La Stampa, 27 agosto 2023
Boom nucleare
Nel dicembre del 2022, per la prima volta nella storia, una reazione di fusione nucleare controllata ha rilasciato più energia di quella immessa. E ora quello che fino al 2020 era un argomento da riviste di settore sta diventando sempre più un business. Dalla corsa all’oro del 1800 alla corsa all’atomo che segnerà la seconda metà degli anni 2000.I numeri aiutano a inquadrare il fenomeno e sono contenuti nell’ultimo report della Fusion industry association (Fsa). Nel 2023 l’industria della fusione ha superato per la prima volta la soglia dei 6 miliardi di dollari di investimenti, 1,4 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente, e 27 aziende hanno aumentato i livelli di finanziamento.La crescita in termini percentuali è del 27%. Proprio quando, tra timori inflazione e aumenti dei tassi di interesse, molti si aspettavano che gli investimenti sarebbero per la prima volta scesi. E dei 6,21 miliardi totali del 2023, ben 5,9 provengono da capitali privati.La traduzione è che quando iniziano a salire gli investimenti privati vuol dire che il reale utilizzo delle tecnologie si sta avvicinando. Dal rapporto della Fia emerge che ben 25 aziende (su 40) sono convinte che il primo impianto a fusione fornirà elettricità alla rete anche prima del 2035.Verso la decarbonizzazioneAl di là delle previsioni sulle tempistiche, c’è un altro dato rilevante: non c’è alcun target di completa decarbonizzazione sostenibile senza l’ausilio dell’energia nucleare. Non a caso all’interno della tassonomia legata al “Green deal” europeo il nucleare di nuova generazione è inserito tra le fonti di energia pulita. Le rinnovabili più avanzate, sole e vento, producono infatti energia pulitissima, ma con flussi inevitabilmente poco prevedibili. In pratica, anche immaginando impianti off-shore e tecnologie ancor più efficaci delle attuali, la quantità di energia prodotta in via teorica potrebbe anche essere sufficiente, ma le reti continueranno a dipendere dal concetto di “densità energetica”.Il referendum del 1987Una semplificazione di questo concetto è che all’interno della rete elettrica non può mai mancare energia e molti esperti sono convinti che l’unico modo per garantire questa condizione sia l’affiancamento del nucleare alle rinnovabili.E l’Italia? Nonostante il nucleare sia stato bandito dal referendum del 1987, il Paese ha mantenuto una filiera di settore florida che oggi permette di non stare un passo indietro, ma in alcuni casi persino uno in avanti.Rischi di malfunzionamentoVa detto che il nucleare del 1987 riguardava la tecnologia della fissione, che è noto come oltre ai rischi legati a possibili malfunzionamenti delle centrali, anche quando tutto funziona perfettamente implica una serie di problemi accessori a partire dallo smaltimento delle scorie radioattive. Le centrali attuali funzionano ancora tutte così, ma quella tecnologia è considerata obsoleta.Oggi quando si pensa al futuro si parla o di fusione oppure di nucleare di nuova generazione, tertium non datur. Nell’elenco degli investitori citati nel report della Fia, oltre a nomi come Bill Gates o Jeff Bezos e società come Google o Toyota, sono segnalate anche due società italiane coinvolte nel business della fusione. Una è Eni, che ha abbracciato da tempo la tecnologia nucleare, e l’altra e la Hofima della famiglia Malacalza.Eni nel 2020 si è alleata ad Enea per realizzare un polo scientifico-tecnologico sulla fusione Dtt (Divertor Tokamak Test) che sarà la principale infrastruttura di ricerca in Europa per preparare il funzionamento di Iter. Quest’ultimo è un progetto mondiale, che riunisce i finanziamenti di tutte le grandi potenze del mondo, comprese Cina e Russia, per realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale. Nell’ambito del progetto Iter, l’Italia ha fatto la sua parte e le aziende nazionali hanno vinto commesse che complessivamente superano il miliardo di euro.Oggi accanto a Iter stanno spuntando sempre più startup pronte a sperimentare percorsi paralleli che portino alla fusione. La stessa Eni ad esempio oltre a far parte del progetto Dtt ha investito in Commonwealth Fusion Systems (Cfs) spin-out del Mit di Boston finalizzato ad accelerare l’applicazione industriale della fusione a confinamento magnetico.Confinamento magneticoLa Hofima di Davide Malacalza, invece, lo scorso febbraio è entrata in Gauss Fusion, startup che punta a realizzare entro il 2045 la prima centrale elettrica a fusione ed è partita da un finanziamento preliminare da 8 milioni erogato da investitori internazionali tra cui appunto la società italiana. In più, Hofima da 20 anni attraverso la partecipata Asg Superconductors che controlla assieme alla Luleo di Mattia Malacalza, produce superconduttori essenziali per realizzare la fusione a confinamento magnetico. —