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 2023  agosto 28 Lunedì calendario

La lettera scritta dal padre della ragazza vittima dello stupro di Capodanno a Roma alla 19enne violentata dal branco a inizio luglio a Palermo


Cara ragazza, anonima, di Palermo, sono il padre della vittima del noto “stupro di Capodanno” di Roma, e scrivo per appoggiarti. Devi reagire contro chi, sui social, ha farneticato che a «una come te» è «normale» che capiti. Ma ti scrivo anche per avvertirti: sei sola, perché gli altri non comprendono. Vittima di uno stupro di gruppo? La gente non capisce. Prendo quindi la penna, sei tu che mi hai dato il coraggio. Scrivo per spiegare anche per te a tutti – a ognuno di noi se pensa «ma in fondo se l’è voluta» – il calvario di un essere spezzato nella sua dignità. I legali sconsigliano questa testimonianza inutile al processo, ma non abbiamo scelto di denunciare per dei vantaggi – magari economici – che non ci saranno se gli imputati non sono attori di Hollywood. Il prezzo da pagare a esporsi in un processo per stupro è enormemente superiore a ogni possibile vantaggio personale: si fa per le figlie e i figli di tutti gli altri, in un mondo che consiglia il silenzio perché è una macchia essere vittime. Anche questo è uno stupro collettivo, e tu che ti seiesposta un po’ di più probabilmentegià lo sai. Mia figlia aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lesioni. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo. Uno stupro è un puzzle di tradimenti, e dobbiamo raccontare a tutti cosa significano nel quotidiano: il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso esporsi per tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma.
Pensavi di aver lasciato tua figlia minorenne in un luogo sicuro, dalla famiglia della sua migliore amica. Non immagini che l’adulto a cui l’hai affidata, senza avvisarti, la porta a una “festa” proibita in tempo di covid. Finché piomba una chiamata da una caserma dei carabinieri, prendi la macchina e corri oltre i limiti di velocità – multatemi se volete – e varchi quel portone di ferro per trovare un esserino annichilito, prostrato dall’enormità del sopruso. La abbracci ma senti che non c’è, è in una bolla tutta interna di sofferenza. La lasci alle deposizioni, dolorose ma necessarie. E ringrazio di nuovo l’Arma dei carabinieri – tutti quei militari, ma quanto è stato fondamentale ammettere a servire come Carabinieri anche delle donne! – per la delicatezza mostrata verso un essere spezzato.
Poi cerchi di circondarla di affetto e sostegno senza capire qualcosa di misterioso che disperatamente cerca: smentire a sé stessa l’evidenza. Non è possibile, sono i miei amici! non mi hanno abbandonata agli stupratori, non mi hanno filmata mentre abusavano di me, non hanno mandato whatsapp di insulto perché erano stati chiamati a deporre! Non hanno davvero riso quando qualcuno sbandierava come un trofeo la maglietta sporca del mio sangue. Ma poi la verità piomba come un martello.
Arrivano le fobie: mia fig lia, cara ragazza di Palermo, è una tua coetanea normale, ma non riesce a entrare in un centro commerciale e corre di nuovo in casa perché si sente addosso tutti gli sguardi. I suoi amici non capiscono perché non accetta mai di andare a casa di qualcuno, ma si può raccontare cosa le è successo l’ultima volta che l’ha fatto? È una sé stessa che sa benissimo come tutto questo sia irrazionale ma è costretta a venire a patti con una sé stessa condizionata dal trauma. Servono i medici: “Stress post traumatico”, è ovvio, ma in quali fragilità si evolve non è scontato. Ancora meno lo sono le soluzioni: e allora si tenta un tipo di terapia e poi un’altra e una ragazzina deve sperimentare l’Efexor, il Prozac o il litio; la terapia risolutiva per l’ansia di una persona consapevole non è stata trovata. Il disagio dissimulato viene fuori per vie traverse: il profitto scolastico diventa un’altalena, come il suo peso, con oscillazionifino a 12 chili in pochi mesi, per una ragazzina che ti chiede se sarà mai più capace di avere fiducia in un uomo, amarlo, costruire con lui una famiglia.
Si dorme come i cetacei con mezzo emisfero cerebrale sveglio: nei momenti più bui mia figlia aveva evocato il desiderio di farla finita, e la notte si sente più sola; lo sai che ha fissato il vuoto dalla finestra come una tentazione. E poi gli psicofarmaci e il loro suadente stordimento – Confortably Numb direbbero i Pink Floyd – sono un canto della sirena troppo forte davanti al logorio incessante dell’anima, e si deve vigilare che non ne prenda 10 invece di 2 di pillole; non lo fa, ma il dubbio ti tortura. Conquista la Maturità e anzi la competitiva ammissione a un collegio universitario di merito. Vuole studiare anche per proteggere altri da quello che è successo a lei: sceglie giurisprudenza, per diventare Procuratore. Ma la prima notte nel collegio, da sola fra estranei, la riassale la paura paralizzante. Ora non c’è scelta: ospedale psichiatrico. Duri mesi iper-medicata, ma è forte. Chiede di essere non solo una paziente ma anche una collaboratrice: impara molto e termina la degenza. Ormai l’anno accademico è perso, e vuole imparare di più: entra volontaria in un rifugio per donne vittime di violenza. Così la mia laurea in giurisprudenza avrà un altro significato. Così sarò un buon Procuratore!
Poi il processo: una dura deposizione, ma nulla in confronto alla crudeltà delle testimonianze degli “amici”. Se la tua denuncia li espone, fa scoprire uno spaccio gestito da giovani di buona famiglia, sei scomoda. Meglio minimizzare, ovvio: così, quelli che l’avevano portata dai Carabinieri in seguito a un’ovvia violenza, dichiarano che sembrava consenziente. Quelli delle droghe, compresa la “sigaretta bagnata” che l’ha stordita, depongono che il suo sport abituale era avere rapporti multipli. Mi chiede, ingenua, come possono inventarsi i facili costumi, visto che non li vedeva da un anno e proprio quello del lockdown? Gli stupratori – con la coerenza dei vigliacchi – non scelgono la ragazza più “provocante”, ma quella più indifesa.
Ti siamo vicini, ora che tutto dipende dalla Giustizia. Quanto vale una sentenza? Quale futuro avrà la ragazzina che vuol fare il Procuratore per difendere le altre vittime? E quale messaggio riceverai tu, dopo esserti esposta sui social a nome di tutte, se invece di una decisione che riconosce il vostro coraggio di denunciare, avrete una formula che, in linguaggio giurisprudenziale, significa “facevi meglio a stare zitta,rompicoglioni”?.