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 2023  agosto 28 Lunedì calendario

“NON E’ VERO CHE RAUL GARDINI SI E’ AMMAZZATO PER SALVARE LA FAMIGLIA FERRUZZI” - LA VERSIONE DI CARLO SAMA, A 30 ANNI DALLA MORTE DEL COGNATO IMPRENDITORE: "QUEL GIORNO AVREBBE DOVUTO ESSERE ARRESTATO" – "LA SUPERTANGENTE ENIMONT? ANOMALA, FU PAGATA NON PER INTRECCIARE RAPPORTI D’AFFARI CON LA POLITICA MA PER NON AVERNE PIÙ” - LA CENA ALL’HOTEL HASSLER DI ROMA CON OCCHETTO E D’ALEMA E QUEL MILIARDO DI LIRE CHE GARDINI AVREBBE DATO AL PCI, L’INTERVENTO DI MEDIOBANCA E LA RISTRUTTURAZIONE DEL GRUPPO FERRUZZI: "IN REALTÀ FU UN PIANO DI LIQUIDAZIONE” -

Sotto il pergolato di un antico palazzo del centro di Ravenna si ritrovano Eleonora, Ivan e Maria Speranza, figli di Raul Gardini. È la loro storica casa di famiglia. Dall’altra parte della strada, dietro un anonimo portone in legno, spuntano Carlo Sama e Alessandra Ferruzzi, marito e moglie, che un tempo abitavano qui stabilmente.

Gardini-Ferruzzi, la dynasty romagnola, due nomi celebri di una città che grazie a loro è stata per un ventennio capitale mondiale dell’agroindustria e pure della vela. Fra i dirimpettai c’è solo una striscia d’asfalto, via Massimo d’Azeglio, ma è come se ci fosse un muro invalicabile. Perché questi parenti stretti non si parlano proprio. E non da ieri: sono trent’anni.

Da quando cioè la mattina del 23 luglio del 1993 Raul Gardini decise con uno sparo di mettere la parola fine alla sua esistenza diventando per questa terra un po’ un mito. I Gardini videro delle responsabilità morali nei Ferruzzi per aver dato, due anni prima, il benservito al condottiero di mille battaglie che aveva fatto del loro gruppo industriale un impero di dimensioni mondiali.

E i Ferruzzi tacquero scuotendo la testa, come a dire, cari nipoti voi non sapete tutta la verità. Le famiglie rimasero ancorate alle loro posizioni, ciascuna con le proprie ragioni. Una fermezza assoluta. Nessun dialogo, nessun saluto, solo un interminabile silenzio.

Carlo Sama, a lungo braccio destro di Gardini, poi diventato suo cognato e infine amministratore delegato del gruppo dopo il siluramento del grande capo, vive oggi fra il Sudamerica, dove ha terre e allevamenti, Montecarlo, Formentera e Ravenna, la città che lo ripudia considerandolo un traditore.

(...)

Dottor Sama, qual è dunque la sua verità? (...) «Gardini fu certamente il più audace e genuino di quei tempi. E, forse, il tentativo di realizzare imprese industriali di grandi dimensioni l’ha portato in seguito su terreni troppo infidi e dannosi per lui stesso e per il gruppo Ferruzzi, la cui stabilità fu messa gravemente a rischio».



(...) Dopo la rottura della famiglia con Raul e Idina avevamo scoperto che i conti del gruppo Ferruzzi Montedison non erano in ordine».

In che senso? «C’era per esempio da sistemare la coda di una folle operazione internazionale speculativa sulla soia della fine degli Anni 80, che aveva prodotto per il nostro gruppo un’ingentissima perdita al Chicago Board of Trade, il più importante mercato di Borsa al mondo per le materie agricole.

Fu un’operazione decisa da Gardini e da lui affidata al dirigente del gruppo Ferruzzi Montedison di Parigi, Roland Gagliardini, con la facoltà incondizionata di operare. Praticamente gli fu data carta bianca. Questa operazione speculativa costò ufficialmente al gruppo 100 miliardi di lire».

Roberto Michetti, uno dei manager storici del gruppo, che rimase con Gardini fino alla fine, dice che «in realtà la perdita fu due tre volte superiore e la differenza finanziata con artifizi contabili». È così? «Per noi era anche molto più alta. Denaro poi pagato attingendo in gran parte al patrimonio estero della famiglia Ferruzzi, l’eredità cioè lasciata da Serafino ai quattro figli dopo la sua tragica e prematura morte del 1979. Serafino operava in tutto il mondo ed era sicuramente l’imprenditore più globale che all’epoca ci fosse in Italia.

(...) Oltre al buco di Chicago, quali altre irregolarità trovò nei conti? «Ce n’erano diverse. In quel momento restava ancora da far fronte alla Coppa America di vela, sulla quale Gardini aveva puntato molto. In base agli accordi, doveva costare alla Montedison circa 200 milioni di dollari e invece costò molto di più. All’esborso ufficiale della Montedison bisogna aggiungere il denaro prelevato sempre dal patrimonio di famiglia dei fratelli.

