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 2023  agosto 23 Mercoledì calendario

In morte di Prigozhin

Fabrizio Dragosei per CdS
Giù l’aereo di Prigozhin
Una bomba, ma forse più probabilmente una raffica della contraerea o un missile lanciato da terra. Gli esperti non hanno dubbi: a far precipitare l’aereo di Evgenij Prigozhin a 300 chilometri da Mosca e a meno di 50 dalla residenza di Putin a Valdaj (una delle varie usate dal capo dello Stato) non è stato un incidente. Le dieci persone che si trovavano a bordo del velivolo sono tutte morte. E il capo della Wagner, che esattamente due mesi fa aveva iniziato la marcia su Mosca, è tra le vittime, secondo Rosaviatsiya, l’ente che regola il trasporto aereo, che solo dopo diverse ore ha confermato le notizie date dalle agenzie e dalla tv di Stato. Dopo essere stati molto cauti all’inizio, gli esponenti della milizia privata sono a loro volta certi che il loro leader sia stato eliminato e postano sul loro canale preferito commenti amari e bellicosi: «Una lezione per tutti; bisogna sempre andare fino in fondo quando si incomincia un’azione». «Un assassinio che avrà conseguenze catastrofiche». «Prigozhin è morto a seguito di una azione dei traditori della Russia».
In questi mesi i movimenti del capo mercenario sono stati sempre ammantati di mistero. E anche ora su quello che è avvenuto sembra che ci sia ancora spazio per le ipotesi. Lo stesso canale dei wagneriani ha reso noto che un aereo gemello dell’Embraer precipitato aveva già raggiunto in precedenza San Pietroburgo ed è poi tornato a Mosca. Di certo c’è che la lista passeggeri (sette più tre membri dell’equipaggio) conteneva anche il nome di Prigozhin. E molti si meravigliano del fatto che Rosaviatsiya, abbia reso noto l’elenco pochi minuti dopo la caduta dell’apparecchio. Come facevano ad averla già pronta?
Così c’è chi punta sulla bizzarra tesi che il tutto sia una messa in scena orchestrata dallo stesso ex cuoco di Putin per poter poi far perdere le proprie tracce, come afferma la direttrice della tv propagandistica del Cremlino Simonyan. O, addirittura, un’azione ucraina. Dice il politologo Sergej Markov, ex consigliere del Cremlino: «Sicuramente un atto terroristico di Kiev per festeggiare l’anniversario dell’indipendenza» che cade oggi.
Alle 18.11 ora di Mosca (le 17.11 in Italia) testimoni oculari hanno visto e filmato una traccia di fumo vicino all’aereo e hanno sentito due esplosioni. Poi la fusoliera è precipitata e poco dopo a terra sarebbero arrivati altri pezzi. Segno di un’esplosione a bordo o di un evento causato da un proiettile esterno. I soccorritori arrivati sul posto avrebbero recuperato dopo breve tempo tutti i corpi, ma nessuno dice di aver identificato Prigozhin.
L’incidente o l’attentato decapita completamente la Wagner perché oltre al suo leader, a bordo c’era anche il numero due Dmitrij Utkin, ex agente del Gru, il servizio segreto militare, che a suo tempo aveva fondato l’organizzazione privata. È stato lui in tutto questo tempo a dirigere praticamente le operazioni e a strutturare la compagnia di ventura.
Nei giorni scorsi Prigozhin era comparso in un video girato probabilmente in Africa dove la Wagner avrebbe dovuto assicurarsi un nuovo futuro dopo lo scontro con Putin e la fine delle operazioni indipendenti in Ucraina.
Ma è difficile che anche lui non sapesse cosa accade spesso e volentieri a chi si mette sulla strada del signore del Cremlino. «Non sono sorpreso. Non c’è molto in Russia che accada senza che Putin ci sia dietro», ha detto il presidente Usa Joe Biden che comunque ha ammesso di «non sapere molto al riguardo».
Convinto che il tutto sia opera del presidente russo il consigliere di Zelensky Podolyak: «È ovvio che Putin non perdona nessuno». Il politico ucraino si meraviglia che il capo dei mercenari abbia potuto fidarsi delle garanzie del presidente bielorusso o della parola d’onore di Putin. Podolyak dice che si tratta di un messaggio che il capo del Cremlino manda a tutti: «La slealtà equivale alla morte». È d’accordo con lui una che Putin lo conosce bene da molti anni, Kseniya Sobchak, figlia dell’allora sindaco di Leningrado che fu il grande protettore dell’ex agente del Kgb: «Un segnale veramente netto a tutti coloro che avevano un qualsiasi pensiero “sacrilego” sull’andamento dell’Operazione speciale o su qualsiasi altra cosa».
