Corriere della Sera, 30 agosto 2023
Intervista a Giampiero Garofalo
A San Siro non c’è mai stato, né per un concerto né per una partita, nonostante il tifo per il Napoli. Giampiero Garofalo, 29 anni, lo vedrà finalmente da molto vicino quando, dal 30 agosto al 3 settembre, nel limitrofo Ippodromo sarà fra i protagonisti del Fei Jumping European Championship, trentasettesima edizione del campionato europeo del salto ostacoli di equitazione, la terza in Italia dopo Roma (1963) e San Patrignano (2005): «Sarà una bella emozione, daremo il massimo davanti ai tifosi. Peccato che non ci sia mio fratello Antonio. Purtroppo il suo cavallo non era al 100%».
Un bel rapporto il vostro.
«Ha quattro anni più di me, ma siamo legatissimi. Ci sentiamo più volte al giorno, in fin dei conti condividiamo la stessa passione e ci siamo passati anche il primo cavallo. Si chiamava Geronimo, lo abbiamo tenuto con noi fino a quando non è morto di vecchiaia. Che dolore, come perdere uno di famiglia. Un cavallo non è un giocattolo da buttare via quando si rompe».
Lo sa bene anche suo papà Paolo.
«Aveva una scuderia a Napoli, ricordo quando mi portava in braccio a cavallo, poi a sei anni la prima gara. Ci ha insegnato tutto quello che poteva: gli è riuscito piuttosto bene».
Per esempio?
«Capire che ogni cavallo è diverso dall’altro e che è fondamentale instaurare una connessione con lui, toccando i tasti giusti. Non tutti possono fare la stessa cosa allo stesso modo, ciascuno di loro apprende in modo diverso. Sono come gli esseri umani, hanno bisogno di fidarsi al 100% del loro cavaliere».
E come si costruisce questa fiducia?
«Tranquillizzandolo, facendogli sentire la propria voce una volta in sella. Io poi ci passo molto tempo, spesso mi fermo davanti al box e li accarezzo».
Ha seguito questa sua passione ovunque.
«A 14 anni già capitavo spesso a Milano, poi con mio fratello abbiamo deciso di affittare una scuderia a Roma Sud. Da lì ho intrapreso un piccolo tour europeo che mi ha portato da Padova all’Olanda, infine Germania e Belgio, dove gestisco una scuderia con la mia fidanzata. Si chiama Lisa, anche a lei piacciono i cavalli e per me è un grande sostegno. Che pazienza che ha, sono uno molto testardo».
Fra le virtù dell’equitazione c’è che uomini e donne gareggiano insieme.
«E perché mai dovrebbero farlo separatamente? Sì, siamo fra le poche discipline ad avere questo pregio. Ma d’altronde ci sono donne molto più forti di me».
Com’è la sua giornata tipo in Belgio?
«Quando non fa troppo caldo inizio a cavalcare verso le 7.30 e continuo fino all’ora di pranzo, salvo poi riprendere e staccare alle 17. Monto otto cavalli al giorno, non di più. Non sono animali usa e getta».
Ma non le manca casa?
«A dire il vero sto molto bene in Belgio. Poi, certo, la famiglia manca. Così come il cibo. Dalla pizza a una bella mozzarella di bufala».
Se non fosse diventato cavaliere, cosa avrebbe fatto?
«Fin da piccolo ho avuto in testa sempre la stessa cosa, i cavalli. Sì, ogni tanto giocavo a calcetto con gli amici, così come oggi nel tempo libero mi diverto a sfidare la mia fidanzata a tennis. Ma la passione è solo una, l’equitazione. E ho un sogno, prendere parte alle Olimpiadi. Ai Giochi di Parigi si qualificheranno le tre squadre che in questi campionati Europei collezioneranno il punteggio più alto».
Ci sarà tutta la sua famiglia a fare il tifo per lei.
«E non vedo l’ora. Mio padre non ha mai preso parte a un Europeo, mio fratello invece ha partecipato a quello del 2021 a Riesenbeck, in Germania, e al Mondiale di Herning l’anno scorso in Danimarca».
Ma perché un non appassionato dovrebbe venirvi a vedere all’Ippodromo di San Siro, nell’evento che si svolge da oggi al 3 settembre?
«Perché sarà un appuntamento con la storia e per riscriverla avremo bisogno dell’energia di tutti. L’Italia ha vinto solo due ori individuali, con Piero d’Inzeo a Parigi nel 1959 e con Graziano Mancinelli a Roma nel 1963. Una vita fa, è passato decisamente troppo tempo».