Corriere della Sera, 26 agosto 2023
Sulla foto segnaletica di Trump
«Sono una canaglia ma sono la vostra canaglia, e io non vi tradirò mai». Potrebbe essere questo il «fumetto» sotto il mug-shot di Donald Trump. Giunto alla sua quarta incriminazione, ma per la prima volta soggetto al rito della foto segnaletica. Questa immagine del 45esimo presidente degli Stati Uniti è già entrata nella storia, nella semiologia, nella filosofia delle comunicazioni di massa, nelle scienze politiche applicate all’era dei social. Lo scatto realizzato nel carcere di Fulton County al detenuto P01135809 poco prima del rilascio dietro cauzione, è un’altra tappa nella discesa agli inferi giudiziari di Trump, oppure verso la sua rivincita? Con 78 milioni di visualizzazioni in poche ore, lui l’ha usata per il suo ritorno su Twitter-X, piattaforma da cui era stato escluso (e poi si era auto-esiliato) per due anni e sette mesi. Sotto ha messo il link per la raccolta fondi della sua campagna elettorale e lo slogan «Mai arrendersi». L’America profonda sa a cosa si riferisce: da lui si attende la salvezza da invasioni migratorie, criminalità in aumento, distruzione dei valori tradizionali.
L’immagine ha scatenato milioni di commenti, oltre che diventare motore di merchandising (magliette, tazze) per la raccolta fondi. La chiave estetica, il messaggio subliminale, l’uso potenziale che lui o i suoi avversari potranno fare di quel simbolo visivo: eccitando questo voyeurismo di massa The Donald conferma un suo talento, essere sempre al centro dell’attenzione. Molti gli hanno attribuito – con un eccesso di cultura cinematografica – uno «sguardo alla Stanley Kubrick», per le analogie con le immagini del picchiatore Malcom McDowell in «Arancia meccanica» e dello psicopatico Jack Nicholson in «Shining». La tecnica è quella: testa inclinata in avanti, occhi puntati tra le sopracciglia, luce che arriva dall’alto, la sensazione che il soggetto stia per sferrare un colpo frontale all’obiettivo fotografico. Versione furente: «Questa è una parodia della giustizia» (così ha detto uscendo dal carcere). Interpretazione ribelle: io sono con l’America vera, contro l’establishment che usa tutta la potenza dello Stato per silenziarmi. Lettura dei suoi avversari: ecco il ritratto di un cinico criminale che non esiterebbe a distruggere la più antica liberaldemocrazia del mondo.
Marchio d’infamia che prelude alla condanna, oppure trofeo di nobiltà, nella storia d’America il mug-shot lo ricordiamo in tutte le varianti. La galleria delle celebrity include gangster come Al Capone associato alle patrie galere, ma anche Frank Sinatra, David Bowie, Hugh Grant, star cadute in qualche incontro con il codice penale; una pasionaria del pacifismo anni Sessanta come Jane Fonda; eroi delle battaglie per i diritti civili tra cui Rosa Parks e John Lewis.
È significativa la scelta fatta dal principale quotidiano nazionale, il New York Times: ha affidato il commento sulla foto alla sua critica di moda. Evitando il tema politico, venuto quasi a noia, per concentrarsi sul linguaggio, l’icona, l’uso che può esserne fatto: «Dall’istante in cui è stata scattata, è diventata di fatto la foto dell’anno. Un simbolo dell’eguaglianza di tutti davanti alla legge, oppure dell’abuso giudiziario». Decine di milioni di americani non leggeranno mai i capi d’accusa delle varie incriminazioni, ma si fisseranno su quell’immagine per «leggerla» ed estrarne un significato che in cuor loro hanno già deciso.
La posizione
Occhi puntati, luce dall’alto, la sensazione che lui stia per sferrare un colpo all’obiettivo
Era inevitabile: The Donald è nato come uomo di spettacolo prima che come politico (e non è mai stato un grande imprenditore), il suo trampolino di lancio fu il reality-show televisivo The Apprentice. Ma i suoi avversari politici hanno accettato di scendere sullo stesso terreno manovrando una giustizia-spettacolo, finora con dubbi risultati. La diffusione planetaria della foto segnaletica è avvenuta quasi in simultanea con il primo dibattito tv tra candidati repubblicani, tutti dei nanerottoli nei sondaggi, mentre lui si è concesso il lusso di non parteciparvi per sottolineare il vantaggio di cui gode. Un vantaggio che aumenta ad ogni incriminazione. La risposta dei democratici è nota: nessuna considerazione di opportunità può frenare la legge, Trump deve rispondere dei suoi presunti reati come ogni cittadino. Non mancano le perplessità anche a sinistra. Giuristi illustri e progressisti ricordano le troppe iniziative giudiziarie contro di lui che sono fallite (come il Russiagate) o inconsistenti (l’istruttoria newyorchese sulla pornostar); l’indulgenza della magistratura verso i reati del figlio del presidente Biden; il calendario discutibile di incriminazioni calibrate sui tempi della campagna elettorale. Pesa infine il dato oggettivo di una giustizia pilotata da un dicastero di questo esecutivo – che legittimerà catene di ritorsioni contro futuri presidenti. Ma non è questo ad avere calamitato 78 milioni di attenzioni in poche ore: è la foto, e basta.
Quando il mug-shot fu inventato dall’antropologo-poliziotto francese Alphonse Bertillon alla fine dell’Ottocento, un suo seguace disse che doveva «assegnare ad ogni essere umano la sua precisa identità e individualità, certa, durevole, sempre riconoscibile». Trump ha padroneggiato lo scatto perché recita seguendo un istinto primordiale.
Umberto Eco starà ridendo dall’oltretomba se legge quegli epigoni che oggi ci spiegano come «la politica nell’era dei social» è creazione, controllo e definizione di immagini visive. Lui ci racconterebbe come i faraoni egizi curavano la loro immagine nei dipinti murali, gli imperatori romani sulle monete. Alcuni erano degli egomaniaci che finirono male; la manipolazione dell’immagine non li salvò.