Corriere della Sera, 25 agosto 2023
Il giorno di Trump
Atlanta Donald Trump era atteso ieri – in prima serata, sotto i riflettori delle tv americane e mondiali – per le procedure di incriminazione al carcere di Fulton County, a nord di Atlanta. Il giorno prima aveva boicottato il dibattito su Fox News tra i suoi rivali repubblicani che, comunque, sei su otto (e i due che non lo hanno fatto sono stati fischiati) hanno promesso di appoggiarlo se diventerà il candidato del partito, anche se condannato dai tribunali.
Decine di agenti con i volti coperti da passamontagna hanno sigillato il perimetro del carcere, in risposta alle minacce contro il personale, ma in un’intervista con Trump mandata in onda durante il dibattito, il presentatore Tucker Carlson ha suggerito che è l’ex presidente ad essere in pericolo: i nemici potrebbero cercare di ucciderlo. Qualcuno tra i circa duecento sostenitori venuti da contee repubblicane di fattorie e ranch dall’Indiana al Tennessee oppure da città progressiste come Gainesville, in Florida, in cui dicono di doversi «nascondere», esibiva già una maglietta con una (finta) foto segnaletica, in attesa di quella vera che doveva essere scattata a breve al loro presidente, incriminato per aver tentato di sovvertire l’esito del voto nel 2020.
Alcuni collezionano incriminazioni: un gruppo chiamato «Front Row Joes» è stato a quella in Florida a giugno. «E mi manca un altro comizio per arrivare a 40», dice Sharon Anderson, pensionata 67enne. Si è portata la sedia di plastica, regge un ombrello e un ventilatore contro il terribile caldo umido, ma si alza subito per contestare l’unica manifestante anti-Trump, di Brooklyn: «Socialista!».
I sostenitori di Trump non hanno guardato il dibattito su Fox News. Pensano che i rivali – i 7 politici di professione e lo stesso imprenditore 38enne Vivek Ramaswamy che si presenta come l’outsider e definisce Trump il «miglior presidente del secolo» – stiano solo cercando di sfilargli i sostenitori, anche quando non lo attaccano direttamente (e che Fox News aderisca a questo piano). Assicurano che non funzionerà: il pastore Ken Peters della Patriot Church, creata da evangelici trumpiani, spiega che l’ex vicepresidente Pence può anche essere contrario all’aborto, ma resta un traditore. Serpeggia però un certo timore che gli elettori «RINO» (Republicans in name only») abbandonino Trump, specialmente qui in Georgia, lo Stato dove il governatore repubblicano Kemp ha negato che l’elezione sia stata «rubata» e dove il segretario di Stato Raffensperger, anche lui repubblicano, si oppose alla richiesta dell’ex presidente di trovargli «11.700 voti per vincere». Charlie interrompe l’ascolto della radio cristiana per raccontarci che in effetti litiga con amici repubblicani, che dopo l’incriminazione considerano Trump colpevole e ineleggibile. La Georgia tornerà ad essere centrale nelle prossime elezioni. Biden, che la conquistò per pochi voti nel 2020, rischia nel 2024, a detta di Camille, afroamericana di New York, trasferitasi ad Atlanta dove fa l’autista di Uber: ha amici democratici pentiti di aver votato Biden. «Erano stanchi di Trump, ma dopo averlo cacciato non hanno visto i cambiamenti voluti».
Per chi sta con Trump, pentirsi non è semplice. Questo vale per i 18 suoi alleati incriminati, undici dei quali si sono già consegnati per impronte e foto segnaletiche (alcuni sorridenti). Lo tradiranno? L’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows sta già collaborando con il procuratore federale Jack Smith. Per chi si è unito al movimento trumpiano, come Jennifer Friend, cameriera 56enne, è una scelta per la vita. «Ero una deplorevole» dice la sua maglietta, citando il famoso insulto di Hillary Clinton ai fan di Trump. Jennifer non vede i genitori dal 2016. «Non mi invitano a Natale. Sono molto progressisti. Mio padre era sindacalista, si augura che io muoia». Vive nei boschi della Florida, per stare lontana dai liberal e prepararsi al «reset», quando «l’America diventerà socialista come il Venezuela»: «È inevitabile, a meno che vinca Trump».