Corriere della Sera, 28 agosto 2023
La calda estate degli scontrini folli
L’estate degli scontrini più pazzi del mondo non è ancora finita e le segnalazioni alle associazioni dei consumatori continuano a fioccare. A Roma in centro si registrano due euro a fetta per il taglio della torta di compleanno portata da fuori («40 euro in tutto», racconta Luigi De Rossi, presidente di Giustitalia); in un Autogrill del Lazio per un «Bufalino» con prosciutto e mozzarella ne hanno chiesti 8,10 («Due panini e due caffè 21 euro»); sette euro per un limoncello sul lungomare di Rimini («Al ristorante te lo offrono gratis a fine cena...»); a Porto Cervo 4,50 per un caffè «gratinato», cioè con il ghiaccio. De Rossi, lo stesso al quale due turisti fiorentini avevano segnalato due panini con il salame e due caffè pagati 18 euro senza lo scontrino in un chiosco di San Teodoro, in Sardegna, parla di effetti dell’inflazione, ma anche di uno spudorato «approfittarsi del turista, contando sul fatto che magari non tornerà».
Pure Furio Truzzi, di Assoutenti, denuncia chi «sta lucrando sulle vacanze». E cita come esempio il famigerato caso dell’osteria di Finale Ligure, presa poi di mira su TripAdvisor, dove sono stati chiesti 2 euro per il piattino in condivisione: «A me di quella storia ha colpito che le trofie al pesto costassero 18 euro: per quanto la materia prima sia dop, parliamo sempre di basilico, pinoli e olio...». Redditi fissi e rincari incontrollati secondo lui hanno prodotto come unico risultato vacanze più corte. E, di fatto, più «condivisioni» a tavola. Di qui gli stratagemmi degli esercenti per battere cassa.
Creme catalane e caffè
L’euro e cinquanta chiesto vicino ad Alba per mangiare in due una crema catalana è uno dei più assurdi, perché non si capisce l’impatto di un cucchiaino sui consumi della lavastoviglie. E lasciano perplessi anche i 10 centesimi per decorare un cappuccino a Erba (anche se la titolare ha precisato che non è polvere di cacao, ma sono spezie). Di sicuro ci siamo scordati i sontuosi 100,80 euro spesi in piazza San Marco dieci anni fa per 4 caffè (di cui uno corretto) e tre amari: lì però a pesare sullo scontrino fu il «supplemento musica» di 42 euro: sei euro per ognuno dei sette avventori. Comunque anche oggi sul fronte caffè resta da sbizzarrirsi: a Ostia il cappuccino con il «latte freddo» può costare dieci centesimi in più, perché il barista deve mettere più latte (altri ne chiedono 20 in più se il caffè è «schiumato»); a Pesaro il caffè con ghiaccio è costato un euro e 50; anche nel Golfo di Policastro sono stati segnalati casi di cubetti di ghiaccio a 50 centesimi. Altri numeri rispetto ai 60 euro per due caffè e due bottigliette d’acqua a Porto Cervo. Ma volete mettere la giustificazione dei gestori? «Non è un semplice caffè, è un’esperienza!».
Puccia e frisella
Che poi uno i 60 euro in Costa Smeralda li può mettere in conto: se li conosci, li eviti. Fanno più effetto la puccia e la frisella a 26 e 16 euro nel Salento, o la panzanella a 16 euro in piazza Duomo a Firenze (pane, pomodoro, cipolla, aceto e basilico). Raffaele Madeo, però, il presidente dei ristoratori di Tni, Tutela Nazionale Imprese, prima di Ferragosto era sbottato: «Basta mettere in croce l’intera categoria per due o tre scontrini. Sono casi isolati e comunque ogni ristorante ha i prezzi ben visibili sui menu. Perché nessuno dice che la farina è aumentata del 200% e la mozzarella del 60?». I prezzi di frutta e verdura sono triplicati. Lo fa notare Luca Vissani, amministratore unico di Casa Vissani, dove questa estate i prezzi dei menu sono stati abbassati del 10 per cento, ma è stata tolta anche una portata: prima si partiva da quattro piatti salati più il dolce a 140 euro, ora da 125 con tre salati più il dolce. Dice: «I locali si reggono sui business plan: se su 40 posti mangiano in venti, un ristorante non regge».
Toast e pizze
Per certo, di questa lunga estate calda che ci è valsa sulla Cnn il titolo sulle «oltraggiose fregature» ai turisti, ricorderemo il supplemento di 2 euro per dividere un toast a Gera Lario, sul lago di Como, e i 70 centesimi per un bicchier d’acqua di rubinetto, «ma filtrata», a San Vito al Tagliamento (Pordenone). Resteranno pure le stoccate degli esercenti. Come Simone Di Maria, ristoratore genovese criticato per tre pizze a 60 euro. La sua risposta social: «Prenotazione per 8, due bimbi e sei adulti maleducati come pochi, tre pizze divise in otto piatti, acque, due bibite, tre birre e 4 caffè. Totale 63 euro, meno di 8 euro a persona».
In questo clima di caccia alle streghe, c’è chi ha pubblicato uno scontrino del ristorante Catanzaro, dove due pizze e due birre le fanno pagare 235: peccato che siano dihram marocchini, vale a dire 21 euro e 50. Poi ci sono i «creativi» del caffè a 70 centesimi, purché ti porti da casa tazzina, cucchiaino e zucchero. Succede nel Savonese. Ma a 200 chilometri di distanza, nel Biellese, lo fanno pagare allo stesso prezzo e alla vecchia maniera. «Ho fatto i conti e ci sto dentro. Perché aumentare?», ammette Orlando Paldino, del «Fante di cuori» di Cossato.
Massimiliano Dona, a capo dell’Unione Nazionale Consumatori, non critica a priori gli esercenti. Spiega: «Se uno ordina un cocktail che sulla carta costa 10 euro e poi lo paga 13 perché il cameriere non ha specificato che poteva essere fatto con un gin più caro, ha ragione il cliente. Ma se uno si lamenta perché ha dovuto pagare il taglio della torta, è lui a sbagliare. Esiste il diritto di tappo: cioè, ci si può portare da casa la bottiglia di vino, ma si deve riconoscere al ristoratore il corrispettivo per averlo versato e servito». Stesso discorso sulle mezze porzioni, che adesso costano anche il 70 per cento del prezzo intero e non la metà: «I tempi di cottura e l’impiattamento sono identici». Fa, invece, proprio un errore di calcolo chi si fa pagare un piattino o un cucchiaino in più. «Serve solo a farti salire ai disonori della cronaca: è cattiva pubblicità».
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