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 2023  agosto 29 Martedì calendario

La disfida dell’abaya in Francia

«Non c’è posto per l’abaya nelle nostre scuole», dice il giovane ministro dell’Istruzione, Gabriel Attal. Il governo francese si prepara alla riapertura degli istituti tra qualche giorno e lancia una nuova battaglia contro la tunica musulmana molto diffusa tra le donne in Medio Oriente, e ora indossata da tante ragazze francesi. L’abaya è un abito largo che ha cominciato ad apparire in molti licei d’Oltralpe, mettendo in difficoltà professori e presidi, indecisi su come comportarsi rispetto alla legge del 2004 che vieta “simboli religiosi”. Approvata quasi vent’anni fa, la normativa non permette di indossare in classe il velo islamico, ma neanche la kippah per gli ebrei o un crocifisso per i giovani cristiani. La legge che si applica quindi a tutti i culti, ormai accettata e rispettata, viene adesso sfidata da un nuovo indumento promosso da gruppi di influencer musulmane su YouTube a tendenza integralista.
Per il ministro Attal, 34 anni, fedelissimo di Macron nominato appena due mesi fa in uno dei dicasteri chiave dell’esecutivo, l’abaya rappresenta addirittura un “attacco politico” contro la laicità, principio cardine della scuola pubblica francese che risale alle famose leggi del ministro Jules Ferry nel lontano 1881. Attal ha annunciato ieri, per la sua prima rentrée da ministro, una circolare che vieterà esplicitamente questa tunica che copre qualsiasi forma, assimilata ai capi già citati dalle regole del 2004 anche se la definizione è controversa. L’abaya non è infatti un indumento direttamente legato al culto musulmano ma alla cultura di alcuni paesi. «È un abito chiaramente religioso», sostiene invece il portavoce del governo, Olivier Véran, secondo cui è anche un modo per tante giovani di fare «proselitismo a scuola».
Qualche mese fa il Comitato interministeriale per la prevenzione della delinquenza e della radicalizzazione aveva allertato sul fenomeno. «Dietro a questa retorica, che può sembrare una provocazione adolescenziale o una dichiarazione di moda, c’è una strategia islamista strutturata per penetrare nelle menti epreparare le generazioni future», scrivevano gli esperti dell’organo di vigilanza. Una battaglia condivisa a destra, dal partito di Marine Le Pen a quello dei Républicains, che avevano accusato l’ex ministro dell’Istruzione, lo storico del colonialismo Pap Ndiaye, di non essere abbastanza netto nella risposta a questa “provocazione”. A sinistra le posizioni sono più sfumate, con i socialisti – già promotori della legge del 2004 – favorevoli al nuovo bando dell’abaya, mentre la gauche più radicale resta critica. Secondo il leader della France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, la misura del governo servirà solo a «polarizzare ulteriormente lo scontro politico e dare il via a un’assurda guerra di religione». Alcuni esponenti ecologisti parlano di misura “islamofoba”, che discrimina ancora di più i giovani musulmani.
Non è escluso che associazioni di musulmani facciano ricorso al Tar contro la circolare del governo, puntando sulla mancanza di una chiara definizione dell’abaya come simbolo religioso. Il primo test sarà la settimana prossima, quando riapriranno le scuole e bisognerà far rispettare il divieto. «Serviva chiarezza», spiega il segretario generale di uno dei sindacati dei presidi, Didier Georges. «Eravamo preoccupati per il forte aumento del numero di alunni che indossavano l’abaya», ammette Georges rispetto ai numerosi incidenti registrati nelle scuole negli ultimi mesi, tra cui una professoressa minacciata di morte perché aveva chiesto a un’alunna di togliersi la tunica. «Non siamo noi presidi a dover prendere una decisione in un senso o nell’altro – conclude Georges – ma è compito dello Stato dare la linea».
Più cauta Sophie Venetitay, a capo di uno dei sindacati di professori di liceo, che allerta sul rischio di vedere tante giovani musulmane lasciare la scuola pubblica per iscriversi in istituti privati religiosi. Una tendenza in parte notata dopo l’approvazione della legge del 2004. «Ciò che è certo è che l’abaya non è il problema principale per le scuole», aggiunge la sindacalista. L’anno scorso oltre tremila posti di insegnanti erano vacanti, senza contare i problemi di bullismo in aumento con il suicidio di un adolescente a maggio che ha scosso la Francia.