Corriere della Sera, 27 agosto 2023
Il nuovo Cern di Piano
«Ogni uomo si ferma davanti al mistero; ma qui impara a guardare nel buio». Con questa filosofia Renzo Piano ha costruito per Fabiola Gianotti il nuovo Cern.
Dice Renzo Piano che ha lavorato con i neuroscienziati, con gli astrofisici, ora con i fisici delle particelle, e ogni volta ha visto la stessa cosa: «L’uomo arriva sempre più avanti, ma a un certo punto si ferma di fronte al mistero. Come diceva Marguerite Yourcenar, l’uomo guarda nel buio, senza distogliere lo sguardo. E se guardi nel buio, all’inizio, non vedi niente; poi l’occhio, piano piano, si abitua. Perché quel buio non è vuoto, è abitato da tutto quello che hai visto, letto, ascoltato, e che stai per immaginare, con quella sublime testardaggine senza cui non arrivi mai al centro delle cose. L’importante è applicarla alle cose giuste».
Il nuovo Cern, che si inaugurerà il 7 ottobre, è cominciato prima della pandemia, il giorno in cui l’italiana più importante al mondo – la direttrice Fabiola Gianotti – andò a Parigi a fare visita all’italiano più famoso al mondo, Renzo Piano, e a sua moglie Milly, e chiese consiglio per un nuovo edificio: «Ogni anno riceviamo 150 mila visitatori e diciamo di no ad altri 150 mila. Ci serve più spazio per raccontare agli studenti, agli insegnanti, a chiunque sia interessato, chi siamo e cosa facciamo, la bellezza e l’utilità della fisica. Una porta della scienza. So Renzo che sei molto impegnato, ho già i progetti di qualche architetto locale, ma dammi un consiglio». Alla fine dell’incontro Milly Piano accompagnò Fabiola Gianotti al taxi e le disse: «Mi sa che questa cosa Renzo la vuole fare lui».
Indietro nel tempo
Il cantiere è quasi finito, e si chiama Science Gateway: appunto, il portale della scienza. Renzo Piano ha disegnato un ponte lungo duecento metri, «quasi un laboratorio spaziale in atterraggio», che passa sopra la strada e il confine tra Svizzera e Francia, e unisce cinque strutture. La prima è un auditorium da 900 posti, che sarà dedicato a Sergio Marchionne. La seconda – spiega Piano – è un pezzo, portato in superficie, di quello che si nasconde sotto: il gigantesco acceleratore lungo 27 chilometri. I visitatori potranno così vedere e capire come si scontrano i protoni, a una velocità vicina a quella della luce. È il meccanismo che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs, la particella di Dio. È il luogo più vicino al mistero dove l’uomo sia mai arrivato.
«Einstein diceva che il tempo è un’illusione – ricorda Renzo Piano —. Il nostro tempo può fluire lentissimo o velocissimo, le nostre vite sono lunghissime e cortissime. Ha scritto Borges: «Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. È il fiume che mi trascina; ma io sono il fiume. È la tigre che mi sbrana; ma io sono la tigre. È il fuoco che mi divora; ma io sono il fuoco». Il Big Bang, l’esplosione da cui è nato il nostro universo, è accaduta 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, un tempo che non riusciamo neppure a concepire; ed è durata un tempo infinitamente piccolo che non riusciamo neppure a cogliere».
Al Cern si è risaliti indietro nel tempo sino a un milionesimo di milionesimo di secondo prima del Big Bang. E si è giunti a riprodurre le stesse condizioni di allora, la stessa temperatura, centomila miliardi di volte più alta della temperatura di questa estate, che è torrida pure qui a Ginevra. I fisici hanno capito il come; non il perché. Cosa è successo; non chi l’ha fatto. Sempre che il «Massimo Fattor» esista.
Le altre strutture sono dedicate appunto allo studio del Big Bang e al mondo dei quanti. Renzo Piano ha pensato un edificio che respira: «L’aria condizionata sale da questi forellini nel pavimento, tutto attorno abbiamo piantato quattrocento alberi, sul tetto ci sono pannelli solari di ultima generazione; si produce più energia di quella che si consuma». C’è anche una struttura dedicata all’arte contemporanea: perché arte e scienza qui sono collegate.
