la Repubblica, 25 agosto 2023
Intervista a Jannick Sinner
Numero 6 del mondo a 22 anni, 8 tornei già vinti (di cui un Masters 1000), una semifinale Slam (a Wimbledon) e quarti di finale negli altri tre, Jannik Sinner si prepara al gran finale di stagione: US Open e poi – si spera – Atp Finals e Coppa Davis per gradire.
Jannik, si immaginava tutto ciò una decina di anni fa, in macchina con i suoi genitori dalla Val Pusteria verso Bordighera?
«Quel viaggio... i bagagli, la macchina... man mano che ci avvicinavamo alla Liguria cominciai a piangere».
Ebbe dubbi, ripensamenti?
«No, quello no, ma mi dispiaceva lasciarli. Quando i miei ripartirono li vidi preoccupati, così ogni venti minuti li chiamavo per dir loro che era tutto a posto».
Lo fu davvero?
«Beh, i primi tre, quattro giorni furono davvero duri, poi cominciai ad adattarmi, anche molto velocemente: imparai a far la spesa, la lavatrice, le cose semplici che servono per sopravvivere. Mi adattai come faccio in campo, no?».
Esatto. Scelta di vita giusta, dunque.
«Credo che non avrei potuto fare cosa migliore. Sono contento del percorso che ho fatto, non solo dei risultati ma anche come persona, e credo forse conti un po’ di più dei risultati che sto raggiungendo.
Felice di come mi hanno fatto crescere i miei genitori, questa è la cosa più importante».
Il cui messaggio era...?
«È sempre stato uno, e sempre molto chiaro: lavorare sodo e andare verso la propria strada, quella più giusta per me».
E siamo a oggi, n. 6 del mondo.
«Non abbiamo mai programmato la scalata del ranking... credo di essere cresciuto tantissimo, soprattutto quest’ultimo anno: abbiamo fatto tante cose in modo diverso, investito nella parte fisica, ma anche in quella squisitamente tecnica, perché ho tante cose in cui devo crescere e lo sappiamo».
Non si smette mai di migliorare.
«Esatto. Abbiamo lavorato tanto sul servizio, ma stiamo cambiando anche altre due, tre cosine. Ma la cosa più importante ora è lavorare tanto, in qualità e quantità. Poi, certo, sono numero sei del mondo ed è un ottimo risultato».
Coach Vagnozzi aveva detto che l’obiettivo di quest’anno era il pass per Torino, le Atp Finals.
«Vero. E per il momento sono messo abbastanza bene, ma proviamo a finire così la stagione».
Cominciando da New York.
«Toronto ci ha dato fiducia, poi a Cincinnati è andata così. Ma chissà, magari non tutto il male viene per nuocere: abbiamo avuto più tempo per allenarci».
Come si sente?
«Ora sono in uno stato di forma fisico molto buono, lavoriamo tanto fino al weekend e poi arriva la parte più divertente, cioè giocare il torneo».
Ci pensa qualche volta? Prima era il ragazzino-allievo, oggi è il manager, e anche il cuore, della sua stessa azienda, il centro di uno staff che lavora per lei.
«Quando sei giovane non lo puoi capire, no. Perché pensi totalmentead altre cose e ascolti. Io ero bravo ad ascoltare, e lo sono ancora.
Ascolto i consigli tecnici e provo a realizzarli subito. Forse questo mi ha portato dove sono ora. Certo, anche nell’altro senso ora le cose un pochettino sono cambiate. C’è più confronto e, quando non capisco una cosa, ho voce in capitolo. C’è un confronto per trovare una soluzione giusta. Ora siamo tutti sulla stessa linea, cioè siamo una squadra: il fisioterapista, il preparatore, poi i due tecnici Darren Cahill e Simone Vagnozzi. Quando c’è un dubbio su cui discutere si parla tutti insieme, e insieme si mettono tutte le cose: quella è la nostra forza, il segreto del team».
Bello. Come avere due coach: come funziona?
«Simone è molto bravo nella parte tattica e tecnica dei colpi. Darren, che ha avuto più esperienza, sa parlare molto bene prima delle partite importanti, ti fa stare tranquillo. Ma tutti e due si capiscono molto bene».
Quindi va tutto bene.
«Certo. La cosa fondamentale, per me, è che loro due semplificano le cose, non le fanno mai diventare difficili e non c’è cosa migliore che potrebbero darmi».
Però quando giocate a Burraco
litigate...
«Ah ah ah… ma no, lì il fisioterapista, Giacomo Naldi, è ingiocabile, troppo forte: prende sempre la carta giusta. Darren ha sfiga, non la prende mai. Io sono una via di mezzo. Ma Simone è il peggio, come anche un po’ Umberto».
Umberto Ferrara, il suo ‘torturatore’ atletico.
«Ehhh... nella mia testa sta diventando sempre più importante quella parte lì: mi sto rendendo conto che il tennis è sempre più fisico e ora ci metto anche più qualità e i miglioramenti fisici si vedono: sono molto meno stanco dopo scambi lunghi».
Poi possiamo parlare anche del fashion world...
«Ah, con Gucci siamo insieme dall’anno scorso, sono anche andato a una loro sfilata, in Puglia, cose mai viste... ma lo dico subito, mi vedrete raramente in giacca, vestito bene. È tanta bellezza, ma io sono un tipo casual».
Perché lei vede il mondo dalla montagna.
«E dalla montagna è tutto molto semplice, le cose sono semplici: ognuno fa il suo, la sua parte e la vita va».
Come fa a non farsi distrarre dai soldi o dalle enormi attenzioni che le riservano i fan?
«Sinceramente? Sono sempre uguale, come persona, ho le mie passioni: ora mi piace giocare a golf, e poi mi piacciono tantissimo le macchine. Il mio vero, e unico regalo, è stata una Alpine. Ma non per farmi vedere in giro. Credo di essere un ragazzo normale».
Veramente il collega Bublik disse che non era umano...
«Ah ah ah... questo è quello che vedete voi, ma io tranquillo non sono. Dentro di me ci sono i dubbi, mi pongo domande, mi incavolo e rosico quando non risolvo subito perché io sono uno che vuol fare le cose subito».
E in che lingua s’incavola, o sogna: In tedesco?
«Da quando ho 13 anni tutti i miei ragionamenti sono in italiano.
Ormai faccio fatica in tedesco. Con i miei amici parlo misto».
Gli amici.
«Quelli veri sono dei tempi della scuola, sono gli amici che mi conoscono da sempre e per loro non è importante se sono il numero 6 o il 6000. Sono come fratelli, li sento tutti i giorni e quando ho bisogno di parlare loro qualche volta restano svegli anche la notte ad aspettarmi, come faccio io se qualcuno di loro ha bisogno. Per me l’amicizia è più importante che giocare una partita. Gli amici ti dicono le parole giuste: mi ricordano da dove sono partito, ti tengono su quando sei nella merda. Per me l’amicizia vuol dire tanto».
Resta un ultimo argomento: le ragazze.
«Certo, un tema importante. Ma per voi media… mettiamola così: se sto insieme – o se non sto insieme – a qualcuna non lo metterò mai sui social, perché la mia vita privata voglio tenerla privata. Non ho bisogno di mettere una foto domattina per far vedere a tutti che sono fidanzato, o che non lo sono.
I social sono un mezzo per lo sport che faccio, non per la mia vita privata. Non ho mai postato una foto con i miei genitori, forse con mio fratello una volta. Quindi: non voglio rispondere, perché sennò ricomincia il can can».