Corriere della Sera, 30 agosto 2023
C’era una volta Christiania
Cose proibite a Christiania: droghe pesanti e oggetti rubati, automobili private e fuochi d’artificio, giubbotti antiproiettile e gang di motociclisti. Cose permesse: quasi tutto il resto.
Ognuno dei (pochi) divieti vigenti nel quartiere-Stato di Copenaghen, enclave hippy e anarchica che si autogoverna da mezzo secolo a un chilometro dal Parlamento danese, ha le radici in un episodio traumatico della storia di Christiania. E ora la lista potrebbe allungarsi: dopo cinquant’anni di «canna libera» e tollerata dalle forze dell’ordine (nonostante in Danimarca le droghe leggere siano illegali) i residenti del quartiere-Stato hanno deciso di sbattere fuori gli spacciatori, dopo un’ennesima sparatoria in cui è scappato il morto. Anche la sindaca, Sophie Haestorp Andersen, è dalla loro.
L’impresa non sarà facile, considerato che la via centrale del quartiere – paradossalmente un ex complesso militare – è battezzata persino sulle mappe di Google come «Pusher Street», via degli spacciatori, ed è tra le principali attrazioni turistiche del Paese con mezzo milione di visitatori ogni anno. Ma non è la prima volta che i residenti di Christiania, Comune fondata nel 1971, cacciano gli estranei sgraditi. Negli anni Ottanta, per esempio, era arrivata una gang di harleyisti chiamata Bullshit a controllare il commercio dell’hashish; i christianiti, così si chiamano i residenti della zona, ebbero la meglio facendone uccidere il leader niente meno che dagli Hell’s Angels.
Così vuole la leggenda. Oggi subentra la cronaca: le bancarelle degli spacciatori di «Pusher Street» sono nelle mani del crimine organizzato e fonte di sempre maggiori violenze, con mille arresti circa nel 2022, sparatorie e incidenti. Dai primi Duemila sei persone sono morte in regolamenti di conti, e decine feriti; nel 2009 un ragazzo ha perso la mano per l’esplosione di una granata in un dehors.
Sabato la più recente delle sparatorie, con un morto, un giovane di trent’anni, e quattro feriti gravi; la polizia ora cerca i due sicari, che si sono presentati a Christiania mascherati, a bordo di biciclette elettriche. Quando è troppo, è troppo. E i residenti, che tengono alle droghe leggere ma ancor più allo stile di vita pacifico e rilassato, protestano.
«Finché esisterà un massiccio commercio illegale di droghe leggere, ci sarà una lotta violenta e mortale per il mercato», recita una loro nota pubblicata domenica. È stata scritta collegialmente, come collegiale è ogni decisione che i circa 850 abitanti, alcuni dei quali residenti sin dalla fondazione, prendono riguardo la vita comune. Anche per trasferirsi a Christiania si deve sostenere un «colloquio» con loro. «Una possibile soluzione», suggeriscono i christianiti nella nota, «sarebbe che lo Stato regolasse il mercato. Ma non possiamo attenderlo. I processi politici sono lenti e le gang invece agiscono con rapidità e brutalmente. Christiania è stata l’avanguardia del mercato della cannabis per tutta la Danimarca, da mezzo secolo. Ma ora questo periodo storico deve finire».
L’enclave di Christiania, con tanto di bandiera (rossa con tre palle gialle) e autogoverno (tollerato, non riconosciuto da Copenaghen), fu fondata nel 1971 dal «provo», cioè provocatore, Jacob Ludvigsen: provocatore perché, come molti attivisti dell’epoca, innescava reazioni violente della polizia con proteste non violente. Christiania è l’unica delle «zone autonome» d’Europa nate in quegli anni – Carnaby Street a Londra, il Tacheles a Berlino – che è rimasta se stessa, compatibilmente coi tempi. Lo ha fatto, anche, tarando sempre la bilancia tra libertà e degrado.
Se negli anni Settanta era nota per la sporcizia, l’urina dei gatti randagi, il dilagare dell’eroina, già nel 1989 il Parlamento legalizzava l’occupazione, anche grazie allo sforzo degli abitanti di «ripulirsi» e di cacciare eroinomani e gang di motociclisti. Nel 2012 i residenti si sono comprati il terreno dal comune, mettendo fine del tutto al periodo dell’«occupazione». Con questo stesso spirito, oggi vogliono cacciare i pusher: non la droga, ma la malavita che la gestisce. Ne va dell’identità del luogo, più pacifista che «fattone». Funzionerà?