Corriere della Sera, 25 agosto 2023
La morte di Prigozhin e il declino di Putin. Intervista all’analista Tatiana Stanovaya
Prima della morte di Evgeny Prigozhin, Tatiana Stanovaya, 45 anni, aveva appena pubblicato su Foreign Affairs una delle analisi più dettagliate mai apparse sul declino di Putin in Russia e l’ascesa di nuovi protagonisti più giovani ma (almeno) altrettanto violenti e nazionalisti. Stanovaya conosce profondamente le dinamiche del Cremlino: senior fellow del Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino, che raccoglie molti intellettuali dissidenti russi, è stata per anni capo analista del Center for Political Technologies di Mosca e, prima, analista al conglomerato russo dell’acciaio Severstal.
Dopo la morte di Prigozhin, lei crede ancora che il potere di Putin sia in declino?
«È una situazione ambivalente. Da un lato l’assenza di un suo intervento mentre Prigozhin continuava ad accrescere il suo potere, fino alla rivolta, ha dato alle élite russe un’immagine di debolezza del presidente. Dall’altro lato, quali che siano le cause della morte di Prigozhin, le stesse élite russe adesso considerano la sua fine violenta come una prova di forza di Putin. Di certo il fatto che Prigozhin circolasse liberamente in Russia negli ultimi due mesi ha sorpreso l’establishment più del fatto che sembri essere stato assassinato».
Pensa che Putin abbia voluto dare a tutti il messaggio che lui controlla ancora tutto e tutti?
«Putin è convinto che quel che è accaduto a Prigozhin sia nell’interesse superiore dello Stato. Lui pensa che chiunque sfidi lo Stato debba pagare per questo: ne va della reputazione delle istituzioni e del potere dello Stato, non della sua immagine personale. Per lui è una questione di principio: chi tradisce deve scontare la punizione».
Crede che questo basti a restaurare la credibilità interna del dittatore?
«Il presidente, forse perché informato male, forse per un errore di calcolo, aveva commesso evidenti errori su Prigozhin. Si è messo in una posizione vulnerabile, ha lasciato che un uomo con quel profilo di personalità usasse risorse dello Stato per mettere in atto una rivolta contro lo Stato. Il colpo al prestigio del presidente è stato enorme. Ma adesso molte delle persone che si muovono nelle élite penseranno che la risposta di Putin è stata forte, convincente».
Ma questa non è esattamente la mentalità della mafia? Chi sfida il padrino deve morire...
«Putin non sarebbe d’accordo. Nella sua visione ogni Stato forte reagisce così per difendere la propria credibilità: secondo Putin lo fanno gli Stati Uniti, lo fa la Cina e dunque lo fa anche la Russia».
Sembra che il nuovo capo di Wagner sia un certo Andrei Troshev. Cosa si sa di lui?
«In luglio Putin in persona ha parlato ad Andrei Kolesnikov, un giornalista di Kommersant. Gli ha confermato che in effetti dopo la rivolta aveva incontrato Prigozhin al Cremlino e un gruppo di capi della Wagner. In quell’occasione il presidente ha proposto che il nuovo capo del gruppo fosse Andrei Troshev. Prigozhin a quanto pare non sedeva in prima fila nell’incontro, ma sembra abbia detto che i comandanti di Wagner non sarebbero stati d’accordo. Putin ha risposto dicendo invece che, sì, erano d’accordo e lo si vedeva in quel momento dalle loro facce».
Significa che Wagner continuerà ad operare sotto una leadership più affidabile per il Cremlino?
«No, significa solo che Prigozhin era comunque destinato a essere messo da parte».
Ma è difficile credere che tutte le contraddizioni nel sistema di potere russo scompaiano con la fine di Prigozhin, non trova?
«Putin vuole segnalare a tutti che ha ancora il pieno controllo, ma c’è un deficit nel suo sistema. Quando è di fronte a conflitti interni, lui reagisce ignorandoli e tenendosi a distanza. Non ha il tempo o non ha le energie per occuparsene. Per esempio, non credeva fosse necessario intervenire nello scontro fra Prigozhin e Shoigu».
Ci sono altri conflitti all’interno del potere russo?
«Molti, moltissimi. E si può immaginare che, con il presidente che invecchia e si chiude nei suoi interessi, gestirli diventerà sempre più difficile».