il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2023
Se Facebook censura la finocchiona e Banfi
Che affanno in casa Facebook: non fanno a tempo a riprendersi dall’aver accusato la finocchiona, il tipico salume toscano, di omofobia gastronomica, che si ritrovano a gestire le proteste di Lino Banfi in difesa dei gruppi di suoi sostenitori, chiusi dal social network per aver condiviso le storiche battute dell’attore comico barese. “Ci ho messo più di 60 anni per far parlare il mio linguaggio a tutti, mi chiamano Maestro, mi danno i premi alla carriera e questo mi spegne tutto! – ha detto Banfi in una lettera inviata al Corriere della Sera qualche giorno fa – Ma come si permette ’sto arcimiliardario maledetto che chi chezzo lo conosce?”. E ancora: “Ti metto i menischi nella scapolomerale! Ti spezzo il capocollo e te lo metto a tracollo (…). Mi sono rotto le pelle. E adesso fatemi pure arrestare”. Non si è dovuto arrivare a tanto: Mr Facebook ha fatto marcia indietro, chiesto fra sé e sé “scusa”, ripristinato i gruppi.
È scisso, Mr Facebook, tra la difesa dei suoi raffinati automatismi che sono in grado di identificare la foto di un pelo pubico in una frazione di secondo nell’immensità del web e la consapevolezza di non avere un gran senso dell’umorismo. “Fanno fatica ad averlo gli esseri umani – pare sentirgli dire – figurarsi una macchina”. È il contesto che fa la differenza e l’intelligenza artificiale ha ancora un grave deficit nel coglierlo. Lo dice la storia.
(S)Capezzolandia. La repressione del capezzolo libero è stata infatti all’origine della presa di coscienza collettiva dei limiti del social network. La locandina del film di Almodòvar, Madres Paralelas, con un seno in primo piano è stata rimossa da Instagram (e ripristinata con scuse) alla velocità della luce, così come gli scatti social di Madonna da cui si intravvedeva un capezzolo parziale o quelli della paraatleta e modella Manuela Migliaccio durante una sfilata in carrozzella. E non si contano più le opere d’arte oscurate, dalla Venere di Willendorf ai ritratti di Egon Schiele che Vienna ha ben pensato di spostare su Onlyfans. Una stramba casistica che, insieme alla diffusione dei generi non binari, alla lunga ha portato la piattaforma a ripensare le sue policy (e gli utenti a lamentarsene sempre più).
(Dis)Senso dell’umorismo. Al Fatto Quotidiano conosciamo bene la carenza di comprensione di satira e senso dell’umorismo degli algoritmi, essendo dal 2017 vicini alle alterne vicende di caduta e ripristino di alcune vignette satiriche di Mario Natangelo ed essendo al corrente delle continue difficoltà cui sono sottoposte quelle di Vauro. Spesso serve a poco anche autocensurarsi: il social, per dire, aveva cancellato la recente vignetta di Natangelo su La Russa che dice “meno male, mio figlio non è frocio” (il riferimento era all’accusa di presunto stupro presentata da una ragazza), nonostante la parola fosse coperta. Qui va riconosciuta l’efficienza del social network che, dopo il ricorso, in una mezz’ora era di nuovo online. È tornata online in breve tempo anche la pagina de Le più belle frasi di Osho dopo essere stata sospesa come quella dei Socialisti Gaudenti, poi rinata. E prima ancora Il valdostano imbruttito. Gli esempi abbondano: pagine, meme, fotomontaggi, post più o meno polemici che saltano o perché violano ripetutamente le policy del social o perché sono ripetutamente segnalate. Il comico Luca Bizzarri, nel pieno di una faida tra vegani e carnivori, si è visto rimuovere la foto in cui imbracciava un salame.
Cose a caso. I salumi, insomma, paiono politicamente scorretti. Come accennavamo, a gennaio la povera finocchiona era stata eliminata da un post, causando l’ira del relativo consorzio Igp e facendo temere pari trattamento al culatello. Alcuni casi sono stati raccolti dal centro Nexa del Politecnico di Torino e raccontati dal Corriere: a una parrocchia in provincia di Torino è stato bannato il profilo per aver pubblicato una foto della scritta “Uccidi l’uomo bianco che è in te” apparsa sui muri della cittadina (in questo caso, non comprendendo il contesto, gli algoritmi rispondono in automatico alla rilevazione di una evidente incitazione all’odio), mentre un consigliere comunale di Trento militante della Lega si è visto rimuovere le foto e il post di un raduno del Carroccio, poi ripristinato dopo il ricorso dell’utente (che è sempre possibile sottoporre al social). E ancora, a un gruppo femminista di Torino è stata oscurata una riflessione su Instagram sul caso Cospito. Certo, nulla a che vedere col totale non sense dell’eliminazione dei capolavori di Rubens come il Trittico della Deposizione dalla Croce, postato sulla pagina dell’Ufficio del Turismo fiammingo. Per il caso specifico il lettore potrebbe scegliere la motivazione che gli sia più congeniale: dalla disinformazione per chi non crede nel Vangelo alla violenza, passando per nudità, razzismo e incitazione all’odio. Insomma, vale come per l’algoritmo: ognuno può vederci quello che vuole. O solo quello che riesce.