Marco Imarisio per CdS
Vita e destino (annunciato) dello chef che sfidò lo zar
E solo oggi si capisce quanta disperazione ci fosse in quel gesto così estremo.
Perché se c’era una persona che conosceva bene il presidente russo, quella era proprio lui, l’ex galeotto ed ex venditore di hot dog cresciuto anch’esso nei vicoli di San Pietroburgo così importanti per la formazione personale dello Zar al quale doveva tutto. Sapeva quindi che c’era del vero in quel che sostenevano per una volta all’unisono gli osservatori russi e quelli occidentali, concordi, ognuno con formule diverse, nell’assegnargli ancora poco tempo in libertà, o in vita.
I media più vicini al Cremlino invocavano «punizioni esemplari», i talk show di propaganda che pochi mesi prima inneggiavano al «conquistatore di Bakhmut» e ai suoi uomini lo dipingevano come un traditore, oppure «un faccendiere dal passato criminale, un affarista losco», chiedendosi perché si trovasse ancora in libertà. «Prigozhin e i capi della Wagner dovrebbero essere decapitati», diceva il deputato di Russia Unita Andrey Gurulyov, ex militare considerato un fedelissimo del presidente. In Russia tutti sapevano che Putin non avrebbe mai potuto passare sopra uno sgarbo come quello che aveva subito davanti agli occhi del mondo intero. Ne sarebbe andata della sua immagine di Zar, di uomo che non lascia conti in sospeso, di leader che decide, e non subisce compromessi vischiosi come quello che sembrava aver siglato con Prigozhin per fermare la sua armata a duecento chilometri da Mosca.
La storia recente della Russia avrebbe dovuto insegnare qualcosa anche a lui. Ma forse il proprietario della Wagner si fidava, di sé stesso e di quel che restava del suo legame con Putin. Appena maggiorenne, era nato nel 1961, nove anni più giovane del futuro leader, viene arrestato per criminalità organizzata, furto, frode e sfruttamento della prostituzione minorile. Entra in carcere nel 1982 che è ancora vivo Leonid Brezhnev, esce nel 1990 quando l’Unione Sovietica è sul punto di collassare. I russi li ricordano come i terribili anni Novanta, ma per quelli come lui sono una opportunità. Comincia da una bancarella di hot dog in comproprietà con uno zio materno. Cinque anni dopo, con fondi ancora oggi ignoti, si mette in proprio, fondando la società di ristorazione Concord, che rimarrà sempre l’architrave del suo regno, e aprendo un ristorante dove spesso si presentano il sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobchak e il suo vice, un giovane Vladimir Putin. Quando quest’ultimo diventa capo del governo e poi presidente, i locali di Prigozhin vengono scelti per le cene ufficiali con i capi di Stato stranieri, da Jacques Chirac a George W. Bush. Si racconta che Putin apprezzasse il fatto che Prigozhin serviva spesso ai tavoli di persona. Fatto sta che nel 2009 la Concord ottiene l’appalto per le mense scolastiche delle più grandi città russe, e tre anni dopo quello in esclusiva per la fornitura di cibo all’Armata rossa. Miliardi di rubli, e il nomignolo di «chef di Putin».
Nel 2014, cambia tutto. A gennaio, Prigozhin fonda nella sua San Pietroburgo una Agenzia di ricerca su Internet che diventerà più famosa come «la fabbrica dei troll» che consentirà al Cremlino di fare avvelenare le acque del web fino ad influenzare le elezioni americane del 2016. In estate, durante l’invasione del Donbass, chiede invece al ministero della Difesa terreni per l’addestramento di «volontari» privi di legami con l’esercito ufficiale ma desiderosi di dare il loro contributo alla patria ovunque vi sia uno scenario di guerra. La milizia appena nata si chiamerà Wagner. È il nomignolo che si era assegnato il suo primo comandante, Dmitry Utkin, l’uomo che è sempre stato considerato l’anima del gruppo, l’ideologo che dispensava ricompense e punizioni feroci, l’ex ufficiale delle Forze speciali passato al settore privato, nazista dichiarato che due mesi fa era ritornato da una sorta di quiescenza per guidare di persona la cosiddetta marcia per la Giustizia. Si trovava anche lui sull’aereo precipitato nella zona di Tver. E se la morte di un uomo temuto ma non amato come Prigozhin ha un valore simbolico enorme agli occhi dell’Occidente, quella di Utkin potrebbe avere conseguenze maggiori all’interno della Russia, perché tra gli ultranazionalisti più fanatici il suo nome era davvero leggenda.
