Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 26 Sabato calendario

Ottovolante con il vocabolario. Le nuove parole proibite negli Usa

Eh no, crippled, cioè «storpio» no. È un termine gergale «usato per stigmatizzare od opprimere persone con disabilità fisiche». Meglio crip, cioè «handicappato»: è più inclusivo. Benvenuti nel mondo di un nuovo genere letterario, nota il National Reporter, quindicinale statunitense conservatore: il linguaggio inclusivo. La perla con la differenza tra handicappato e storpio si trova nella guida di stile del Dickinson College, prestigiosa istituzione culturale che sul suo sito (www.dickinson.edu) dichiara: «Il college non discrimina sulla base di razza, colore, origine nazionale, sesso, disabilità, religione, età, identità di genere o espressione, orientamento sessuale o qualsiasi altra minoranza protetta». Olè: ma attenzione, se andate sulla pagine della Colorado State University, crip diventa un termine «poco appropriato». Quindi non si dice: «Tom è crip, handicappato», ma: «Tom non riesce a camminare». L’università del Minnesota dice che crip si possa usare solo «col permesso della comunità o persona a cui ci si riferisce». Lo/la fermi e chiedi: «Scusa, posso chiamarti handicappato/a»?

Implacabile, il National Reporter dimostra come il politically correct si spinga a vette immense di ridicolo: All’università della California è vietato dire: «Prendere due piccioni con una fava». In realtà l’espressione in inglese è to kill two birds with a stone, uccidere due uccelli con una pietra: non va bene perché «è violento». Come si modifica? Così: feed two birds with one scone, ossia «Nutrire due piccioni con un dolcetto» (lo scone è una specie di pasticciotto per il tè). Dio mi perdoni per aver tradotto questa fesseria, perché vedrete che anche in Italia arriveremo a questo.
In compenso, alla Michigan State University il Dipartimento di Studi classici e lingue romanze ha un sito sul quale si indicano espressioni «non binarie e inclusive» per francese, italiano e spagnolo. Incredibile ma vero, l’indirizzo rcs.msu.edu vi rimanda ad una sezione dalla quale siete proiettati su queeritaliablog.wordpress.com sul quale Charlotte Ross, senior lecturer d’Italiano all’Università di Birmingham, in un post del 12 gennaio ’17 spiega che: «Il genere di vari sostantivi (in italiano, N.d.R.) è profondamente sessista. Il sesso di default, se è sconosciuto, è maschile: per esempio anziché parlare di chi è appena nato, la gente dice ’un bimbo’; se chiede se qualcuno abbia parenti stretti, spesso chiede se abbia ’fratelli’». La signora (la quale loda l’allora presidente della Camera Laura Boldrini per la sua crociata politically correct) disconosce la grammatica italiana e per l’Accademia della Crusca: «Nell’italiano standard il maschile al plurale è da considerare come genere grammaticale non marcato». In altre parole, se dico: «Stasera verranno da me alcuni amici», non si esclude che ci siano donne. Se dicessi: «Stasera verranno da me alcune amiche», pare evidente che saranno esseri di sesso femminile (o presunto tale).
Ma all’università di Stanford la guida dell’inclusività condanna al rogo 161 termini spalmati su 13 pagine. «Mulatto» (half-breed) è vietato, «Signore e signori» (ladies and gentlemen) è peccato mortale: sottende genere binario, gente convinta che avere il pisellino sia essere maschi, e la fiorella femmine. Fascisti, insomma, e retrogradi. «Stupido» è proibito, perché questa parola: «Un tempo era usata per descrivere una persona che non poteva parlare e implicava che la persona fosse incapace di esprimersi». Frank Sinatra nel 1967 incise con sua figlia Nancy «Sometin’ stupid», «Qualcosa di stupido». Oggi si chiamerebbe: «Qualcosa incapace d’esprimersi». Che ciofeca, ma corretta.
Il premio idiozia comunque va all’Università del Wisconsin, che dal 2015 proibisce l’uso della seguente espressione: «Chiunque può avere successo in America, se lavora abbastanza duramente». La porcata, per i censori del linguaggio, è che tale espressione sia sottilmente razzista verso i neri, i quali sarebbero subdolamente additati quali pigri e incompetenti, per cui dovrebbero lavorare duramente per avere successo. Duro lavoro=successo non si può dire: è razzista. Solo che basta vedere la società italiana, però, per capire che c’eravamo arrivati prima noi. ’Nto culu agli yankee.