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 2021  settembre 12 Domenica calendario

Le lenti appannate di chi racconta Napoli

Vabbè, leggerete uno sfogo, un moto di sfastidio, una replica non richiesta allo sperpetuo di parole rovesciate ogni giorno su Napoli. Nessuno si senta coinvolto, ma nemmeno assolto. Parlerò per me, solo per me, con le mie ubbie e le mie deficienze. Detto questo, lasciate perdere adesso. E dovrei lasciar perdere pure io, prima ancora di cominciare, intuendo i molesti fraintesi che nascono a ogni parola scritta su un social. Vabbè… ecco.
Quasi tutti quelli che scrivono di Napoli (che io leggo per dovere di patria e per inestirpabile masochismo), quasi tutti, dico, non tutti, ma quasi, quasi tutti pontificano di una città che non conoscono perché, se va bene, ne parlano tra di loro, parlandosi addosso, invece di parlare con il pescivendolo (per dire, eh: pescivendolo sta per chi vive quotidianamente in mezzo alla strada), scrivono di quello che si ripete noiosamente negli incontri ufficiali o ai tavolini di un caffè illetterario o che leggono sui social o che gli raccontava la nonna, scrivono invece di camminare a piedi (camminare lubrifica i neuroni, è scientifico), invece di salire su un bus, di fermarsi a guardare un albero, di fare uno a uno i gradini delle pennate della città.
La loro Napoli è quasi sempre (quasi, non sempre, ma sempre di più) una città osservata, quando la osservano, attraverso occhiali appannati da suggestioni astratte, mentali, tutte mentali. A volte pure belle, ma alla fine inerti (e polverose). Non leggono le pietre (le pietre sono parole e le parole sono pietre), non ascoltano le grida e non appizzano le orecchie per carpire i sussurri, non assaporano il tempo, non masticano il sangue, non sentono più la puzza e il profumo. Giocano con i pastori di un loro personale e privato presepe. Si arravogliano nei vecchi e nei nuovi stereotipi.
Nelle loro mani, Napoli è un luogo comune che aspira a essere fuori del comune. Ma è cliché bugiardo, cartolina fotoshoppata e cellophanata, sbiadita, che si può accartocciare, che tiene un mittente fasullo e un destinatario boccalone. È pastacrisciuta che si ammoscia prima di essere addentata, è pane sereticcio, lasciato ad ammuffire nella dispensa e tirato fuori ad ogni convito, spacciato per alimento del cuore, ma è solo affanno del cuore.
Ma riflettendoci meglio, questo tramestio di gogoliane anime morte non riguarda solo Napoli, ma l’Italia intera.
Pietro Treccagnoli