La Stampa, 27 agosto 2023
Un bimba di 4 anni cade del 5to piano, un bancario l’afferra al volo
Il festone con le bandierine triangolari, colorate, fa un arco sopra la porta che conduce sul balcone: «Frida stai attenta», «Frida entra in casa», «Frida non ti avvicinare troppo alla ringhiera»: glielo aveva detto mille volte la mamma. Ma poi si sa, coi bambini è sempre così: mille occhi non bastano mai. Basta un attimo. È bastato un attimo, ieri mattina.
E Frida è salita a cavalcioni sulla ringhiera. L’hanno vista penzolare nel vuoto. Quindici, forse venti metri dall’asfalto: manine aggrappate ad un pezzo di ferro. Non c’è stato neanche il tempo di dire una preghiera. Di gridare «torna dentro». Frida è caduta e sembrava una bambola vestita di giallo che cadendo sfiora i balconi, li urta, si graffia sul muro. Uno, due, forse tre secondi senza respirare. L’ha salvata un ragazzo che l’ha presa al volo, proprio come si fa per fermare un pallone. Un gesto soltanto, le mani che si stringono al petto serrando stretto quel corpicino. Un attimo, prima si crollare a terra anche lui, ma con la bambina stretta al petto. Viva. E se questo non è un miracolo, davvero poco ci manca.
C’era afa ieri mattina in città. Caldo umido, cielo scuro, neanche un refolo d’aria capace di far sventolare le bandierine di plastica appese per chissà quale compleanno. Frida è uscita sul balcone. Piano quinto. Palazzo giallo. Qui, nell’ultima traversa di via Nizza, la strada che porta verso l’esterno città, verso la periferia, un tempo abitavano gli operai della Fiat, e lo stabilimento, se guardi bene, da lassù, riesci a ancora a scorgerlo a un chilometro di distanza. Adesso qui vivono impiegati, operai, anziani: pochi contatti con i vicini. Vite differenti. Nessuno che conosce nessuno.
Erano quasi le 11 quando Frida ha guadagnato il suo attimo di libertà sul balcone all’ultimo piano di questo palazzo. Quattro anni tra qualche giorno, sguardo vispo, un vestitino giallo. È uscita e si è messa a giocare lì, in quell’unico punto dove forse faceva un po’ meno caldo. Poi, chissà per quale ragione è salita su una sedia. E dalla strada qualcuno l’ha vista, e si è fermato a guardare. Frida ha fatto tutto ciò che fanno bambini: s’è sporta un po’, e poi ancora un altro po’ dal parapetto del balcone: un muretto che sostituisce la ringhiera, che rende la casa più preziosa e più elegante. «Stai dentro, piccina, non uscire. Torna dentro» le ha urlato un passante dalla strada. E Frida s’è spostata appena. È andata sul lato, dove il muretto non c’è più e ci sono le sbarre. L’hanno vista scavalcare, ma forse lei voleva rientrare, tornare verso il suo mondo e i suoi giochi.
Da giù, dalla strada, l’hanno vista perdere l’equilibrio. E la gente urlava: «Stai ferma piccina, stai ferma». L’ultima immagine ce l’ha negli occhi una donna: «Era appesa con le manine alla ringhiera. Mi sono voltata ed era già giù».
«Giù» vuol dire in strada. Sul marciapiede. In braccio ad un uomo con la maglietta bianca, inginocchiato che faceva fatica a respirare.
Come sia accaduto tutto questo lo hanno ricostruito i carabinieri che qualcuno ha chiamato quando Frida era ancora sul balcone. Ed è tutta una storia di fortuna e di coraggio. «Sliding doors», se vi piace. Di destino, perché sarebbe bastato un nulla per cambiarne il finale. Frida è caduta tra le braccia di un ragazzo grande e grosso e coraggioso. Che quando l’ha vista venire giù ha fatto ciò che doveva fare: ha aperto le braccia e seguito quel corpo che cadeva. E non ha neanche avuto il tempo di pensare. Di programmare. Di capire. Ha aperto le braccia e se l’è ritrovata addosso.
Adesso chi ne sa di fisica, fa i calcoli: velocità per peso per altezza: «Chissà a che velocità è arrivata giù». Lui, questo ragazzo che di mestiere fa l’impiegato in una banca, e che si chiama Mattia Aguzzi, di calcoli non ne ha fatti.
Inginocchiato sull’asfalto con un dolore enorme al petto l’ha guardata, le ha sorriso e lei si è messa a piangere e lui ha capito che stava bene. E intanto la fidanzata di Mattia, Gloria, suonava a mano aperta i campanelli del palazzo: «Scendete, scendete». E c’era gente che gridava. E altri che si fermavano soltanto per curiosare. E poi è arrivata la mamma di corsa, scalza, le mani tra i capelli, urlando. Frida l’hanno sdraiata in terra, in attesa dell’ambulanza. Le hanno accarezzato i capelli. Poi gli infermieri, con mille cautele, se la sono portata via. È ricoverata all’ospedale infantile “Regina Margherita”. Quarto piano. In osservazione. Non ha fratture. Non ha traumi importanti. Ma resterà lì, fino a domani. I medici vogliono essere certi: il trauma è importante, anche se le ferite non ci sono. Anche Mattia lo hanno portato al pronto soccorso. Temevano costole fratturate, problemi alle braccia, allo sterno.
Lo hanno lasciato andate che erano le due del pomeriggio. «Sto bene, non ho nulla di rotto», sorride. Abbraccia Gloria. «Se non fossi passato da lì...». Il destino. Piove adesso su Torino, e cancella la cappa di afa. La mamma di Frida parla con i carabinieri.
Poche parole: «Stavo sistemando la casa: lei giocava. Non potevo immaginare». Giusto. Nessuno poteva immaginare. Sliding doors. Poi è passato Mattia che con la fidanzata andava a comprare il pane.