la Repubblica, 28 agosto 2023
Alla ricerca di minerali
Esiste una pietra luccicante, da qualche parte nel nord della Kamchatka, che la scienza ritiene impossibile. È un frammento di poco più di un millimetro sepolto chissà dove nella tundra. Si è staccato da un meteorite che ha l’età del sistema solare – 4,5 miliardi di anni – e per Luca Bindi, scopritore di più di cento minerali, è prezioso più dell’oro. La sua struttura infatti non è prevista dalle leggi della natura: come un pallone cucito con pezzi di cuoio quadrati o una parete ricoperta di mattonelle pentagonali. A pietre così la scienza non ha dato neanche un nome: li chiama quasicristalli. Bindi, allora curatore del museo mineralogico di Firenze, nel 2007 decide di cercare un millimetro di quasicristallo – il primo di origine naturale – nella tundra siberiana.
«Sapevo che esisteva, ho un sesto senso per i minerali». A credergli era una manciata di colleghi. Con loro ha attraversato la Kamchatka e i suoi fiumi gelati con un cingolato, ha dormito un mese all’addiaccio, si è trovato a tu per tu con un orso, ha setacciato una tonnellata e mezzo di argilla alla maniera dei cercatori d’oro e alla fine l’ha trovata, la roccia spaziale. Era minuscola. «Ma aveva quella lucentezza speciale. Ho sentito subito che era lei». I quasicristalli hanno poi vinto un Nobel (nel 2011 all’israeliano Dan Shechtman che li aveva sintetizzati in laboratorio). L’ex curatore di museo con il fisico da Indiana Jones oggi insegna mineralogia all’università di Firenze ed è socio dell’Accademia dei Lincei. Ha raccontato la sua avventura in Quasicristalli, l’avventura di una scoperta.
La chiamano Indiana Jones e la pietra impossibile. Si riconosce?
«Veramente ho passato la vita al microscopio. Sarò andato forse una volta in campeggio da ragazzo.Neanche il servizio militare ho fatto, ho scelto quello civile. Prima di partire per la Siberia sono entrato in un negozio di sport a Firenze e ho comprato di tutto. Il commesso non si è trattenuto: Ma dove va?»
E perché poi?
«È stata una spirale. A ogni passo ne ero risucchiato di più. Avevo letto un articolo di fisica intitolato “il cristallo impossibile”. Ipotizzava l’esistenza dei quasicristalli e descriveva le loro caratteristiche. Mi misi a cercarli nei musei di mezzo mondo solo per scoprire che ne esisteva un campione nella collezione di Firenze».
Uno scherzo del caso.
«Solo il primo. A un certo punto mi sembrava di essere in un romanzo. A cena da mia sorella ho conosciuto un olandese che abitava accanto al mercante di minerali di Amsterdam che aveva venduto il campione al museo di Firenze dopo averlo acquistato da un cercatore d’oro siberiano. Risalimmo a Valery, l’esploratore russo che aveva trovato il minerale in un’ansa del fiume Khatyrka nel 1980, e lui accettò di unirsi alla spedizione. Nel frattempo avevamo trovato un finanziatore negli Stati Uniti. Un uomo misterioso, so solo che si chiama Dave. Avrà messo due milioni nell’avventura e negli esperimenti successivi».
Non era un’idea un po’ folle?
«Pazzia totale. Ero angosciato, ma la questione mi toccava nel profondo.
Avevo dimostrato che il minerale di Firenze era un quasicristallo, ma molti colleghi, Nasa in testa, continuavano ad attaccarmi: volevano che dimostrassi che si era formato in natura e non da un processo industriale umano. Come escludere, arrivarono a obiettarmi, che non fosse frutto di una collisione fra un asteroide e un’astronave aliena? Con la Nasa così agguerrita, l’unico modo di salvare la carriera era trovare la meteorite da cui proveniva il quasicristallo di Firenze».
Eccola nei panni di Indiana Jones.
«Macché, ero spaventatissimo. Prima di partire ho abbracciato mio figlio Lorenzo di 8 anni. Nessuno dei due ce la faceva a lasciare la presa. Se a me a casa dà fastidio anche una zanzara, lì le pareti della tenda erano nere. Per uscire indossavamo una tuta da apicoltore. Eravamo a 600 chilometri e 5 giorni di viaggio dal centro abitato più vicino. Facevamo i bisogni dietro ai cespugli con un compagno armato che ci guardava dagli orsi. Una volta me ne sono ritrovato uno davanti. Ero paralizzato. Ci si guardò un po’ così, poi per fortuna lui se ne andò».
Chi erano i suoi compagni?
«Dieci scienziati russi e americani, gli autisti dei due cingolati, che si gettavano nei fiumi senza saperne la profondità. Al ritorno, col temporale, presero la rincorsa, ma la corrente iniziò a trascinarci. Fu spaventoso. Poi c’erano i due cuochi e il loro gatto. Versavano vodka a ogni occasione».
Un millimetro in mezzo alla Siberia. Come avete fatto?
«Valery ci ha indicato il banco di argilla in cui aveva scavato nel 1980 a caccia di oro e platino. Abbiamo iniziato a setacciarla. La prima sera eravamo già distrutti, ma decisi di prendere un ultimo secchio. Bisognava scaldare quel fango duro e appiccicoso, scioglierlo e analizzare il residuo nel setaccio. In una di queste pietruzze riconobbi quel bagliore. Le analisi al ritorno confermarono che il mio sesto senso aveva vi sto giusto. Quella sera ancora me la sogno».
Da dove veniva la meteorite?
«È caduta sulla Terra 15mila anni fa. Doveva essersi scontrata con un altro corpo celeste, e nell’impatto si è formato il quasicristallo. Questi materiali nascono da pressioni e temperature estreme, più dei diamanti, e come loro durano per sempre. Abbiamo trovato un altro quasicristallo fra i resti del primo test atomico del ’45 negli Usa. Un altro in Nebraska in una fulgurite, una roccia che nasce dai fulmini che colpiscono il terreno. Sono convinto che la sabbia lunare, con tutti gli impatti che ha subito, ne contenga. Me lo dice il mio sesto senso, i campioni però appartengono alla Nasa che non li fa toccare a nessuno».