il Giornale, 30 agosto 2023
Quando la musica fa campagna elettorale
Washington Chi ti ha dato il permesso? È questo il senso della lettera che Eminem ha fatto recapitare a Vivek Ramaswamy, dopo che il candidato repubblicano alla nomination 2024, durante un evento elettorale in Iowa, si era lanciato in un’interpretazione (niente male, a dire il vero) di Lose Yourself, una delle hit più celebri del rapper di Detroit. «You only get one shot, do not miss your chance to blow. This opportunity comes once in a lifetime», scandiva dal palco Ramaswamy, che a quanto pare si cimenta col rap dai tempi del college. Il messaggio: votate me, che sono il più giovane (38 anni) e il più innovativo.
Eminem, che di anni ora ne ha una cinquantina, evidentemente non ha apprezzato e ha fatto recapitare all’imprenditore di origine indiana una lettera nella quale gli contestava l’uso non autorizzato della sua musica. «Rispettiamo la richiesta dell’artista», hanno replicato dalla campagna di Ramaswamy, che però si è voluto prendere una piccola rivincita personale su X, postando una sua foto sul palco accanto a un’immagine dello stesso Eminem, ritratto con l’aria un po’ dimessa. «Chi è il VERO Slim Shady?», il commento, in riferimento all’alter ego usato in passato dal rapper. Per Ramaswamy, che si propone come il «nuovo Reagan», unico in grado di attirare sulle sponde del Gop il voto dei giovani, si è trattato di un inciampo, non certo il più grave della sua campagna, dopo gli scivoloni su politica estera e Ku Klux Klan (ha paragonato una deputata afroamericana al Gran Maestro del KKK).
Lo stesso inciampo, del resto, nel quale incorse nel 1984 il vero Ronald Reagan, che tentò di utilizzare Born in the Usa di Bruce Springsteen come inno della sua campagna. Il «Boss» non la prese bene e negò il permesso. All’epoca, Springsteen sembrò prendere le distanze dalla politica in generale, per tenersi al riparo da qualsiasi strumentalizzazione. In seguito, salì sui palchi delle campagne presidenziali di Barack Obama e, nel 2020, la sua The rising fu l’inno della Convention democratica del 2020. In generale, i Repubblicani non sono fortunati con le colonne sonore. Solitamente, l’universo pop-rock Usa (con qualche eccezione, soprattutto sul versante country) pende a sinistra. Nel 2008, i Foo Fighters chiesero a John McCain di non suonare più nei suoi comizi la loro My hero e Jackson Browne gli fece causa per l’uso non autorizzato della sua Running on empty. Donald Trump ha ricevuto decine di altolà da star del calibro di Adele, Neil Young, Phil Collins, Prince, Rolling Stones, Queen e Pharrell Williams: non usare la nostra musica ai tuoi comizi. Il fatto è che negli Usa non occorre chiedere un’autorizzazione preventiva per l’impiego di un brano musicale. Per le manifestazioni pubbliche si può accedere (pagando i diritti) ai cataloghi di organizzazioni tipo Bmi o Ascap (le Siae americane).
Gli artisti che non gradiscono, possono però chiedere la rimozione dei loro brani dai cataloghi. Altro esempio, quello del fenomeno musicale del momento, il cantante folk della Virginia, Oliver Anthony, sconosciuto fino a poche settimane fa, che ha totalizzato centinaia di migliaia di ascolti e visualizzazioni sul web con la sua Richmen north of Richmond, inno country di un’America povera e disperata. I Repubblicani hanno tentato di appropriarsene in chiave anti-Biden. I Dem, per reazione, lo hanno tacciato di demagogia. Anthony ha preso le distanze da entrambi, bastonando sia a destra che a sinistra. Il problema, ha detto, è lo stato attuale della politica, a prescindere dal colore, il problema sta a Washington, troppo distante dalla vera realtà del Paese.