il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2023
Contro Luigi Zanda
Con quei capelli un po’ così, da pennello cinghiale intinto nella ghisa fusa, Luigi Zanda incarna meravigliosamente (?) bene tutto quel che non dovrebbe essere, ma purtroppo quasi sempre è, la cosiddetta “sinistra” italiana. Persino adesso che non è più senatore, dopo quasi vent’anni (dal 2003 al 2022) vissuti orgogliosamente da fedele alla linea a prescindere da quale fosse (o non fosse) la linea, Zanda continua a tuonare contro tutti coloro che dentro al Pd osano spostare un po’ troppo l’asse verso sinistra. Non sia mai: a Zanda, il Pd, piace solo quando sembra quel che troppo spesso è sin qui sembrato, ovvero una Forza Italia che non ce l’ha fatta.
La storia di Zanda è quella dell’uomo di potere, che si muove benissimo dietro le quinte a prescindere da dove tiri il vento. Nato a Cagliari nel 1942. Laurea in Giurisprudenza. Comincia all’ufficio legale dell’IRI, poi quasi dieci anni nel consiglio di amministrazione del gruppo Espresso, nonché vicepresidente della sezione editoriale periodici dello stesso gruppo (compreso MicroMega, con cui non c’è mai entrato nulla). È poi presidente del Consorzio Venezia Nuova, quindi di Lottomatica. Con Rutelli sindaco, diviene presidente e amministratore delegato dell’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo 2000. Nel febbraio 2002 è consigliere di amministrazione Rai in quota minoranza (Margherita), ma si dimette a causa “(dell’)impossibilità di collaborare positivamente con il presidente Antonio Baldassarre e con il direttore generale Agostino Saccà”. Resterà la sua mossa più coraggiosa e condivisibile.
Per inquadrare il personaggio, che – a parte il periodo renziano – ha sempre disdegnato apparire, giova ricordare un suo ruolo nevralgico: quello di segretario-portavoce di Francesco Cossiga al ministero dell’Interno (1976-1978) e poi alla Presidenza del Consiglio nei terribili primo e secondo governo Cossiga (1979-1980). E Dio solo sa quanti segreti, scandali e imbarazzi abbia dovuto gestire Zanda, all’epoca la persona più vicina a uno degli uomini più potenti e controversi d’Italia. Quell’esperienza lo ha fortificato e plasmato. Quando tutti urlano, lui se ne sta in disparte, lascia che gli altri si “scannino” e poi – alla fine, ovvero quando conta – sferra silenziosamente il colpo. Dal 2013 al 2018, dunque con l’esplosione di Renzi, Zanda fu capogruppo del Pd al Senato. In tivù lo vedevi spesso, e non era mai una bella notizia. “Spietato” contro gli oppositori: abbastanza furbo per non entrare mani e piedi nello sgangherato giglio magico della Diversamente Lince di Rignano, ma scaltrissimo nel fingersi renzianissimo. Qualsiasi minoranza interna era da lui osteggiata. Con Zingaretti, che reputava troppo di sinistra (o peggio ancora troppo “grillino”), si sentì di colpo isolato. Per questo cominciò a deragliare: propose un adeguamento degli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei (che li avrebbe di fatto aumentati); quindi votò “no” alla riduzione dei parlamentari, contro la stessa indicazione di Zingaretti, Persino ora che non è più parlamentare, non ha smesso di “picconare” (per citare il suo maestro Cossiga). La Schlein è d’accordo sul rinvio di cinque anni dell’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari, come i 5Stelle e come Olaf Scholz? Per Zanda è inaccettabile. E subito parte il processo alla Schlein. Ecco: a dispetto di quel che sostengono non pochi tromboni e giornaloni, la rabbia degli Zanda è manna dal cielo per Schlein. Se le sue mosse non sono condivise da “Pennello Cinghiale” e altri residuati renzian-cossighiani, vuol dire che la strada intrapresa è quella giusta. Anzi giustissima.