La Stampa, 28 agosto 2023
Ovuli congelati. Un’inchiesta
«Avere un figlio a 35 anni è considerato presto. Alla notizia, spesso la reazione è: “Sei giovanissima, è stupendo”. Quello che manca è la consapevolezza che esiste una finestra riproduttiva: la società è cambiata, la nostra aspettativa di vita anche, ma i limiti biologici della nostra riproduzione sono rimasti gli stessi di sempre».
Serve un modo per fermare il tempo e la medicina, fortunatamente, tende la mano. Sono sempre di più le donne che decidono di ricorrere al social freezing, letteralmente “congelamento sociale”. Un termine che alla professoressa Laura Rienzi, embriologa e direttore scientifico del gruppo Genera, non piace: «Abbiniamo quasi sempre la parola “social” al divertimento, mentre qui parliamo di un problema importantissimo che riguarda la società». Si tratta di una pratica diffusa all’estero e sempre più ricercata anche in Italia, che permette di preservare la propria fertilità attraverso la crioconservazione degli ovociti. Nessuna assicurazione di gravidanza, come spesso erroneamente viene descritta, ma un importante opportunità in più.
In Europa l’età in cui si ha il primo figlio è cresciuta costantemente negli ultimi decenni. Secondo i dati Istat, in Italia per iniziare a procreare si aspetta di aver compiuto almeno 32 anni. Come sottolinea Rienzi, «non è la donna ma è il contesto socio economico che costringe le coppie a posticipare il progetto genitoriale». La formazione richiede anni e una volta ottenuta la laurea si riscontrano maggiori difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e, di conseguenza, a raggiungere una stabilità di vita oltre che economica. Tutto questo per tanti vuol dire rimandare il desiderio di costruire una famiglia. «La nostra società è così competitiva che sembra che si possa accedere a tutto sempre – prosegue l’esperta –: si promuove il fatto che anche la riproduzione possa essere tenuta sotto controllo, invece ci si scontra con l’infertilità che cade sulla vita delle persone come un macigno».
Come funziona
La capacità riproduttiva si può perdere per diversi motivi, primo fra tutti un trattamento oncologico sia nell’uomo sia nella donna. «Queste terapie sono spesso urgenti – spiega Rienzi – e quindi bisogna utilizzare un sistema per fermare il tempo e mettere da parte le cellule riproduttive prima che vengano esposte alle terapie». Ma «anche se non ci sono terapie in vista, occorre ricordare che il tempo danneggia a prescindere la qualità degli ovociti». Il social freezing, la crioconservazione per motivi non medici ma personali, permette a chiunque di scegliere quando “fermare” le lancette. «Si procede prima con una piccola stimolazione farmacologica ormonale controllata, della durata di 10-12 giorni, per far maturare il più possibile i follicoli; poi si esegue un intervento chirurgico in sedazione profonda – aggiunge l’embriologa –. Non restano né cicatrici né tagli. Attraverso una sonda ecografica transvaginale e un ago si pungono i follicoli che contengono gli ovociti dopo la stimolazione. Poi in laboratorio queste cellule vengono crioconservate e possono rimanere così, ferme nel tempo, senza un limite».
I rischi
I rischi dell’intervento sono minimi. Il problema è piuttosto legato al pericolo ostetrico di una gravidanza troppo in là nel tempo. È per questo che le linee guida nazionali consigliano di ricorrere al congelamento degli ovuli tra i 25 e i 37 anni e di cercare una gravidanza entro i 50. «Il periodo ottimale per la riproduzione è tra i 20 e i 35 anni – evidenzia l’esperta –, più avanza l’età più aumenta il rischio di infertilità, dopo i 40 in modo molto importante. Preservare le uova prima dei 35 vuol dire quindi preservare la piena fertilità. Se dovessi dare un consiglio a mia figlia rispetto alla crioconservazione degli ovociti, dopo aver eseguito un check up sulla fertilità, le direi di aspettare fino ai 30-32 anni in modo che abbia la piena consapevolezza dei suoi progetti di vita e così da aumentare la probabilità che quelle uova siano effettivamente utili. Sull’uomo l’età ha influenza in modo meno impattante».
I costi
Riguardo ai costi, la crioconservazione è prevista all’interno di un percorso pubblico se vi sia indicazione medica, come per la chemioterapia, mentre il desiderio di una donna di congelare gli ovociti per avere l’opportunità di avere figli anche dopo la fine dell’età fertile non passa attraverso la sanità pubblica ma bisogna rivolgersi a un centro privato. «Il costo varia a seconda delle strutture, in genere è tra i 2. 500 e i 3. 500 euro per il prelievo e la conservazione degli ovociti, poi c’è il costo dei farmaci per la stimolazione, che può variare tra 1. 000 e i 1. 500 euro». A questi si aggiunge la custodia degli ovociti all’interno di una bio banca, che oscilla tra i 100 e i 200 euro l’anno.
I numeri
Sulla scia degli altri Paesi, anche in Italia il numero di donne che scelgono di preservare la loro fertilità aumenta di circa il 20% di anno in anno. Stando ai dati di Genera, specializzato in procreazione assistita, nel 2021 ci sono stati 189 trattamenti, saliti a 226 nel 2022. Quest’anno, fino al 30 aprile, sono stati 105, più o meno il doppio rispetto allo stesso periodo 2022. Dati tuttavia «bassi rispetto ad altri Paesi – evidenzia Rienzi –: quello che manca è l’informazione e la consapevolezza che esista una finestra riproduttiva. Occorre quindi fare un bilanciamento: da una parte è fondamentale non posticipare, i figli se si può vanno fatti giovani perché rimandare è un rischio; dall’altra è necessario maturare la consapevolezza che è possibile preservare la propria fertilità».
Nessuna assicurazione
Una possibilità in più, quindi. «La crioconservazione – specifica l’esperta – non è un’assicurazione di gravidanza perché non è detto che quel lotto di ovociti conservato sia efficace. La possibilità di avere una gravidanza dipende da diversi fattori: in primis il numero di uova che congeliamo. In America, per esempio, si tende a fare tre o quattro cicli di crioconservazione ovocitaria per mettere da parte tanti ovociti. Poi, incide l’età biologica in cui sono stati prelevati gli ovociti, ma anche la qualità del seme del partner. In più, la natura ci riserva sempre sorprese». In merito al numero delle pazienti che hanno avuto figli dopo la pratica, «i risultati ottenuti con ovociti di donne che preservano la fertilità per un social freezing o per un problema oncologico hanno la stessa resa: con meno di 35 anni, conservando 15 uova, si stima un 85% di possibilità di successo dopo fecondazione in vitro, che con 10 uova si riduce al 60%. A 39 anni queste percentuali si dimezzano: un dato che fa capire il declino della qualità degli ovociti con l’avanzare dell’età».
Esiste anche un’altra percezione: chi non sente il desiderio di creare una famiglia. «Non è detto che il progetto genitoriale appartenga a tutti, ci sono donne e uomini che possono non volere figli ed è una scelta più che rispettabile – conclude Rienzi –: i bambini devono essere un desiderio, non l’unico scopo della nostra esistenza. Dobbiamo però preservare chi vorrà averli e aiutarli a trovare la strada più facile in un contesto socio economico che è cambiato così tanto. L’obiettivo della preservazione della fertilità non è quello di utilizzare per forza quegli ovociti ma di aver fatto qualcosa a favore della propria serenità di vita: il social freezing oggi è l’unico strumento che consente alle donne di fare questo per loro stesse». —