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 2023  agosto 31 Giovedì calendario

Favino apre la Mostra

Arrivano ventisei uomini che ti hanno sparato addosso un momento prima, e dividi con loro il cibo e i centimetri di spazio. Cinque sono africani, nell’Italia fascista c’erano le leggi razziali. Un film su accoglienza e soccorso, e in tempo di guerra, fa venire il mal di mare. Si comincia subito con le polemiche.
Gli unici a restare calmi, nell’onda anomala che avvolge Comandante, il film che ha aperto la Mostra, sono il regista Edoardo De Angelis e l’attore Pierfrancesco Favino. Si teme il giudizio di Matteo Salvini, in sala come vicepremier, sulla storia di Salvatore Todaro. Nel 1940 alla guida di un sommergibile dopo aver affondato un mercantile belga che navigava a luci spente, lo affonda, decidendo subito dopo di salvare i 26 naufraghi che trasportano materiale bellico per gli inglesi.
Dice il regista: «Le reazioni di chi vede trascendono il controllo di chi il film lo ha fatto. Mi auguro si convenga che esistono leggi eterne come quelle del mare che non vanno infrante mai». Aggiunge Favino: «Essere italiani significa salvare vite umane. Nulla di creativo viene dalla paura, non si può fare nulla se si ha paura che qualcosa succeda. Le mie più grandi vittorie le ho avute quando sono andato contro il fatto che qualcuno potesse dire qualcosa: non avrei interpretato Buscetta, o Craxi. Decisi di fare Sanremo e mi sentii giudicato dal mio ambiente ancora prima di andarvi. Ma il Festival cambiò la percezione su di me. Salvini? «Il mio mestiere non è cambiare la testa delle persone, ma dare la possibilità di pensare ciò che si vuole. Ma non mandiamo via la gente dalle sale».
Il comandante belga salì a bordo del pesce di ferro e chiese a Todaro: «Perché ci avete salvati?». E lui: «Perché siamo italiani». Un militare fascista che si considerava prima di tutto monarchico e uomo di mare. Il film fu concepito nel 2018, quando Salvini era ministro degli Interni. Si parlò di porti chiusi. «Scoppiò il disonore di disattendere le più elementari e millenarie regole del mare – ricorda Sandro Veronesi che qui è sceneggiatore – c’era un clima pesante e sprezzante, è finita la pacchia, le crociere dei rifugiati… La storia di Todaro era perfetta per ribadire la civiltà mediterranea a cui apparteniamo. Lui aveva messo il servire la patria prima della famiglia e il rispetto delle regole davanti al servire la patria».
L’Italia poi ha virato a destra, ma nessuno teme letture strumentali. «È una storia – dice Favino – su cosa significhi essere italiani, anche se non c’è un solo modo di esserlo. Vengo da una famiglia in cui dovevo cedere la mia camera se i miei portavano a casa un ragazzo preso al semaforo, sarà perché sono di origini del Sud, dove se si mangia in sei si può mangiare in otto. La mia porta è sempre stata aperta».
Recita in dialetto veneto: «Sarebbe stato più facile un modo di parlare più caldo, invece certe asprezze e monotonie consentono una strada meno scontata all’emozione. Todaro non era partito in missione con l’idea d salvare vite umane: lo scoprì dopo». Ha parlato con la figlia, Graziella Marina, che non ha mai conosciuto suo padre, morto nel 1942. E si è commosso: «Mi ha detto, non ho mai sentito la voce di papà, ora ce l’ho».
Favino, per il ministro della Cultura Sangiuliano «il cinema deve declinare l’immagine positiva dell’Italia nel mondo». «Io sono orgoglioso di esserlo, bisogna mettersi d’accordo su cosa significhi, per me, ripeto, il tema dell’accoglienza è essere italiano».