La mensa e gli occhiali
Arriva la direttrice del Cern con il vassoio in mano ed è come essere investiti da un fascio di protoni. Immaginate una Rita Levi Montalcini con la velocità di parola e di battuta di Enrico Mentana. «Lei ha gli occhiali rotti». In effetti ho perso una stanghetta, al ritorno in Italia dovrò andare dall’ottico. «Che problema c’è, abbiamo le stampanti 3D! Dia qua». Tutti la chiamano per nome, Fabiolà, alla francese. Lei però è molto italiana: padre piemontese di Asti (vissuto 101 anni), mamma siciliana di Palermo (92), nata a Roma, laurea e dottorato in fisica a Milano. È qui da sempre: arrivò al Cern ragazza con una borsa di studio, non se n’è più andata. Sulla mensola della sala di controllo sono allineate bottiglie di champagne vuote, con cui si sono festeggiati i grandi successi. Una foto reca la data «4 luglio 2012», scoperta del bosone di Higgs. «Quel giorno – racconta Fabiola Gianotti – il Cern ha raggiunto l’obiettivo per cui era nato nel 1954: riportare in Europa il primato della fisica sperimentale. Ora siamo più avanti degli Stati Uniti. Americani e cinesi vengono qui».
«Ho fatto il classico, e non è vero quel che dicono della scuola italiana. La scuola italiana è eccellente ancora oggi, qui su 17 mila scienziati di centodieci nazionalità 2.500 sono italiani, e sono arrivati per merito. Al liceo, di fisica ne ho studiata poca; ma avevo un insegnante che ci spiegava come la fisica funziona, come funzionano le cose. E la fisica fondamentale è semplice ed elegante, si basa su principi di simmetria. Ma noi esistiamo perché la simmetria non è perfetta. Se materia e antimateria fossero presenti in parti uguali nell’universo, si sarebbero annichilate, distrutte l’una con l’altra; e noi non esisteremmo. Invece l’antimateria per qualche strano motivo è scomparsa; al Cern la stiamo studiando, per capire che fine ha fatto. Nel cielo notturno voi guardate le stelle. Ma le stelle, i pianeti, la materia sono soltanto il 5% dell’universo. Noi dobbiamo guardare nel vuoto e nel buio. Da ragazza ho studiato pianoforte, ancora oggi passo il sabato pomeriggio a suonare. Tanti mi chiedono: perché nella vita hai fatto una cosa tanto diversa? Ma non è vero: io trovo la fisica nella musica, e la musica nella fisica». Papa Francesco l’ha voluta nella Pontificia Accademia della scienza. «Ho avuto una formazione cattolica. Ma la fisica non potrà mai né dimostrare, né escludere l’esistenza di Dio». E la vita extraterrestre? «Molto probabilmente esiste. Perché è molto improbabile che in nessun altro pianeta di un universo enorme si siano riprodotte le condizioni che sulla Terra hanno reso possibile la vita. Ma potrebbe essere una forma di vita molto diversa dalla nostra». Come immagina l’aldilà? «Come uno spazio immenso, in cui spero non vadano perdute le individualità; perché siamo tutti così diversi, così interessanti. Ah, ecco che sono pronti i suoi occhiali, vede la nuova stanghetta in titanio? Non deve più andare dall’ottico».
Dentro la caverna
Con Piano scendiamo nella caverna dove tutto avviene: circa cento metri sottoterra, dentro il rivelatore Atlas, dove fu scoperto e ora viene studiato il bosone di Higgs. I rivelatori sono i luoghi dove vengono «fotografate» le collisioni che accadono nell’acceleratore lungo 27 chilometri, che i protoni percorrono undicimila volte in un secondo; ora si pensa a un nuovo acceleratore lungo 90 chilometri, da far passare sotto il lago di Ginevra. Si entra con il riconoscimento oculare, dettaglio che ispirò a Dan Brown il terrificante incipit di «Inferno». L’ascensore è veloce, ma vista dal basso del pozzo l’immensa macchina è impressionante.
«Qui non si studiano solo le particelle – racconta Piano —. Dal Cern è sorto il word wide web, insomma il www, ed è stato regalato al mondo. Qui sono nate le tecnologie della Pet e delle nuove cure contro il cancro. Si fanno cavi superconduttori per non disperdere energia». A New York Piano ha costruito il centro per la neuroscienza della Columbia University, l’Mbb – Mind Brain Behaviour —, per lo studio della mente, del cervello, dei comportamenti; ora sta costruendo il «Climate Change», il nuovo edificio dove si studierà la rivoluzione del clima. «Tutto si tiene. Le scienze tra loro si parlano. Gli scienziati collaborano, perché hanno capito che siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità, ed è sbagliato raccontare questo tempo soltanto come una grande crisi. Accadono cose meravigliose, si fanno grandi scoperte, si trovano soluzioni. È proprio sul terreno della scienza, della medicina, della climatologia, ma anche della solidarietà umana, che si assiste all’emergere un po’ timido, qua e là nel mondo, di una rete fluida di affinità globali. Che saranno la salvezza del nostro pianeta». Qui anche i fisici girano con il cacciavite in tasca, e molti hanno meno di trent’anni. «Io lavoro in mezzo ai giovani, e le assicuro che sono straordinari. Il solo modo di sopravvivere a se stessi, ad una certa età e con un lungo percorso alle spalle, è proprio lavorare con loro. Noi vecchi dobbiamo comportarci come i maestri giapponesi del tempio di Ise, che viene ricostruito ogni vent’anni. I giovani arrivano, tra i 20 e i 40 anni imparano a fare il tempio, dai 40 ai 60 fanno il tempio, e dai 60 agli 80 insegnano a fare il tempio».
