Corriere della Sera, 30 agosto 2023
I fondi di Mosca bloccati nella Ue stanno generando miliardi. Cosa farci?
Una delle conseguenze della guerra in Ucraina è che Euroclear, nella prima metà dell’anno, ha registrato 1,7 miliardi di euro di proventi in più. Euroclear è uno snodo oscuro ma vitale dell’architettura finanziaria in Europa: basato a Bruxelles, è il depositario centrale di tutti gli scambi in obbligazioni e conta fra i primi azionisti le banche pubbliche di sviluppo della Francia e del Belgio, oltre a JpMorgan, alla Borsa di Londra e alla banca centrale cinese. È lì che vengono versati i flussi di cassa degli investimenti in euro di proprietà della banca centrale russa, quando i titoli scadono. Ma poiché le riserve di Mosca sono congelate dalle sanzioni europee, Euroclear non può trasferire i fondi alla Russia: il denaro si accumula a Bruxelles e la piattaforma ne reinveste una parte in modo sicuro, generando proventi da cedole.
A metà di quest’anno, la società belga custodiva fondi della Federazione russa per circa duecento miliardi di euro. È probabile che entro dicembre quasi tutte le riserve congelate di Mosca siederanno nei conti del depositario di Bruxelles e il flusso di cedole del 2023 arriverà attorno ai tre miliardi. Si tratta di una situazione senza precedenti storici: metà dei fondi liquidi di proprietà dei cittadini di una delle maggiori economie del mondo – congelati – continuano a produrre sempre nuovi flussi di cassa. Una loro gestione più attiva in teoria potrebbe generare fino a dieci miliardi o più all’anno.
Sono questi i calcoli che alimentano la proposta di alcuni governi e leader in Europa o nel G7: usare i proventi dei reinvestimenti delle riserve russe per coprire le spese dell’Ucraina; passare a Kiev non i soldi di Mosca – sarebbe una violazione del diritto internazionale – ma quelli generati dalla gestione assicurata da Euroclear dei soldi stessi di Mosca. Sarebbe un passo, non privo di rischi, per coprire almeno parte degli oltre 40 miliardi di dollari all’anno che il ministro delle Finanze ucraino Serhiy Marchenko chiede per permettere al suo Paese di pagare gli stipendi, coprire le spese essenziali e restare in piedi.
All’interno del G7, questa ipotesi divide profondamente gli europei dall’establishment di politica estera degli Stati Uniti e dal governo del Canada, che spingono molto perché Bruxelles usi i proventi dai fondi russi. Anche l’Europa al suo interno è lacerata sulla proposta: la Banca centrale europea guida il fronte dei contrari, mentre quello dei favorevoli conta nei suoi ranghi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. L’ultima mossa in ordine di tempo è stata del governo francese: Parigi propone di segregare i flussi dei reinvestimenti delle riserve sovrane russe in un fondo vincolato, implicitamente in vista di un utilizzo a favore di Kiev in futuro.
Non sarà affatto facile. Durante l’estate la presidente della Bce Christine Lagarde ha messo per iscritto a Charles Michel, il suo omologo del Consiglio europeo, tutti i motivi della sua freddezza. La lettera di Lagarde resta riservata, dunque i contenuti esatti non sono noti. La presidente della Bce però teme le conseguenze negative di una mossa del genere, anche se essa fosse legale nella forma di tassa sugli «extra-profitti» di Euroclear. Secondo la Bce l’uso dei proventi delle riserve russe segnalerebbe negli altri Paesi emergenti che per loro il mercato dei titoli in euro è rischioso, perché le autorità europee possono impadronirsi dei fondi depositati per ragioni politiche. Il ruolo dell’euro come moneta di riserva globale ne sarebbe minacciato e, se si verificasse una graduale uscita dei grandi fondi sovrani dai titoli europei, il costo in interessi del debito di Italia o Francia potrebbe salire. Di sicuro queste valutazioni hanno spinto nei mesi scorsi i governi di Roma, Parigi e Berlino a opporsi alla confisca e all’uso diretto delle riserve russe per finanziare Kiev.
Un recente studio di tre economisti della Bce mostra che non si tratta di un timore infondato. Dopo il congelamento delle riserve russe nel 2022, il gruppo dei Paesi politicamente più vicini a Mosca ha iniziato ad accumulare più oro nelle proprie riserve, come alternativa a euro e dollaro. Di recente l’ex leader del Brasile Dilma Rousseff, presidente della New Development Bank di creazione cinese, ha preso ad alimentare l’idea che di euro e dollaro non ci si possa realmente fidare nei Paesi emergenti. Così l’Europa è tra due fuochi: da una parte l’imperativo di sostenere l’Ucraina a costi sempre più alti; dall’altra la paura di perdere peso in un sistema internazionale che gli alleati della Russia vogliono ridisegnare a loro favore.