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 2023  settembre 01 Venerdì calendario

Intervista a Nancy Pelosi

VENEZIA. La gente le chiede spesso cosa farebbe se fosse lei a dominare il mondo. E lei risponde sempre la stessa cosa: istruzione per le donne e per le ragazze. È da qui che comincia a raccontarsi Nancy Pelosi, Speaker Emerita della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, prima donna a ricoprire questa carica, a Venezia nei giorni del Festival inaugurato dal premio alla carriera alla regista Liliana Cavani, prima donna della storia del Mostra a riceverlo. Pelosi è ospite speciale del Diane Von Fustenberg Awards, quest’anno alla 14esima edizione: filantropa e stilista, Von Fustenberg premia ogni anno le donne che hanno combattuto le battaglie più difficili, coraggiose, ispiranti.
«Pelosi non ha bisogno di dormire: va a cioccolato», ha scritto una volta il New York Times, sottolineandone il pragmatismo quasi brutale, che ha messo in riga persino Trump, con lei sempre piuttosto in soggezione.
Quando Giorgia Meloni è stata eletta presidente del Consiglio, ha dichiarato: “Sono un underdog”. Di lei, Speaker Pelosi, è stato detto che una delle sue fortune è stata la capacità di lavorare fuori dai riflettori, e quindi di essere stata sottovalutata. Alle donne serve ancora esporsi il meno possibile per costruire una leadership?
«Quando sono entrata al Congresso, trentasei anni fa, c’erano solo 23 donne, 12 democratiche e 11 repubblicane. Ricordo che pensai che era ridicolo. Ora, il 60 per cento del Congresso americano è fatto di donne e persone che rappresentano le minoranze, tutte consapevoli di quanto importante sia il loro contributo. Quello che serve e sempre servirà è che abbiano ben chiaro perché vogliono fare politica e, soprattutto, che non si concentrino esclusivamente sulle questioni femminili: in politica, tutto è anche una questione femminile; c’è un bisogno urgente di coinvolgere le donne in tutti gli ambiti e in tutte le battaglie. È per questo che è così importante che collaborino tra di loro».
Di Meloni cosa pensa?
«Non sono abbastanza informata su quello che fa il suo governo in Italia, ma di certo trovo problematico, per me e per quello in cui credo, il modo in cui si occupa dei diritti della comunità LGBTQ+. Nella sua ultima visita negli Stati Uniti è stata molto brava, ha fatto a tutti un’ottima impressione, e ho apprezzato e apprezzo la sua cautela verso la Cina, la sua collaborazione con l’Unione Europea, le sue posizioni sull’Ucraina. Mi rasserena il profondo rispetto che ha per il legame che unisce l’Italia e gli Stati Uniti, perché per noi il vostro Paese è da tempo uno dei nostri migliori amici, soprattutto nella Nato. M’è poi parsa sicura di sé e ben consapevole di cosa vuole ottenere. Meloni è piaciuta anche molto a Biden. Biden è il presidente migliore per l’America in questo momento».
Perché?
«Perché non c’è nessun altro che possa unire il Paese, che è attualmente diviso e spaventato. Ha intuito, saggezza, esperienza e soprattutto un grande cuore. Io sono orgogliosa di quello che sta facendo per le donne e per la sua attenzione all’istruzione e alla parità: sa bene, e lo si vede da come agisce, che non possiamo più permetterci dei gap e, soprattutto, che dobbiamo mettere in condizione le donne di lavorare, senza stremarsi in cerca di un equilibrio tra vita privata e ufficio. Quell’equilibrio è onere di chi amministra e governa».
Crede sia possibile un ritorno di Trump alla Casa Bianca?
«Trump è un amico di Putin. Non lo ha mai criticato pubblicamente. E questo basta a spiegare perché non dovrebbe mai più diventare presidente degli Stati Uniti».
Ma i sondaggi dimostrano che potrebbe succedere.
«Quando vinse la prima volta, io rimasi sconvolta: ero tra coloro che lo avevano creduto sin dall’inizio impossibile. Mi rendo quindi conto che non sono forse la persona giusta per dirlo ancora, eppure credo di nuovo, e fermamente, che non vincerà le elezioni del prossimo anno».
Com’è possibile che il partito repubblicano sia di nuovo in balia di Trump?
«È un grande peccato: è un partito che ha fatto grandi cose e ha dato al paese grandi leader finora. Ora venera un criminale. Ma non ancora per molto: ne sono certa».
Se nel 2024 vincesse Trump, crede che il sostegno all’Ucraina da parte vostra verrebbe meno?
«Trump è un grande sostenitore di Putin. E questo basta a spiegare perché non può rimettere piede nella Casa Bianca. Da bambina andai ad ascoltare il discorso di JF Kennedy, quando diventò presidente, con i miei genitori, e lui disse che i cittadini americani dovevano chiedersi cosa potessero fare per l’America. Che è una frase storica. Ma poi disse anche che i cittadini del mondo, non dovevano chiedersi cosa l’America potesse fare per loro, ma cosa, uniti, si possa fare per l’umanità. Biden fa qualcosa di molto simile: il suo è un approccio molto kennediano. E gliel’ho detto spesso».
Quindi non vede rischi per democrazia statunitense?
«Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per difenderla. Sto scrivendo un libro, forse lo intitolerò “La nostra bandiera è ancora lì”, perché credo che nei prossimi anni lottare per la democrazia americana sarà inevitabile e doveroso. Ma dobbiamo farlo ricordandoci di non sottovalutare la sua forza e l’amore che gli americani hanno per lei».
Quello che succede a Taiwan ha cambiato le relazioni tra voi e la Cina?
«No. Aderiamo alla One China Policy: anche per noi esiste un’unica Cina. Abbiamo sempre detto che siamo disposti a fornire a Taiwan aiuti per difendersi ma speriamo che non ce ne sia bisogno. Pechino ha piratato la nostra proprietà intellettuale e ci preoccupa quello che ha fatto a Hong Kong e in Tibet. Restiamo, quindi, guardinghi. Il Congresso, tanto a destra quanto a sinistra, supporta Taiwan».
Cosa pensa dello sciopero dei lavoratori di Hollywood?
«Che non finirà a breve. E che sia giusto e sacrosanto che quei lavoratori ottengano tutele: l’industria dell’intrattenimento produce arte e l’arte unisce le persone. Al cinema possiamo piangere e ridere senza che le nostre differenze ci ostacolino. Questo sciopero mette in ballo qualcosa di più grande dell’equo compenso: la libertà d’espressione. L’arte è un atto di libertà. E serve a ricostruire le società. L’America lo sa bene».