la Repubblica, 25 agosto 2023
L’Europa razzista
Uno spettro si aggira per l’Europa ed è bianco come il lenzuolo che ricopre i proverbiali fantasmi. Dietro la benevola immagine di un gruppo di nazioni unite da democrazia, stato di diritto e libero mercato, l’Unione Europea rischia di diventare il custode di un’identità culturale razzista, domani pronta ad accogliere gli ucraini, come ha fatto in precedenza con polacchi, ungheresi e altri popoli dell’Est, perché in maggioranza cristiani e con il nostro stesso colore della pelle, ma determinata a chiudere la porta ad africani, islamici e migranti provenienti dal sud del pianeta, perché considerati “diversi”.
È la polemica tesi di un libro uscito in questi giorni nel Regno Unito, di denuncia fin dal titolo: Eurowhiteness, (edito da Hurst Publishers), traducibile con “eurobiancore” o anche “europurezza”, termine che risveglia la retorica nazifascista sulla difesa della razza. L’autore, Hans Kundnani, ex analista di Chatam House e European Council of Foreign Relations, due prestigiose think tank londinesi di affari internazionali, è di madre olandese e padre indiano, per cui pone un quesito vissuto in prima persona: «È certamente possibile essere un nero olandese o un francese di origine marocchina, ma è possibile per un non bianco sentirsi davvero europeo?».
La sua risposta è negativa. Kundnani afferma che l’Europa unita, nata come modello universalista di pace e democrazia, in realtà è sempre stata un difensore della propria civiltà contro “gli altri”: una volta il comunismo, oggi l’Islam (e anche, secondo lui, il capitalismo senza regole americano). Unificate dalla Ue, le ex potenze coloniali europee, accusa il politologo, sono colpevoli di «amnesia imperiale», ignorando le proprie secolari responsabilità verso le ex colonie in Africa e in Medio Oriente, da dove oggi partono i barconi pieni di migranti. Scopo del suo pamphlet, afferma, è «stimolare il dibattito» sul tema e l’obiettivo è raggiunto: ha ottenuto ampie recensioni sulla stampa inglese, oltre a una risposta piena di obiezioni da Mark Leonard, suo collega allo European Council of Foreign Relations. «Un libro da leggere», scrive ilFinancial Times, «anche se non si è del tutto d’accordo con le sue argomentazioni».
E ci sono sicuramente motivi per non essere d’accordo. Il disincanto provato dall’autore per la Ue lo porta a trascurare gli innegabili aspetti positivi del progetto europeo: che Paesi nemici nelle due terribili guerre mondiali del Novecento siano diventati alleati; che il continente, diviso in due da un muro militare, ideologico e sostanziale dagli accordi di Jalta fra Usa e Urss, mettendo la parte orientale sotto il tallone di ferro del totalitarismo sovietico, sia oggi unito nel segno di libertà e democrazia. Il suo libro non riconosce, inoltre, che l’Europa odierna è un’unione sempre più multietnica e multiconfessionale: basta guardare le nostre scuole elementari per accorgersene o seguire i mondiali di atletica, come ha notato nei giorni scorsi Emanuela Audisio su Repubblica, sottolineando che il 50 per cento della nazionale italiana ha nomi come Zaynab, Hassane, Yeman, Ayomide, Osana e radici che vanno dalla Tanzania alla Nigeria, dall’Etiopia al Senegal.
L’aspetto più sconcertante del volume è presentare la Brexit come un’occasione per la sinistra britannica di diventare più internazionalista, così cadendo nello stesso pregiudizio ideologico di Jeremy Corbyn, leader laburista all’epoca del referendum del 2016 sull’Ue, secondo il quale l’Europa unita era in sostanza un club di banchieri capitalisti impegnato a sfruttare i lavoratori e a proseguire una politica coloniale verso i Paesi emergenti. «Adesso possiamo avere più immigrati dalle nostre ex colonie e creare una società veramente multietnica», si compiace Kundnani, senza riflettere che anche questa è discriminazione razziale, contro 27 popoli europei. Con scarso senso storico e geografico, alla fine l’autore suggerisce che la Gran Bretagna post Brexit, invece di sentirsi parte della civiltà europea, provi a reinventarsi come membro della rete post imperiale dei paesi che appartenevano al British Empire: una rivalutazione del Commonwealth che lascia indifferente la maggioranza degli elettori britannici. Paradossalmente proprio la Gran Bretagna, uscita dall’Unione Europea ma culturalmente, storicamente, geograficamente ancorata al continente al di là della Manica, offre una soluzione alla provocazione più valida del libro. Quale altra capitale europea può vantare, come Londra, un sindaco di religione musulmana come Sadiq Khan, e un primo ministro di religione induista, figlio di immigrati indiani, come Rishi Sunak? Nessuna. Mentre gli inglesi cominciano a capire che la Brexit è stata un errore, la Ue dovrebbe studiare la lezione dell’Inghilterra per comprendere che nel mondo globalizzato del ventunesimo secolo non sono la religione, le radici etniche e il colore della pelle a definire una civiltà, bensì i valori condivisi. In tal senso, a dispetto dei suoi limiti, il monito di Kundnani è corretto, specie riferito alla nuova destra europea, che si erge a protettrice di una identità bianca e cristiana per l’Europa contro la presunta minaccia di migranti, minoranze religiose e diversi. Per evitare l’ Eurowhiteness, la Ue deve mantenere come valore unificante la difesa della democrazia e della libertà, non la difesa della razza.