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 2023  agosto 27 Domenica calendario

Biografia di Rocky Marciano



«Fossi nato vent’anni dopo avrei voluto combattere contro Cassius Clay. Sarebbe stato un avversario perfetto. È un pugile alla Joe Louis: anche se non ha lo stesso jab sinistro micidiale, è alto, grosso e potente. Non so se diventerà un grandissimo, solo il tempo potrà dirlo. Ma non credo che un tipo come lui faccia bene alla boxe. Mi piaceva all’inizio per come eccitava il pubblico sul ring, sfacciato come io non avrei mai potuto essere. Ma ora parla sempre a voce alta e dice cose che non c’entrano con lo sport: da due anni sbandiera la sua religione sul ring danneggiando il pugilato».
(Rocky Marciano
su Muhammad Ali, 1966)

«Per dimostrare di essere il più grande di sempre avrei dovuto poter sfidare Rocky Marciano. Non aveva nessuno stile, era un toro, una bestia da combattimento, uno impossibile da mandare al tappeto. Joe Louis, per esempio, sul ring temporeggiava come tutti e ti lasciava il tempo per piazzare i colpi. Marciano ti veniva sempre contro, sparava colpi ovunque, anche sulle mani, senza fermarsi. Tra noi sarebbe stata una guerra e non saprei dire se avrei vinto».
(Cassius Clay/Muhammad Ali
su Rocky Marciano, 1970)

A cent’anni dalla nascita (1° settembre 1923) anche le librerie italiane riscoprono la saga straordinaria di Rocco Francis Marchegiano, alias Rocky Marciano, l’Imbattuto, uno dei grandissimi del pugilato, celebrato nell’ultimo mezzo secolo da una quindicina di volumi in lingua inglese ma finora trascurato nel Paese di origine dei genitori, l’abruzzese Pierino Marchegiano e la beneventana Pasqualina Picciuto, emigrati in America negli anni Dieci del Novecento.
A colmare il vuoto ci pensano in questi giorni Rocky Marciano. Sulle tracce del mito di Dario Ricci (Dfg Lab) e Rocky Marciano blues. Una storia in quindici round e dodici battute di Marco Pastonesi (66thand2nd). Due cronisti sportivi, due approcci diversi. Ricci ha viaggiato tra Usa e Italia a caccia delle radici e degli eredi del pugile, in un rigoroso calendario di incontri con chi l’aveva seguito (il fratello, il figlio), senza edulcorare dettagli poco onorevoli: Marciano scontò un anno di carcere militare in Gran Bretagna per furto e, lui che si professava cattolico fervente e attaccatissimo alla famiglia, ebbe relazioni con ammiratrici in modo smodato. Pastonesi si è invece mosso in biblioteca, sui ritagli di giornale e nella storia della musica per ricostruire una saga che regge il confronto con quella del Jack La Motta di Toro Scatenato, ricostruendo i profili di alcuni avversari di Rocky, su tutti il polacco Hertzko Haft, scampato ai nazisti come i gladiatori al Colosseo, mettendo al tappeto i compagni del campo di concentramento nei match organizzati dai tedeschi. Pastonesi ha poi cercato un parallelismo con gli eroi del blues che in alcuni casi erano anche boxeur e venivano da ambienti umili e disagiati.
Entrambi figli di emigranti del sud (Marciano nato dignitosamente povero a Brockton, Massachusetts; La Motta nella miseria più nera nel Lower East Side di Manhattan), entrambi sopravvissuti a gravi malattie infantili e avviati bambini a lavori pesanti o illegali per sostenere la famiglia, entrambi fuoriclasse con la mafia a sponsorizzare sullo sfondo (molto più La Motta) una carriera trionfale.

Basso, tozzo, braccia corte, una tecnica elementare e per nulla spettacolare ma un destro assassino, Rocky Marciano è l’unico peso massimo a non avere mai perso un incontro: 49 vittorie (di cui 43 per Ko), nessuna sconfitta, sei difese vincenti del titolo. Rocky mandò al tappeto miti del pugilato come Joe Louis, Jersey Joe Walcott, Roland La Starza, Ezzard Charles, Don Cockell e Archie Moore. Lasciato il ring a 33 anni, rifiutò una borsa milionaria per tornare a combattere contro Sonny Liston nel 1962, inventandosi presentatore televisivo, opinionista, arbitro di lotta libera, imprenditore, commentatore. Morì il 31 agosto 1969, un giorno prima di compiere 46 anni, a bordo di un Cessna a corto di carburante guidato da un pilota forse ubriaco, che si schiantò in un campo di grano a Des Moine, Iowa, durante un temporale. Accanto a Frankie Farrel, figlio di un boss della mafia italo-americana, Marciano stava andando a onorare con la sua presenza, dietro compenso, il compleanno di amici degli amici.
L’approccio totale di Rocky Marciano l’ha raccontato bene Joyce Carol Oates nel saggio On Boxing: «Rocky si ritirava dal mondo, moglie e famiglia compresi, tre mesi prima di ogni combattimento. Durante il ritiro il nome dell’avversario non doveva mai essere menzionato. Nell’ultimo mese non aveva alcun contatto con l’esterno, non leggeva la posta, non riceveva telefonate, non incontrava nessuno. Quando Marciano si allenava al sacco da boxe vedeva il suo avversario davanti a sé, quando correva vedeva il suo avversario accanto a sé, quando dormiva vedeva il suo avversario nello stesso modo in cui il monaco o la monaca di clausura vedono Dio».
Un capitolo del libro di Ricci è dedicato a una storia curiosa. Nel luglio 1969 l’ex campione e Muhammad Ali si chiusero in uno studio per simulare cento riprese di un minuto, poi elaborate da una batteria di protocomputer pesanti e costosissimi, per ricreare in un film di fantaboxe l’impossibile match del secolo. The Super Fight (oggi su YouTube) fu realizzato in due versioni: in quella per il mercato Usa vinceva Ali, in quella destinata all’Europa trionfava Marciano. Ali si infuriò e minacciò di fare causa al produttore; Marciano morì prima di vedere il film.