Ma poi ci sarebbe da ricordare la vendita praticamente fittizia di Fondiaria e altro ancora. Tutte operazioni che avevano drammaticamente appesantito le due holding familiari che controllavano il gruppo Ferruzzi e prosciugato il patrimonio liquido lasciato in eredità ai propri figli da Serafino. È a questo punto che Berlini si inventò il sistema di “back to back” utilizzando i fondi della Montedison». (Si tratta di depositi in banca fatti a garanzia di finanziamenti da erogare a determinati beneficiari, ndr).

È il sistema utilizzato anche per pagare le tangenti ai politici? «Già».

Di fronte a questa situazione lei cosa fece? «Ho cercato di porre le basi per una radicale ristrutturazione del gruppo. (...)

Il progetto non fu mai realizzato, perché? «Perché Mediobanca e i suoi alleati intervennero, dato che volevano ad ogni costo gestire la ristrutturazione del gruppo Ferruzzi, ma a modo loro. Nel giugno del 1993 decisero, quindi, con applicazione immediata, l’improvviso blocco di tutti i conti correnti, attivi e passivi, delle principali società del nostro gruppo. I fratelli Ferruzzi furono messi all’angolo e praticamente obbligati a firmare in esclusiva a Mediobanca il mandato di ristrutturazione del gruppo Ferruzzi.

Ma Mediobanca non ristrutturò nulla, il suo fu un piano di liquidazione del gruppo e un esproprio della famiglia Ferruzzi. Io mi impegnai così, insieme con mia moglie Alessandra Ferruzzi, per evitare il fallimento della Serafino Ferruzzi, già richiesto dalle banche, che avrebbe coinvolto e travolto non solo le famiglie dei fratelli Ferruzzi, ma anche la famiglia di Raul Gardini, che aveva preteso in pagamento della sua buonuscita e quella della moglie Idina Ferruzzi azionista con il 23% del gruppo Ferruzzi: 505 miliardi di lire.

Insomma, con grande fatica abbiamo impedito il fallimento della Serafino Ferruzzi, che sarebbe stato un disastro economico, finanziario, ma soprattutto un disonore indelebile per un gruppo che era stato il primo al mondo nelle produzioni di soia, nel polipropilene, nelle penicilline, leader in Europa nello zucchero, nell’amido, negli olii eccetera... 30 mila dipendenti».

(...)

Com’è nata la supertangente Enimont, la cosiddetta madre di tutte le tangenti? «Fu una tangente anomala, perché pagata dal gruppo Ferruzzi non per intrecciare rapporti d’affari con la politica ma per non averne più dopo aver ceduto Enimont ai partiti. Fu una specie di liquidazione una tantum, decisa da Raul Gardini un pomeriggio a casa sua, a Milano.

A quell’incontro erano presenti il vicepresidente della Banca Commerciale Italiana e custode giudiziario delle azioni Enimont sotto sequestro, deciso dal giudice Curtò, risultato poi corrotto dall’Eni, e il presidente della stessa Banca Commerciale Italiana. Valutarono che al sistema politico servivano almeno 100 miliardi di lire per tutti i costi annessi e connessi, commissioni agli intermediari comprese.

L’obiettivo di Gardini, come disse lui stesso, era difendere il fatturato del Gruppo Ferruzzi Montedison, più di 30 mila miliardi di lire, rimasto alla famiglia Ferruzzi dopo la cessione di Enimont all’Eni. I rapporti con i rappresentanti della politica erano gestiti direttamente da lui in prima persona».

Lui gestiva e gli altri comunque eseguivano, compreso lei. Fra i misteri di Mani Pulite c’è la tangente pagata a Botteghe Oscure. Ce lo svela? «Io ricordo la famosa cena all’hotel Hassler di Roma con i vertici del Partito comunista, per discutere il tema della defiscalizzazione degli apporti Montedison in Enimont. Avevamo avuto vari incontri con Andreotti, De Mita e gli altri. E a quella cena Raul e io incontrammo Occhetto e D’Alema. Era finalizzata a verificare che il partito mantenesse l’impegno di trasformare il decreto in legge e che la defiscalizzazione ne fosse parte integrante».

D’Alema disse che la cena fu in realtà un caffè e che non si parlò di soldi «Berlini racconta che ha dato un miliardo di lire, consegnati da Gardini stesso a Botteghe Oscure. Io non so a chi li abbia poi portati. Ma certamente durante la cena emerse che se c’era un contributo da dare, Raul non si sarebbe sottratto».

La cena all’Hassler era propedeutica alla tangente? «Uno più uno fa due. Questa operazione fu condotta personalmente da Gardini. A fare da tramite era stato comunque il manager Panzavolta, che aveva rapporti con quel partito».

Perché si è suicidato Raul Gardini? «Raul quel giorno avrebbe dovuto essere arrestato, come successe a me. Sulle vicende relative alla gestione del gruppo Ferruzzi Montedison, lui non diceva niente a nessuno in famiglia. Tant’è che la moglie Idina, così mi raccontò dopo, apprese per la prima volta da Raul dello stato reale del gruppo solo il giorno prima. Era a Ravenna e lo raggiunse a Milano il 22 di luglio, dopo che erano state diffuse notizie sul primo interrogatorio dell’ingegner Giuseppe Garofano – presidente di Montedison, subentrato a Gardini – che pareva stesse scaricando le responsabilità della gestione finale di Enimont su Raul».

