Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 30 Mercoledì calendario

La Siria torna in piazza contro al Assad


“Lunga vita alla Siria, abbasso Bashar al Assad”, scandisce un gruppetto di ragazzini davanti alla sede del partito Baath di Suwayda, e subito torna alla mente la primavera del 2011, quando la rivoluzione siriana non era ancora degenerata nella guerra civile più devastante di questo inizio secolo: 500mila morti e 12 milioni di sfollati, la metà all’estero. Come 12 anni fa, la rabbia contro Assad risale dal Sud, dal cuore dei territori controllati dal regime, ma questa volta a sollevarsi non è la città sunnita di Daraa, è la capitale della minoranza drusa (il 3% circa della popolazione) che partecipò ai primi moti del 2011 ma si è poi tenuta lontana dalla guerra civile. Non tanto perché sostenesse il regime, anzi – le milizie locali druse dello sceicco al-Karama ottennero che a nessuno fosse imposto di unirsi all’esercito siriano – ma per il timore che a prendere il potere fossero gruppi islamisti sunniti che imperversavano a Nord, con conseguenze nefaste per la minoranza perseguitata a più riprese nel corso della storia.
Da dieci giorni i siriani di Suwayda sono tornati in piazza, nel centro città e in numerosi villaggi della provincia, a decine e poi a centinaia, donne, bambini, anziani, studenti, cortei pacifici su cui svettano le bandiere druse e il 2254, il numero della risoluzione con cui nel 2015 l’Onu chiese un governo di transizione e una soluzione politica del conflitto. I manifestanti hanno bloccato alcune strade, due giovani si sono spinti fino a bruciare una grossa immagine di Assad. Gli uffici del partito Baath, presi di mira, sono stati chiusi in diverse zone della provincia. Negli ultimi anni a Suwayda c’erano già state proteste per la grave crisi economica, contro il traffico di droga e la presenza iraniana, «ma mai con un numero così alto di persone e in così tanti villaggi», racconta aRepubblica Nour Radwan, fondatore del sito di notizie Suwayda24, rifugiato in Olanda.
La crisi economica ha fatto da detonatore, in un Paese stremato dalla guerra e sotto embargo anche se Assad è stato appena riabilitato dalla Lega araba e spera di riprendere a fare affati almeno col Golfo. La sterlina siriana è ai minimi storici, la scorsa settimana il governo ha abolito i sussidi per pane e benzina, facendo aumentare ancora di più il costo della vita per una popolazione che al 90% vive già sotto la soglia di povertà (fonte Onu). «Non sono solo le difficoltà economiche, la gente vuole un cambio di regime – dice Radwan -. Molti hanno sperato in un intervento della comunità internazionale, ma non è successo e tornare in strada è l’unica soluzione».
La Siria non è più quella del 2011, è terreno di scontro tra potenze straniere. Assad governa circa il 60% del Paese, ma grazie al sostegno dei russi, che hanno conquistato lo sbocco sul Mediterraneo, e degli iraniani, che controllano pezzi dell’apparato economico e di sicurezza siriano. A Nord e Nord Est ci sono le Forze arabo- curde, alleate degli Usa. Il Nord Ovest è in mano ai ribelli di Idlib sostenuti dalla Turchia. «Ecco perché a Suwayda chiedono una soluzionedall’esterno e ora sperano che Damasco e le città della costa sotto Assad si uniscano alle manifestazioni».
Lo sceicco Hikmat Al-Hijri, leader spirituale dei drusi di Suwayda, è con i manifestanti: «Avete diritto a una vita dignitosa», ha detto. Manon vuole rompere con l’apparato statale perché Suwayda è una regione molto povera». Acqua, elettricità e cibo arrivano dalle zone controllate dal regime. Assad potrebbe spegnere il dissenso anche senza sparare un colpo.