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 2023  agosto 31 Giovedì calendario

Il punto sui golpe in Africa

All’Eliseo e al quai d’Orsay si vive un incubo. Stavano minacciando i golpisti del Niger di punizioni esemplari e a Libreville in Gabon voilà, la stessa scena. Centurioni in mimetica e baschi di tutti colori dell’iride davanti alla telecamera, uno di loro scandisce la formula dell’ammutinamento: i militari assumono il potere, tutti gli organi dello Stato sono sospesi, le elezioni annullate, state calmi. Hanno atteso solo sessanta secondi dopo l’annuncio che il presidente Ali Bongo aveva vinto le elezioni per il terzo mandato tra furibonde e preventive accuse di brogli. Avevano dunque fretta.
Prima di tirar fuori la solita Wagner e le diavolerie africane di Putin e soprattutto di gridare alla ennesima democrazia africana in pericolo parliamo un attimo della “Famille’’: i Bongo appunto. Una storia, vi assicuro, che garantisce uno sbalorditivo “tableau’’ di quanto accade.
Quando “papà Omar’’, il fondatore dell’Azienda, è diventato presidente correva a Libreville l’anno di grazia 1967: gli americani arrancavano in Vietnam, Nasser faceva fallimento nel Sinai in soli sei giorni, salivano al potere lo scià e Ceausescu; Che Guevara purtroppo diventava una iconica fotografia in Bolivia. A Parigi De Gaulle accudiva “la grandeur’’. I Pink Floyd pubblicavano il primo album. Mancavano ancora il Sessantotto Internet il telefonino il viagra e molto altro. Ma nel vasto palazzo presidenziale ai bordi del mare a Libreville non è successo nulla. Cinquantasei anni dopo “la Famille’’ è ancora lì, incrollabile, da padre in figlio, elezione truccata dopo elezione truccata, a riempire la domestica cassaforte. Fino a ieri quando i centurioni impazienti d’Africa hanno deciso di mandare in pensione il mediocre Ali.
«Sarà un cittadino qualunque» ha tagliato corto con “Le Monde’’ l’uomo forte della Giunta Oligui Nguema, faccia cattiva ma anonima che i colleghi in divisa già invocano alla presidenza. Dettaglio interessante, curioso: il futuro Comune Cittadino è “in residenza sorvegliata’’ a Palazzo ma da lì, in video, invita gli amici a “fare chiasso’’. È la replica di quanto accaduto in Niger, altro recente golpe un po’ strambo, dove il presidente deposto dalla Residenza ha per giorni continuato a telefonare a mezzo mondo prima che i golpisti togliessero la corrente. Bisognerà a questo punto riscrivere “la tecnica del colpo di stato’’ di Malaparte. Gli ammutinati d’Africa che un tempo massacravano le Eccellenze deposte con tutti i parenti dopo frettolose condanne per alto tradimento, corruzione et similia, si son fatti cauti, tentennano. Per non offrire, forse, con truculenze primitive alla Francia, furibonda perché sono golpe senza il suo copyright, lo spunto per intervenire.
Dopo papà Omar, morto nel 2009, è seguita la successione dinastica del figlio Ali con cui la Francia ha proseguito senza rimorsi il tranquillo tran tran della Francafrique. Ignorando ad esempio nelle elezioni del 2016 le documentate accuse di brogli colossali e gli inutili moti di piazza invocanti la democrazia. Nessun tarlo legalista: c’è un amico a Libreville...
La successione spiega molte cose. Un passaggio travagliato perché Omar Bongo, assai prolifico, aveva cinquantaquattro eredi. Da due mogli e trentun compagne. Alcuni figli erano nati nello stesso anno. Il protocollo a palazzo ha richiesto dei veri artisti del cerimoniale, di scuola bizantina. La parola nepotismo appare perfino inadeguata, travolta da simili numeri di massa. Nella tribù anche una figlia cresciuta in America che si è schierata con l’opposizione al fratellastro. Un classico.
Nel testamento che disinvoltamente regolava insieme gli affari di stato e di famiglia come i tempi dei Merovingi sono stati scelti Ali e quella che a Libreville chiamavano “Madame soeur’’, Pascaline: amatissima dal padre e regista di ogni affare, incaricata di gestire la cassaforte, captare ogni possibile lucro e seppellirne gli innumerevoli segreti. Nella biografia un amore giovanile con Bob Marley che gli deve il geniale consiglio della pettinatura “rasta’’ e il primo monumentale concerto in Africa, a Libreville.
Il Gabon, non si dimentichi, è un Paese dove un terzo dei sudditi, dopo mezzo secolo di professionismo politico parassitario della Famille (e di fraterno sodalizio con la Francia) vive sotto il limite di povertà. Omar aveva deciso che i due figli principali si spartissero fraternamente l’uno il Potere e l’altra il Business per cui aveva talento. Invece nel 2014 tra i due scoppiò una Dallas equatoriale: Ali, malaccorto, a costo di scoperchiare i sudici segreti di famiglia, accusò la sorella di aver fatto sparire nei circuiti finanziari paralleli di cui era maestra somme colossali. Lei si ritirò a Parigi in confortevole esilio nel lusso del Sedicesimo, uno dei domicili insieme alle ville di Beverly Hill, Ginevra e Abijan. A un calcolo che gli stessi avvocati impegnati nella avventurosa ricerca di trasparenza giudicarono molto al ribasso, la fortuna dei Bongo ammontava ad almeno 549 milioni di euro. Senza contare il sommerso. Omar Bongo ha investito in tutte le più importanti imprese del paese, banche industrie miniere petrolio trasporti servizi agroalimentari settore farmaceutico. Tutto ruotava attorno a una holding “Delta Synergie’’, scatola nera della economia gabonese i cui sottofondi erano noti solo a Pascaline.
La saga dei Bongo non è l’eccezione ma la regola in quella République dei compari che è ( o era) l’Africa francese. Quando si diventa presidenti si deve avere una sola preoccupazione essenziale: restarlo. Il presidente non regna, non governa: possiede. Ed è qui la chiave del rapporto con la Francia. Se si leggono i nomi dei soci d’affari dei Bongo padre e figlio sembra di sfogliare l’albo d’oro della Borsa francese. Il talento, il vigore individuale degli “amministratori’’ dei paesi d’Africa a cui è stata concessa l’indipendenza ma non troppo, sono certo considerati ma c’è un elemento a cui Parigi è sempre stata sensibile sopra ogni altra : la coincidenza degli interessi e l’obbedienza. Queste sono le regole imperative. Per le altre voci, traffici nepotismo brogli elettorali malgoverno eccedenze poliziesche, esistono accomodamenti. Dissipiamo le ipocrisie anestetiche: non è una questione di geopolitica, di rimasugli o borie storiche coperte di ragnatele. È una faccenda di soldi, di capitalismo losco.
Il Gabon è l’epicentro dell’Africa francese e non solo perché ospita, secondo una schema classico, di colonialismo novecentesco, una delle basi militari. Ma evidentemente al quai d’Orsay sono stati distratti dal rompicapo Niger. Si tolgono bandierine dalla carta geografica, una dopo l’altra: Mali, Burkina Faso, Niger, Guinea e ora Libreville. L’impero è a pezzi.