il Giornale, 26 agosto 2023
Cronaca del 1923
Il 1923 si aprì con un segno nefasto: l’incendio doloso del Goetheanum di Dornach dove Rudolf Steiner tentava di organizzare un singolare centro spirituale, quello della Società Antroposofica, con un tempio in legno con un’ardita e intrigante struttura architettonica, sostituito da una monumentale costruzione in cemento, assai meno «spirituale». Negli stessi mesi a Weimar si stava sviluppando la corrente architettonica più interessante del secolo, il Bauhaus, intorno a Walter Gropius, che culminò in quell’anno con una grande mostra che ha lasciato una memorabile traccia con «Haus am Horn», l’edificio-simbolo progettato da Georg Muche. Siamo agli inizi della Repubblica di Weimar che era nata sotto la cattiva stella della disfatta del 1918, con la capitolazione dell’esercito ancorché non battuto in battaglia-, con l’abdicazione del Kaiser Wilhelm II e con il fardello insostenibile di ingentissime riparazioni di guerra, imposte alla nuova Repubblica parlamentare dalla Francia e dal Belgio, che, a causa di un ritardo nei pagamenti, occuparono nel 1923 la ricca regione industriale della Ruhr, provocando l’innaturale alleanza tra comunisti e nazisti, scatenando il risentimento dell’intera nazione, che stava dissolvendosi a causa di spinte separatistiche sostenute generosamente e irresponsabilmente dalla Francia. La severità dei vincitori provocò una iperinflazione galoppante. Nel novembre un chilo di pane era giunto a costare 233 miliardi di marchi. Ciò spiega come mai si diffondessero movimenti contro la nuova repubblica, culminati nel putsch dell’8 e 9 novembre a Monaco guidato dal Feldmaresciallo Ludendorff e di fatto da un giovane agitatore politico Adolf Hitler, nato nel 1889 in un paesino austriaco, formatosi a Vienna nei circoli dell’antisemitismo razzista, prima di emigrare in Germania e combattere nell’esercito tedesco. Il colpo di stato questa volta fu represso nel sangue e a Hitler fu inflitta una pena abbastanza mite in un carcere dove scrisse (in realtà: dettò a Rudolf Hess) il Mein Kampf, il testo sacro dell’ideologia nazista e razzista. In prigione rivide la sua prospettiva politica lasciando la fallimentare strategia golpista per un’azione interna alle ampie maglie della democrazia repubblicana. Eppure in quel periodo così turbolento vi erano ancora abbastanza energie per una svolta genuinamente parlamentare segnata dalla nomina a cancelliere di Gustav Stresemann che dal quell’anno fino alla morte nel 1929 diresse la politica estera tedesca, con il progetto di traghettare la Repubblica verso un rafforzamento interno con ampi riconoscimenti internazionali, segnati dal conferimento del Premio Nobel per la Pace nel 1926. Le sorti della Germania e dell’Europa erano ancora aperte, come prova anche la definitiva stesura in quell’anno della Montagna magica di Thomas Mann (ma pubblicata nel 1924), in cui si evocavano tutte le minacce e le redenzioni ancora possibili, che ritroviamo, in una visione apocalittica nell’opera di Franz Kafka, l’altro grande autore della letteratura tedesca del Novecento, che nel 1923 si era rifugiato a Berlino con la sua giovane compagna Dora Diamant, trovando finalmente la forza di emanciparsi dalla famiglia, dal quel padre cui aveva dedicato la struggente e famosa Lettera al padre. Aveva sbagliato anno: l’immane inflazione lo costrinse a mesi d’incertezza economica e di privazioni immense. Per il freddo di quell’inverno gettò nella stufa i suoi manoscritti e a Dora, che tentava di fermare quell’inutile rogo, prometteva che avrebbe composto nuovi testi inspirati dall’intuizione di una «letteratura della libertà». Non ne ebbe più tempo: morì pochi mesi dopo in un sanatorio vicino Vienna per tubercolosi che si era aggravata irreversibilmente a Berlino. Intanto si stava aprendo un altro scenario della letteratura da parte di un giovane scrittore Bertolt Brecht che alla fine dell’anno metteva in scena il suo primo lavoro teatrale, Baal, pervaso da un urlato atteggiamento espressionista che caratterizzò tutta la prima fase della sua produzione drammaturgica. Il dramma incarnava le angosce e le rivolte di una generazione che non si voleva riconoscere più nella compassata etica borghese della Germania anteguerra, quella guglielmina del Secondo Reich, ma che non aveva ancora trovato una via di uscita dai morsi della disperazione. Per Brecht una prospettiva possibile di salvezza dalla crisi nichilistica di quei tempi cominciò a profilarsi negli anni seguenti con l’adesione, alquanto fideistica, al marxismo-leninismo. Teatralmente l’intuizione era già presente, ancorché appena accennata, nel Lied der Mutter Courage, nella Canzone di Madre Coraggio del 1923, che era il nucleo costitutivo del successivo, omonimo dramma storico-ideologico, uno dei capolavori della drammaturgia del ’900. In quello stesso anno Felix Salten, esponente dell’impressionismo viennese con Schnitzler e Hofmannsthal, pubblicò una apologia di Karl Marx e Leo Trotzky, nonché il libro che lo rese famoso: Bambi. Una vita nei boschi, che divenne con il film del 1942 di Walt Disney un successo mondiale. Salten era uno tipo assai curioso: ebreo assimilato, amico di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, era però anche vicino agli ambienti del conservatorismo cattolico, apologeta di Marx, ma anche dello Stato autoritario di Dollfuss. Ma il paradosso più sensazionale è che l’autore di delicate storie di animali come Bambi e Perri, lo scoiattolo è anche (molto probabilmente) l’autore di un bestseller, pubblicato anonimo, della letteratura pornografica, Josefine Mutzenbacher ovvero la storia di una prostituta viennese da lei stessa raccontata, che divenne persino un caso giudiziario, per altro ancora aperto: nel 1990 una corte tedesca affermò la possibilità di essere pubblicato e diffuso; un paio di anni dopo un’altra corte tedesca ne limitò la diffusione al solo pubblico adulto, intanto era stato tradotto e ripetutamente oggetto di film. Lo scandalo è che il racconto tematizza con spregiudicatezza la prostituzione infantile e persino l’incesto, quale segno del disorientamento dell’epoca... Un’età, tuttavia, che è ancora ricca di insegnamenti, risorse, contraddizioni, da Mann a Kafka, da Gropius a Hitler, da Steiner a Brecht, da Josefine a Bambi.