Corriere della Sera, 27 agosto 2023
Il «discount» di Gomorra
Parco Verde è il territorio dove i clan si rivolgevano come fosse un discount umano, alla ricerca di esecutori: un omicidio, un corriere, manodopera per un lavoro edile. E se per un omicidio, altrove, si dovevano sborsare 10 milioni di lire; qui ne bastavano 2; se un viaggio con palline di cocaina costava mediamente 3 mila euro, qui ne erano sufficienti 800. Questo è accaduto per decenni, fino a quando il sistema-Secondigliano è collassato, sotto il peso dell’attenzione internazionale, e la distribuzione della droga si è spostata altrove.
In quel momento Parco Verde ha iniziato a mutare percorso criminale. Ma dobbiamo arrivaci per gradi.
Parco Verde è una città di migliaia di persone (tra 4 e 6mila). Un luogo a sé, con proprie regole, storia, dinamiche. Per chi non è meridionale il termine «parco» rimanda a distese di boschi e prati. Non c’entra nulla. Al Sud si usa il termine «parco» per descrivere condomini formati da più di una palazzina circoscritti da cancellate, circondati da vialetti che nella fantasia degli architetti dovrebbero richiamare appunto i parchi naturali. Parco Verde non è nemmeno questo: è solo un assedio di palazzine attaccate, generato dall’emergenza terremoto del 1980. Sì, proprio così: la Campania aveva trecentomila sfollati da alloggiare e con la Legge 219 arrivano i miliardi per costruire alloggi alternativi. Si scelse la periferia di Caivano, laddove c’era campagna (terra di pesche, fragole, mandorle): il nome «Parco» rappresentava l’ambizione di creare una comunità; mentre «Verde» era il colore delle palazzine. È diventata solo la banlieue più articolata e misera della Campania
Disinteresse La politica si occupa poco di Parco Verde, solo nei momenti elettorali e c’è una ragione: con pochi pochissimi soldi compri migliaia di voti. Questo bacino deve rimanere sommerso e invisibile. Parco Verde è circondato dai clan, ma non ha prodotto famiglie egemoni, né capi. C’è una ragione, raramente descritta: i veri sovrani di qui stanno lontano da Caivano. Sono i Moccia di Afragola, borghesia criminale importantissima, una delle famiglie più potenti su Roma. I Moccia non hanno mai voluto che Parco Verde si sviluppasse. Il ghetto lo controlli se lo affami, altrimenti poi conquista tutto ciò che ha intorno. Miseria disorganizzata, povertà assoluta, disoccupazione cronica: tutti elementi che tengono bassi gli stipendi e difficile qualsiasi reale scalata criminale.
Per anni quando la piazza di spaccio di Secondigliano cresceva esponenzialmente, Parco Verde era appunto il suo corrispettivo discount. Ma più i clan dell’Alleanza di Secondigliano si indebolivano, maggiore diventava l’influenza del mercato di Parco Verde, che negli anni ‘90 era governata da due schieramenti contrapposti. Uno autoctono «i paesani», ossia i caivanesi, e l’altro che pretende di comandare in nome della reale radice etnica degli abitanti di Parco Verde, «i napoletani» che erano stati portati lì dopo il terremoto.
Quando il boss capo dei paesani, «o’ zuopp», ossia Salvatore Natale, capì negli anni ‘90 il potenziale di Parco Verde cercando di renderne autonoma l’organizzazione, furono proprio i Moccia – secondo quanto dichiara un loro ex dirigente divenuto collaboratore di giustizia, Michele Puzio – a decretarne la morte.
Ma nessuno si accorge di questo territorio con oltre 1500 ragazzini esposti ad arruolamenti criminali sino a quando accadono violenze sessuali su bambini. Giugno del 2014: Fortuna Loffredo, 6 anni, precipita dal palazzo dove abitava, sul suo corpo chiari segni di stupro; l’anno prima, Antonio Giglio, 4 anni, era morto cadendo dal settimo piano dello stesso palazzo di Fortuna. Vicende orrende. che tornano oggi con le stesse attenzioni. Ma anche questa volta poco cambierà.
Parco Verde nel frattempo ha ereditato le piazze di spaccio di Scampia, i nuovi capi hanno ottenuto un consenso allargato attraverso precise strategie. Durante la fase acuta del Covid, il boss Massimo Gallo furbescamente ha garantito al «Parco» cibo e assistenza, utilizzando i suoi affiliati per consegnare la spesa alle famiglie e si è reso disponibile a trovare posti di lavoro, a far ritrovare auto a chi ne aveva subito furto, ad abbassare il clima di conflitto tra bande.
Reagire? Ma in questo abisso c’è chi riesce a non farsi sommergere? Esiste. E bisognerebbe capire come provi a non cedere ai clan, a tenersi lontano dallo schifo. Uno di questi rari individui era un lavoratore di Parco Verde, che non sopportava che il proprio palazzo divenisse una piazza di spaccio. Si lamentava, provava a chiedere di spostare il commercio, ad organizzare una protesta di altri abitanti. Gallo, il boss, temeva che questo signore potesse denunciarlo: prima tentò di bruciargli la casa, poi gli pestò il genero, infine gli dette alle fiamme l’auto. Alla fine preparò pure una vasca piena di acido e dette l’ordine di ucciderlo e scioglierne il corpo. Arrivarono prima i carabinieri che lo stavano intercettando.
In questi anni l’omertà si è declinata sempre nella stessa dimensione: pensare che raccontare queste dinamiche fosse un modo per infangare il territorio. Che infinita pena un Paese che crede che il nominare il male significhi diffonderlo. A Scampia illuminare l’orrore ha innescato una reale trasformazione; certo, c’è molto, moltissimo ancora da fare ma molto è cambiato. Mentre Parco Verde continua nel silenzio ad essere un luogo di disperazione da cui molti traggono profitto sul sangue dei disperati.