Renzo Piano tra qualche giorno ne compie 86, e ha detto di voler morire in cantiere. Non in questo però, l’ascensore risale il pozzo, si torna al calore della superficie, si rientra nel Science Gateway. «Il Cern ha un budget da un miliardo e 200 milioni, ma il nuovo edificio è frutto solo di donazioni e costa meno di cento milioni: cioè meno del costo giornaliero di un bombardiere che semina morte e distruzione».
Racconta Piano che il suo mestiere è costruire luoghi di pace, che siano musei, sale da concerti, università, laboratori di ricerca, ospedali come quelli che ha fatto in Africa con il suo amico Gino Strada. «Siamo tutti imbarcati sulla stessa astronave, con destinazione ignota. Farci la guerra è come fare a botte su un autobus. A maggior ragione in Europa, che è una grande città diffusa: perché il contrario della città non è la campagna, è il deserto; e in Europa non ci sono deserti».
Al Cern lavorano mille scienziati russi e cento ucraini, che prodigiosamente continuano a collaborare. Tra gli Stati membri c’è Israele, che paga borse di studio a ricercatori palestinesi. «Oggi nell’architettura il fine è dare un riparo alle comunità – spiega Piano —, e per questo ci vuole anche la bellezza primaria, non nel senso caricaturale che la parola ha assunto: beauty, beauté, fa venire in mente un centro estetico. Il bello che dobbiamo recuperare è il “kalòs” dei greci, che è anche il buono. “Giuro di restituire Atene agli ateniesi più bella di come me l’avete consegnata”: il giuramento dei politici al tempo di Pericle dovrebbe essere anche il nostro».
Dialogo con Francesco
Non molto tempo fa, l’architetto è stato dal Papa, che ha nove mesi più di lui. Hanno parlato a lungo. Si sono detti come la scienza spieghi il come, non il perché, eppure non esaurisca la spinta prometeica dell’uomo a penetrare il segreto delle cose.
«Nel Seicento – racconta Piano – i medici di Padova trafugavano i cadaveri per studiarli, e scoprirono che il cuore non è la sede dell’anima; è una pompa. Una meravigliosa, perfetta, instancabile pompa. Oggi gli scienziati hanno scoperto che nel nostro cervello ci sono 85 miliardi di neuroni; le donne ne hanno cinque miliardi in più, pare; la nostra amica Fabiola ancora di più. Ma come funziona la mente, come le sinapsi non solo trasmettano impulsi ma generino passioni, empatia, sentimenti, memoria, è ancora un mistero. Ed è un mistero come nel Big Bang l’energia sia diventata materia. Così nacque il nostro universo; che forse è solo uno dei tanti universi». E lei Piano l’aldilà come lo immagina? «Anche io ho avuto una formazione cattolica. Mia moglie a volte mi trascina a messa, a Notre-Dame prima dell’incendio, a Saint-Paul, nelle altre chiese di Parigi; e la sventagliata dell’organo è la liturgia che ci ricorda che dobbiamo morire. Meditare, pregare o semplicemente star zitti? La mia vera preghiera è veder crescere i miei cantieri e costruire luoghi per la gente. La trascendenza ci riguarda tutti. Norberto Bobbio diceva, da bravo laico: “Sono arrivato varie volte sulla soglia del tempio, e non sono mai riuscito a entrarci”. La fede tuttavia, o qualcosa del genere, è una buona compagna di viaggio nel corso della nostra vita. José Saramago scriveva della “breve immortalità”, il tratto di vita che viene dopo la morte dei nostri cari, ma è un’illusione. Forse la nostra immortalità sono le persone che abbiamo amato, i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto, quello che abbiamo costruito, cioè le cose di cui noi stessi siamo fatti. Il Papa mi ha spiegato che non esistono atei. Nemmeno il nostro comune amico Carlin Petrini è ateo, ci siamo detti ridendo. Esistono solo uomini che si fermano davanti al mistero. E che guardano nel buio. Qui, nei sotterranei del Cern, sono soltanto meglio allenati».