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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

A lezione di fantasia

Quando ero bambino passavo molto tempo a letto a gingillarmi con il cuscino e a “pensare”. Questo almeno era quello che rispondevo a mia madre quando mi chiedeva: “Che fai?”. “Penso”, facevo io. Fantasticavo, mi lasciavo andare a delle immaginazioni narrative, delle storie complesse, che di solito elaboravo la sera, prima di addormentarmi, immaginandomi, come fanno tutti, incredibili avventure delle quali io ero assoluto protagonista. Erano storie molto articolate, strutturate e soprattutto lunghissime.
A grandi linee si possono raggruppare in alcune tipologie, o format, o motivi, di cui i principali erano: Salvare il mondo, tipologia su cui mi sono fatto le ossa, salvando il mondo con gesta eroiche dalla follia di potere di uno o più folli criminali; il modello era naturalmente James Bond. C’era poi Il colpo grosso, ovvero un’avventura di gruppo in cui organizzavo una rapina; Solo nell’isola deserta, in cui dovevo affrontare tutti i problemi di sopravvivenza relativi al trovarsi fuori dal mondo civilizzato; Salvataggio di una ragazza da un tentativo di violenza (da parte mia); Il killer spietato (sempre io).
Una volta scelta la tipologia, curavo con molta attenzione la definizione del personaggio principale, cioè io, un ragazzino normale e timido, che nessuno avrebbe creduto capace di simili imprese, ovviamente in possesso di risorse segrete. C’era tutto un lavorio in me per creare e prolungare l’attesa del lieto fine, per frapporre difficoltà aggiuntive sempre più insuperabili con mille rivoli narrativi che allungavano indefinitamente i tempi della storia.
In effetti i finali erano il mio debole, ci arrivavo raramente ed erano abbastanza affrettati, sia per mancanza di tempo, ma anche, forse, per una naturale propensione a cominciare le storie senza finirle.
Quando c’è un’impresa di gruppo è necessario che ci sia un capo, e quello ero necessariamente io, e poi bisogna distribuire i ruoli, di solito c’è qualcuno particolarmente intelligente, il genio, e qualcuno particolarmente valido sotto il profilo fisico, capace di imprese sportive fuori dal comune. Il vero problema ero proprio io. Che sapevo fare?
Forse niente, niente di niente, se no avrei passato ore a crearmi mondi sostitutivi?
In quel periodo sviluppai una passione insana per i prologhi, e nelle complesse storie che mi creavo i prologhi finirono per occupare quasi tutto il tempo a disposizione.
Per un colpo grosso, oltre a un capo che è la mente, e che ero naturalmente io, c’erano da introdurre come minimo uno sportivo, capace di fare salti di 8 metri in lungo, poi c’era il matto supertecnologico, esperto di computer (quando ero bambino i computer non c’erano, però c’erano i circuiti elettronici, i relais, le trasmittenti radio); poi ci poteva essere il vecchio che aveva un bagaglio di conoscenze impensate, l’esperto di tecniche militari o di arti marziali, per non parlare di eventuali partecipanti femminili che potevano essere anche loro esperte di judo, seduttrici disinibite, esperte d’arte o di qualsiasi altra cosa.
Insomma passavo un sacco di tempo a introdurre i personaggi. Potrei prendere per esempio il matto supertecnologico, ma la scena era veramente troppo lunga. Vi dico solo che siamo su una spiaggia, e dal mare esce un mostro meccanico, una sofisticatissima macchina da guerra dotata di mille armi. Il nostro affetta un atteggiamento annoiato, praticamente sbadiglia. Si alza, si sgranchisce lentamente e poi estrae da un piccolo astuccio un microscopico congegno, grande quanto un chicco di riso. Lo infila in una specie di cerbottana, forse addirittura una penna Bic, e prende lentamente la mira, fuoco! Il congegno entra in un forellino, forse l’unico forellino presente sul mezzo, e sparisce all’interno. A questo punto il nostro svogliatamente si accende una sigaretta. Lui conta, uno, due, tre… fino a cinque e poi… brroooommm. Un’enorme esplosione distrugge in un colpo solo il sottomarino da sbarco, ma lui non si volta, tanto quello che succede lo sa già.
Di questo tipo di introduzione mi piaceva soprattutto l’indolenza del personaggio, la camminata alla viareggina, come se per lui si trattasse di noiosa routine, mentre la massa era atterrita, e le autorità assenti.
Subito dopo l’esplosione, con tutti i pezzi del mostro che cadono fiammeggiando, ecco che cambia la scena, e ci possiamo ritrovare in un esclusivo club con piscina. Si tratta di introdurre lo sportivo. Con il primo quadro è già passato un sacco di tempo. Nel club ci sono dei ricchi che giocano d’azzardo, bevono cocktail, ridono e sono circondati da belle donne, in bikini. Dei ragazzi atletici e spregiudicati, ricchi anche loro, fanno a gara di tuffi. Incrociano un giovanotto, un po’ gobbo, tutto vestito, che porta un antiquato paio di occhiali da vista, e sembra proprio uno sfigato (a quei tempi la parola sfigato non esisteva, ma fa lo stesso). I ragazzotti cominciano a prendere in giro l’occhialuto, lo spintonano, vogliono che faccia un tuffo dalla piattaforma di dieci metri, si fanno belli con le ragazze, le loro insistenze diventano pesanti. Il poveraccio vorrebbe filarsela, ma quelli non mollano. Cominciano a partire delle scommesse, tutti dicono che non ce la farà, qualcuno raccoglie le puntate, fiumi di soldi contro il malcapitato. I ragazzotti ridono, dicono che quando arriverà in cima alla piattaforma avrà uno svenimento.
Il nostro, spinto da quei maleducati, sale goffamente le scalette, e arriva in cima. Tutti ridacchiano. Ma lui a questo punto fa una cosa strana.
(1. continua.
La seconda parte la prossima settimana)