Renzi e che perciò sia disposta quasi a tutto: anche a raccogliere firme, insieme alla Cgil, per un referendum volto ad abolire una legge molto “renziana” (il cosiddetto Jobs act) che, non lei personalmente, ma il partito da lei oggi guidato aveva approvato in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento.
L’episodio in sè è abbastanza sorprendente, al punto che lo stesso Renzi ha buon gioco nello stilare sul Riformista l’elenco nutrito degli esponenti del Pd che allora dissero “sì” alla norma e oggi accettano in silenzio, salvo qualche mormorio privato, la decisione d Elly Schlein. Sembra comunque sbagliato ridurre tutto a una contesa con l’ex leader, per la buona ragione che il Pd si era già liberato di ogni eredità renziana.
La vittoria della Schlein alle “primarie aperte”, dopo la sconfitta a vantaggio di Bonaccini nella competizione riservata agli iscritti, ha avuto questo significato preciso, come è noto: voltare pagina, rimuovere il passato. E va detto che la neo segretaria non ha mai fatto mistero della volontà di usare fino in fondo la notevole forza politica derivante dalle modalità della sua elezione. Ha camminato con coerenza lungo la sua strada, incurante dalle accuse soprattutto mediatiche che le sono rimbalzate addosso: aver rinunciato alla tradizionale visione riformista, aver scelto quasi d’istinto il massimalismo, aver dato troppo spazio ai temi Lgbt cari a una minoranza di italiani. A distanza di qualche mese, questo approccio non ha portato ad apprezzabili risultati nei voti amministrativi locali, ma era da mettere nel conto. Di certo la segretaria sa che fino alle elezioni europee nessuno dall’interno le taglierà la strada. Lo sanno anche i suoi oppositori potenziali che infatti sono assai guardinghi, salvo i pochi che se ne sono andati, a cominciare da Fioroni. Quindi la campagna contro il Jobs act è del tutto coerente, se non con la storia recente del Pd, con la nuova identità che Elly Schlein sta ritagliando per il partito.
Anche l’intreccio sempre più stretto con i Cinque Stelle di Conte è funzionale alla strategia. Vale a dire recuperare, sì, il consenso degli astenuti, di coloro che si sono allontanati perché delusi dal “moderatismo”. Ma soprattutto togliere spazio ai 5S, impedire a Conte di presentarsi come la vera sinistra con tutta la spregiudicatezza di cui l’avvocato del popolo è capace. Alla fine la vicenda si è risolta in una rincorsa di natura populista, di cui il referendum progettato è un passaggio chiave, mentre la proposta sul “salario minimo” rappresenta fin qui l’eccezione migliore. Resta da capire chi a lungo andare sarà percepito come il vero leader dell’alleanza di fatto. Se la stessa Schlein, Conte oppure il segretario della Cgil, Landini: perché è difficile negare che il ruolo di quest’ultimo sia più politico di quanto sia mai stato in passato. C’è anche un secondo aspetto da verificare: se la posizione di Calenda e del gruppo di +Europa sia sufficiente a riequilibrare verso il centro l’assetto di una nave così piegata a sinistra. Calenda ha competenza tecnica sui problemi, tuttavia i suoi margini di manovra al momento sono alquanto esigui.
In prospettiva, e al di là dell’iniziativa referendaria con tutti i suoi limiti, il tema di fondo è il consenso elettorale. Al momento Schlein più Conte sono accreditati insieme di circa il 35-36 per cento. Se si aggiunge un 3 per cento di Fratoianni-Bonelli, si vede che la sinistra non arriva al 40 per cento, con un travaso interno tra una o l’altra sigla alla fine poco significativo. Per governare occorrerà aprirsi a nuovi elettori, consapevoli di dover parlare il loro linguaggio.