Corriere della Sera, 25 agosto 2023
Il bubbone dei diplomi facili sta scoppiando
In un anonimo edificio sotto il Vesuvio, sopra il pianterreno occupato da un centro per il «dimagrimento a accelerazione metabolica», c’è il più obeso centro d’ingrasso dei diplomi di maturità italiani. In grado di iscrivere agli ultimi esami di maturità 2023, come denuncia un’inchiesta di Tuttoscuola, 866 aspiranti diplomati: il doppio dei maturandi iscritti (451) all’Istituto alberghiero Pietro Piazza di Palermo, che con 2.308 allievi dalla Iª alla Vª superiore (e son calati: tre anni fa erano 2.840 con 175 classi!) risulta essere la più grande e iper-affollata scuola d’Italia. Tutti promossi, o quasi. In linea con la «severissima» media italiana delle promozioni diffusa qualche settimana fa dal ministero: 99,8% degli ammessi.Un prodigio prodigioso: tutti i candidati interni delle paritarie hanno per legge «l’obbligo di frequenza per tre quarti del monte ore annuale» e ciascuno ha per legge diritto in aula a 1,96 metri quadri di «aria» più gli spazi comuni, dall’aula magna alle segreterie e tutto il resto. Dove metterli tutti insieme ammassandoli con gli iscritti dal primo al quarto anno? Sorpresa: l’istituto paritario vesuviano che offre la possibilità di maturarsi al Liceo di scienze umane, all’Istituto tecnico meccanico, amministrativo o elettrotecnico o all’Istituto professionale alberghiero, ha iscritti solo al 5° anno. E al primo, secondo, terzo e quarto anno che ogni istituto paritario dovrebbe avere per garantire un’offerta scolastica completa? Alunni zero, rispondono i tabulati della pubblica istruzione. Manco uno. Zero carbonella.
Vi chiederete: è mai possibile che esista una scuola così che porta all’esame finale 866 studenti cioè il quintuplo della media (184) di tutte le altre scuole italiane? Il formidabile dossier della rivista, intitolato «Il gran bazar dei diplomi di maturità», non fa nomi. «Non ci interessa far la lista dei (presunti) peccatori», dice il direttore Giovanni Vinciguerra, «ci preme di più mettere a fuoco il peccato. Perché il bubbone dei diplomi facili, come già spiegavamo un paio di settimane fa nel primo rapporto ripreso dal Corriere e raccolto dal ministro Valditara con l’apertura di un’inchiesta, sta scoppiando». Incrociando i dati di Tuttoscuola e quelli della banca dati ministeriale un nome però affiora. Quello del Centro scolastico «Elsa Morante» di Ottaviano, il comune nel parco del Vesuvio dominato dal grandioso castello mediceo che negli anni bui finì nelle mani del boss camorrista Raffaele Cutolo per esser poi confiscato e restituito alla comunità civile.
«Accelerate verso il futuro», incita l’home page. Palazzina moderna. Già sede di un bowling e un patronato sindacale. Quattro piani. Quello a terra occupato da un centro dimagrante con massaggi, ultrasuoni e fango-terapia, gli altri dall’istituto. Che linka come proprio indirizzo su google map (oggi lo cambieranno, ma fino a ieri sera era così) una via non di Ottaviano ma alla periferia di Torino (Strada di S. Mauro, 220), promette di «infondere ai ragazzi motivazione, autostima e fiducia in sé stessi» e svolazza con foto di maniera e testi finti nella certezza che nessuno li leggerà: «Focus sullo studente: i serramenti sono progettati in modo tale da garantire un altissimo livello di sicurezza» (sic!). Oppure: «Valore legale: offriamo lavorazioni su misura per rispondere alle richieste del cliente» e via così... Pressappochismo al cubo. Premiato, accusa l’inchiesta, da un crescente giro d’affari stimato «in un solo biennio» («Ognuno ha il suo interesse: diplomandi, gestori, docenti, che spesso però sono anche sfruttati e malpagati») sui «7 milioni e 650 mila euro». Con «utili prima delle imposte che supererebbero i 4 milioni in due anni».
Del destino di questa o quella «scuola» che getta ombre sinistre su migliaia di «paritarie» che funzionano, sia chiaro, a Tuttoscuola (e al Corriere) non interessa un fico secco. Ma che in quasi perfetta coincidenza col perimetro della «Terra dei fuochi» avvelenata dai rifiuti tossici ci sia un’area del Paese pari allo 0,4% del territorio scolasticamente avvelenata dalla metà esatta dei sospetti «diplomifici» (per il 90% intorno a Napoli) è un problema che tocca l’Italia tutta. Tanto più che in 14 dei 35 principali comuni coinvolti, da Ottaviano ad Acerra, è già avvenuto perfino il sorpasso di questo tipo di scuole paritarie su quelle pubbliche (rischiando d’infettare aree ancora più vaste) e l’andazzo, basato sull’assurdità che «un diploma vale l’altro», viene fin troppo tollerato se non agevolato da chi dovrebbe vigilare.Dice la legge, infatti, che l’aggiunta in una scuola paritaria di una «classe collaterale» dovuta all’inatteso aumento di iscritti all’ultimo anno delle «superiori» dev’esser contenuta: al massimo una per indirizzo. Macché: nell’anno scolastico 2020-21 ne sono state autorizzate 664. Una a testa dagli uffici scolastici lombardi, piemontesi e veneti, 71 da quelli laziali, 86 da quelli siciliani e 462 (in 268 istituti) da quelli campani. Classi collaterali salite nel 2022-23 a 528. Per un terzo accordate direttamente dalle autorità scolastiche, per due terzi concesse dopo raffiche di ricorsi delle «paritarie» al Tar. Ricorsi quasi sempre benedetti da sentenze favorevoli all’allargamento delle maglie con la stessa motivazione: «La prescrizione contenuta al punto 4.8 per le classi terminali, riduttiva a una sola classe collaterale nei confronti degli studenti neo iscritti” che “non possano essere inseriti nelle classi esistenti”, non può ritenersi operante nei confronti degli studenti lavoratori “stante l’assenza di specifica previsione normativa e pertanto esplicante efficacia esclusivamente nelle ipotesi ordinarie di studenti non lavoratori».
Domanda: chi controlla che questa massa di iscritti nell’area dei diplomifici provenienti dalle più varie contrade italiane sia composta davvero di studenti lavoratori che peraltro dovrebbero frequentare almeno due terzi delle lezioni nelle «paritarie» campane pur vivendo a Biella, Barletta o Forlì? Nessuno. Perfino nei casi, come quello dell’istituto di Ottaviano, in cui non c’è un solo alunno che frequenti la scuola nei primi quattro anni di indirizzo prima dell’abnorme esplosione finale alla vigilia della maturità.
No, così non va. E c’è un solo modo per uscirne: controllare che le regole vengano rispettate. E seguire una serie di suggerimenti, perfino ovvi, che la stessa rivista propone punto per punto. Sennò invocare il «merito» resterà sempre un’esercitazione di chiacchere.