la Repubblica, 25 agosto 2023
Intervista a Dario Argento
«Il rapporto con la Mostra? Non è eccezionale. Mai invitato con nessun film. Lo hanno fatto a Cannes e in tutto il mondo, non al festival del mio Paese. È una cosa che mi ha molto offeso, ancora oggi lo sono. Non glielo perdono». Alla fine di una lunga conversazione spiritosa Dario Argento si toglie il sassolino dalla scarpa. Al Lido di Venezia il regista, 82 anni, è protagonista il 2 settembre di un documentario nella sezione Classici,Panico, di Simone Scafidi (distribuito da Midnight Factory), che ne ha seguito la quotidianità creativa mentre completava la scrittura del film Occhiali neri chiuso in una stanza d’albergo, così come ha sempre fatto per tutti i suoi film, isolandosi dal resto del mondo.
Oltre a interviste, set e backstage ci sono i ricordi teneri delle sue figlie Asia e Fiore.
«Fiore è dolce, mi è vicina, Asia misprona, mi sostiene nei momenti difficili. Hanno un carattere simile, ma con me sono diverse».
La paternità è una delle cose che l’hanno definita come persona?
«Sì. Abbiamo vissuto insieme momenti meravigliosi, viaggi, disavventure. Sono stato tutto per loro, padre e madre, hanno vissuto con me, con i miei problemi e i miei film, sui set. Asia ha imparato molto».
A fare da ciceroni del suo cinema, nel doc, ci sono Guillermo del Toro dice che ogni cosa nei suoi film trasuda malevolenza – e Nicolas Winding Refn, che la paragona a un pittore, a un musicista.
«Nel cinema di Guillermo c’è il mio cinema, si è ispirato per stile, storie, scene fin dagli inizi. Refn apprezza lamessa in scena, l’estetica».
Vede un suo erede?
«No. Il cinema di oggi non mi piace molto. Mi ritrovo negli autori coreani, che si ispirano ai miei film.
Sono stato al festival di Busan, una cena in mio onore con gli autori locali più famosi. Serata infinita e atmosfera strana, ma conoscevano e amavano i miei film. Mi piace anche l’horror messicano, fucina di grandi registi».
A proposito di registi amici, alla Mostra ci saranno l’ultimo film di William Friedkin scomparso il 7 agosto, “The Caine Mutiny Court-Martial” e “L’esorcista”.
«Con William eravamo una compagnia di giro, ai convegni in Europa, America, nel mondo. Ci associavano, secondo me in modo sbagliato, come autori horror. Ma lui non era uno specialista, veniva da commedie e thriller, dal formidabileIl braccio violento della legge al mio preferito Vivere e morire a Los Angeles.È stato sottovalutato, gli spiaceva essere più apprezzato in Europa che negli Stati Uniti».
Quando vi eravate conosciuti?
«Mille anni fa a Los Angeles, in un ristorante, lui a cena con un gruppo di registi dell’Academy, qualcuno gli disse che c’ero, venne da me, era un gigante e mi abbracciò così forte che mi incrinò le costole, mi fecero male per settimane. Mi portò a quel tavolo: “È un grande autore,cercate i dvd!”».
Che raccontavate nei convegni?
«Ogni volta una scoperta. Ricordo l’aneddoto su Hitchcock: lo fece chiamare per girare una puntata della sua serie. Si presentò sul set e quando vide William in jeans lo rimproverò, “sei inappropriato, il regista è una figura di riferimento”.
La notte in cui vinse l’Oscar per Il braccio violento della legge William andando verso il palco passò davanti a Hitchcock, gli fece segno: “Maestro, vede che quando serve la cravatta ce l’ho?”. Lui invece fu colpito quando io, sul palco con lui alla Festa diRoma, raccontai di quando avevo avuto l’istinto di suicidarmi e avevo barricato la finestra della camera d’albergo in cui stavo lavorando.
Venne a carezzarmi, “mi dispiace”.
Non capiva, perché ha fatto una vita “champagnona”. Strano destino, il suo, ma anch’io sono più famoso all’estero che in patria».
Sono usciti molti libri sul suo cinema, ora due documentari.
«Sì, anche quello di Steve Della Casa, con il mio amico Quentin Tarantino».
Ha avuto molti amici autori.
«John Carpenter, George Romero, che era un fratello. beveva troppo, aveva nella moglie una compagna di sventura e alcol. La morte di Friedkin mi ha colpito, era in grande forma, pieno di progetti».
A cosa lavora?
«Sto scrivendo un film prodotto dai francesi, girerò a Parigi. È la secondacasa, devo tutto alla Nouvelle Vague. Sarà il remake di un noir messicano ambientato negli anni 40. Cupo, senza pietà, angoscioso. Mi dà ansia ogni volta che ci penso».
Che cosa significa fare cinema oggi?
«Mi dà euforia ogni volta che ci penso, specie la notte, quando non riesco a dormire. Un flusso continuo di idee e visioni terribili».
Sono cambiati sogni e incubi?
«Il tuo inconscio resta quello, così gli incubi. Sono rimasto fedele a Freud e sempre lo sarò. Devo a lui se faccio il cinema e lo faccio in questo modo».
Il titolo del doc oltre che “Panico” poteva anche essere “Euforia”?
«È vero, immaginare quelle follie sregolate mi dà un senso di esaltazione, felicità, mi fa sorridere.
Il mio cinema è terrorizzante ed eccitante, perciò è così amato»