Corriere della Sera, 30 agosto 2023
Martina Corgnati racconta la mamma Milva
Milva era la carnalità aggressiva di Milord, e l’ebbrezza della canzone popolare. La donna che (in scena) visse due volte: da Sanremo a Strehler. A sua figlia Martina Corgnati, affermata storica dell’Arte e docente a Brera, diciamo che la sua parabola ricorda quella di Silvana Mangano, da Riso Amaro a Visconti. «Sì – risponde – ma con una differenza. In Milva il cambiamento non avvenne poi, ma durante: La Filanda è del 1970, cantava Brecht già nel ’67; sei anni dopo fece L’Opera da tre soldi e contemporaneamente interpretava una prostituta in un musical con Gino Bramieri».
Chi era Milva?
«Una madre severa che mi ha insegnato che una donna deve badare a sé stessa, essere indipendente; una personalità forte ma insicura, con un disperato bisogno di conferme. Non è mai mancata l’unità e la solidarietà. E mi amava. Era intuitiva, empatica, però era subito altrove, non riusciva a parlarmi per più di 15 minuti consecutivi. La separazione tra lei e mio padre Maurizio, regista, fu dura. Lei aveva 29 anni, lui 51 e io 5 anni. Sono cresciuta con mia nonna materna, Noemi, in una villona orribile a Leinì, vicino a Torino. Milva veniva quando poteva. Era presa dalla sua vita professionale. Viveva a Milano con il compagno, l’attore Mario Piave, che amava i bambini. In cucina era negata, le piaceva mangiare bene ma una volta cimentandosi nella carbonara chiese: nell’acqua della pasta l’uovo va col guscio? Diciamo che era in grado di scaldare piatti pronti senza bruciarli».
La famiglia d’origine?
«Era umile, sua madre era sarta, suo padre vendeva il pesce al mercato generale, e quando anni dopo il camion si rovesciò il cruccio di Milva fu di ricomprargliene un altro. La famiglia di mio padre, che fu partigiano, uomo meraviglioso, era di avvocati e notai».
È vero che sua madre ebbe un aborto?
«Sì, prima di concepire me, a 22 anni. Lei voleva il figlio, mio padre riteneva che non fosse il caso. Si prestò a fare una cosa che non voleva e non sentiva. La cosa fu ancora peggiore perché sarebbe stato figlio dell’amore. L’ho scritto nel libro appena uscito, Milva. L’ultima diva, un’autobiografia che è uno psicodramma perché è in terza persona, come se io prendessi il suo posto. Non ho voluto fare pettegolezzi e aggiungere il piccante a certe cronache impietose e scandalistiche dell’epoca. Però la racconto in maniera autentica, anche in episodi delicati, per esempio è stata felice di avere una figlia ma forse avrebbe preferito un figlio maschio, come tutti negli Anni ‘60».
Capitolo Alexanderplatz. Con Franco Battiato ci fu un sodalizio speciale.
«Era un tipo di uomo mai conosciuto prima, colto, anticonformista, con una formazione tutta sua, orientale, e un grande equilibrio interiore. Mia madre, che era molto credente, trovò in Battiato uno più vicino di lei a Dio. Anch’io diventai amica di Franco, mi diede una particina nel suo film Perduto amor, andammo a Mosca e per poco non ci arrestarono, per entrare al Bolshoi ci rivolgemmo ai bagarini, che lì sono fuorilegge. I ricordi su Battiato mi portano ai successi in Germania».
La Germania amava Milva: Milva amava la Germania?
«Flirtava con l’idea di trasferirvisi, ma non ci andò mai in vacanza. Restava tutto il tempo necessario per i concerti. La chiamavano Die Grosse Dame. Riempiva palazzetti da 10 mila persone, si metteva il giubbotto nero di pelle, la aspettavano all’uscita come se fosse Elton John. In tanti erano convinti che fosse tedesca. In realtà imparava a memoria i testi delle canzoni ma non parlava la lingua. Milva la cultura se la costruì con la tenacia, aveva un complesso di inferiorità verso il mondo accademico».
L’amicizia con Piazzolla?
«Hanno lavorato tanto insieme, lui era caustico, Astor faceva scherzi pesanti, era proprio l’hombre vertical argentino, una volta usò il rossetto di Milva per scrivere sullo specchio del bagno che un suo musicista era gay. Una cosa impensabile oggi».
L’incontro con Strehler?
«Regista immenso, negato a recitare. Quando un attore era troppo protagonista, in prova, si metteva davanti perché voleva recitare lui. A Milva cambiò il look, capelli sciolti e d’un rosso vivo, la trattava come una bambina, la chiamava Milvina, era il rapporto tra il maestro e l’allieva. In punto di morte, dopo essere stato assolto dall’accusa di Mani Pulite per uso illecito dei finanziamenti al Piccolo, in una serata celebrativa lui le disse: ma perché noi due non abbiamo mai avuto una storia?».
Anche sua madre ebbe un guaio fiscale.
«Il polverone lo sollevò un funzionario svizzero, fu un’inezia chiarita in poco tempo, ma ai media la notizia arrivò prima dell’accertamento e spararono titoli cubitali. Fausto Bertinotti disse: con i soldi sottratti da Milva al fisco si potevano aprire degli asili nido; lei era con lui, comunista, ai cortei del 25 aprile, sfilavano insieme. Lo visse come un tradimento. Per tanti anni ebbe la tessera del Pd, fu come se i tuoi amici ti sputassero addosso. Non osò più uscire di casa fino a quando tutto si chiarì. Milva ha sempre guadagnato onestamente e pagato le tasse».
Era impegnata politicamente a sinistra e amava il lusso e le pellicce.
«È così, fa parte della sua discontinuità. Ha vissuto tante vite: ragazzina povera del Delta del Po, signora borghese a Torino, la rossa della libertà politica, la superstar internazionale come forse nessun’altra in Italia... Quando si comprò il suo primo diamante non stava nella pelle. Era ossessionata dal denaro, contava e ricontava ogni compenso, ogni pagamento avvenuto, scriveva quanto guadagnava».
La pantera di Goro era tormentata.
«Non riusciva a stare da sola, mio padre fu il suo mentore».
A Sanremo cantò Sono felice: lo fu mai?
«Fu molto amata. Era generosa. Ed era tutta alta e bassi, aveva degli aspetti depressivi ma rifiutò di andare in analisi, non era il tipo, diceva datemi il Prozac e finiva lì. Negli ultimi anni fu dilaniata dai sensi di colpa: sia verso mio padre, lasciato per Mario Piave (una passione che finì), sia per aver privato me di un’infanzia con i genitori».
Come artista, gli ultimi anni furono complicati.
«Fece un bel disco con Giorgio Faletti, che era popolarissimo come scrittore di gialli, ma non vendette, capì che non era più il suo tempo. Ebbe una malattia neurologica degenerativa, dal 2007 fino alla morte, nel ’21. Anni che non auguro a nessuno. Aveva perso il controllo ma fino all’ultimo mi riconobbe. L’ultima partecipazione pubblica fu a una kermesse per aiutare le vittime del terremoto in Emilia Romagna, nel 2010. Ho donato all’università di Bologna il suo archivio di spartiti, manoscritti, dischi, foto, premi e onorificenze. Ascolto sempre i suoi dischi».
A lei piace più quando era popolare o sofisticata?
«Mi piace Lili Marleen, non perché sia più colta, è il mio gusto».