Idina apprese in quell’occasione delle tangenti? «Anche delle tangenti. Dopo il suicidio Idina era venuta in viaggio con noi in Argentina, a Cuba, era spesso a casa mia a Roma. E poi siamo stati insieme in molte altre occasioni... Ricordo benissimo quando Raul ed io avevamo avuto una brevissima conversazione all’annuncio del suicidio in carcere a San Vittore, tre giorni prima di quello di Raul, dell’ingegner Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni. Mi disse: “È morto da eroe”. Il tono di voce tradiva una potente emozione per questo tragico e drammatico gesto».

Quale fu la reazione di Idina? «Mi raccontò che rimase senza parole e lo accusò di aver creato un sistema di tensione con i suoi fratelli e la famiglia, di averla in un certo senso ingannata».

Gardini con il suo gesto ha voluto forse salvare la famiglia, dice l’avvocato De Luca che lo difendeva. In più era preoccupato perché lei e Sergio Cusani non gli davate i documenti per potersi difendere «Non è vero. Ricordo che in un incontro con Raul proprio presso lo studio di De Luca, Raul mi chiese questi documenti che non aveva e io glieli feci consegnare immediatamente».

Forse lui intendeva documenti di dettaglio, per sapere quanto era stato pagato e a chi, non crede? «Noi gli avevamo dato quello che avevamo».

È vero che nella primavera del 1993, dopo il clamoroso divorzio familiare, chiese a Gardini di tornare nel gruppo per cercare di rilanciarlo e gli offrì le dimissioni? «Sì, è vero, ed era un progetto elaborato con Goldman Sachs. Si chiedeva a Gardini e a Sergio Cragnotti di entrare nel capitale sociale della holding di famiglia Serafino Ferruzzi con il loro patrimonio. Mi riferisco alle liquidazioni di entrambi che ammontavano più o meno a circa 700 miliardi di lire dell’epoca che avrebbero consentito una ricapitalizzazione a cascata del nostro sistema societario».

E lui? «Raul si prese 24 ore di tempo per decidere e mi disse che il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare Luigi Fausti, il nuovo presidente della Banca Commerciale. Attraverso Fausti voleva vedere Cuccia e Maranghi di Mediobanca, probabilmente per anticipare loro del suo ritorno nel gruppo Ferruzzi. Venni a sapere successivamente che Fausti disse chiaramente a Gardini che Cuccia e Maranghi non desideravano incontrarlo. Sono certo che questo fu un durissimo colpo per Gardini».

Sua moglie Alessandra, in una lettera pubblicata di recente, è stata molto dura con Raul. Scrive che non avrebbe potuto nulla senza suo padre Serafino. Non è un po’ eccessiva? «Alessandra ha solo risposto al fuoco nemico, nel momento in cui si è detto che i Gardini erano più ricchi dei Ferruzzi che è falso... La verità è che alla fine Raul avrebbe voluto sostituirsi a Serafino. Guardi, c’è l’agendina sua personale che svela molti segreti. Il 7 ottobre 1990, scrive di suo pugno: “Decisione di chiudere, di essere Ferruzzi. Da ora in avanti per me e per i miei figli c’è solo da rimettere. Perché questo? Perché ora le cose si possono considerare come se fossero in ordine. Così come piaceva ai vecchi. Da questa posizione, per muovere verso un nuovo ordine ci vuole la gente e la voglia, e quindi l’età”.

Molto prima che si concludesse la joint-venture Enimont stava quindi già lavorando a un progetto di ripartizione del capitale per numero di figli e voleva trasformare il Gruppo Ferruzzi in Gruppo Gardini. Così Gardini avrebbe fatto dimenticare Serafino Ferruzzi».

Lei non ha mai avuto la tentazione di sostituirsi a Gardini? «Mai».

Dopo trent’anni i Gardini e i Ferruzzi non si parlano ancora. E queste parole forse non aiutano. A quando la riconciliazione? «È un mio grande desiderio. A questo punto, dopo tutto ciò che è accaduto di drammatico e doloroso, prego Dio che almeno i nostri figli – quelli di Alessandra e miei, di Arturo ed Emanuela, di Idina, di Raul, di Franca e Vittorio – che ormai sono tutti grandi e a loro volta sono diventati genitori, riescano finalmente a parlarsi tra di loro in modo franco, rispettoso, amorevole.

Anche per sapere e capire finalmente cosa sia davvero successo alla nostra famiglia e al nostro gruppo imprenditoriale creato dal loro nonno Serafino Ferruzzi. E aggiungo: carissimi ragazzi, è arrivato il momento di ricercare con coraggio la verità. Bisogna finirla con le velenose fandonie e i distruttivi rancori. È arrivato il momento che i cugini si ritrovino, si vogliano bene e tornino a essere uniti».