Questi diciotto mesi di guerra sono stati fatali a Prigozhin. Li ha vissuti sempre in pubblico, quasi a rivendicare un ruolo al quale sentiva di avere diritto. Dopo avere negato per anni di avere nulla a che fare con la sua creatura, il 7 maggio del 2022 registra un video nel quale si presenta indossando la mimetica dei suoi mercenari. È un crescendo continuo. Prima le esecuzioni in diretta dei disertori, i bollettini dal fronte, la propaganda fatta solo a suo nome, poi le tirate sempre più frequenti e virulente contro i «ladri e burocrati» del ministero della Difesa, «colpevoli» di essere troppo morbidi nei confronti di Kiev. La sua figura diventa sempre più ingombrante. All’inizio, in patria e fuori sono pochi coloro che prevedono uno scontro così brutale. Per la vicinanza a Putin, e soprattutto perché fatichiamo sempre ad ammettere che l’opposizione più forte al Cremlino è sempre arrivata da chi voleva più guerra, non da chi ne voleva meno. Ma infine è diventato evidente che la resa dei conti sarebbe comunque arrivata. Putin aveva deciso di sciogliere la Wagner. Lo scorso 23 giugno Prigozhin si è messo in marcia verso Mosca, sfidando in pubblico il suo Zar, facendolo sembrare debole non solo agli occhi del mondo, ma del suo popolo, cosa ben più grave e imperdonabile. Quel che è accaduto da allora fino a ieri sera ha poca importanza. Era solo questione di tempo.

Daniele Raineri per Rep
Una brigata allo sbando
«Se la notizia della morte di Prigozhin sarà confermata, organizzeremo una seconda marcia della Giustizia su Mosca! Vi conviene che sia vivo», scrive a caldo un commentatore su uno dei canali Telegram usati dal gruppo Wagner. Il tono è minaccioso, ma per ora è isolato e suona poco realistico perché, a dispetto delle voci su un piano già pronto in caso di morte del leader, la brigata in questi due mesi è stata depotenziata e tutti gli agganci dentro alle Forze armate sono stati trovati e puniti. Piuttosto le reazioni online dei mercenari russi nelle ore dell’abbattimento dell’aereo del leader Yevgeni Prigozhin sono di altri due tipi. Il primo: sono tutti sicuri che il loro capo sia stato ucciso per ordine del presidente Putin e non accettano spiegazioni alternative. «È stato ammazzato dai traditori della Russia», hanno scritto su Grey Zone, il principale canale di comunicazione della Wagner, rivolgendosi proprio allo Zar e ai suoi. È stata l’antiaerea russa, dicono, ci sono i testimoni, ci sono le immagini, c’è il tracciato radar a provarlo. Non veniteci a dire, scrivono con sarcasmo, che a ucciderlo sono stati i servizi occidentali o magari il generale Budanov (il temuto capo dell’intelligence militare ucraina) «che è salito a bordo, ha tagliato le ali con un seghetto da ferro e poi è saltato via con un paracadute». I musicisti – è il nomignolo che si sono dati i combattenti di Prigozhin – avranno senz’altro notato che al momento della notizia Putin si è fatto riprendere dalle telecamere mentre faceva con calma il suo ingresso a un concerto a Kursk, ma poi è andato via in anticipo.
Il secondo tipo di commento dei mercenari è questo: dovevamo andare fino in fondo il 24 giugno, quando abbiamo marciato su Mosca e poi ci siamo fermati. Chi non fa le cose fino in fondo finisce male e così è stato. Ecco cosa scrive un canale Wagner, lo stesso che diede in esclusiva i dettagli dell’accordo tra Prigozhin e il dittatore bielorusso Lukashenko dopo il tentato golpe: «Che sia di lezione per tutti. È necessario fare le cose fino alla fine. Quelli che pensavano che la rivolta dei musicisti fosse una messinscena, eccovi un bel ciao. Era tutto vero. Lui era il politico più promettente di Russia ma si èspaventato e ha rinunciato. Così ha firmato la propria condanna a morte». Altri ricordano cosa accadde in Donbass nel 2015 e 2016, quando alcuni comandanti dei separatisti furono uccisi in attentati attribuiti ai servizi russi: Putin, si disse, sta facendo piazza pulita dei suoi, perché sono troppo irrequieti e non obbediscono agli ordini. Adesso è lo stesso, commentano: «Se soltanto i servizi russi fossero così efficienti contro il nemico come lo sono con chi cerca di cambiare in meglio le cose».
Un canale Telegram di solito bene informato sul mondo dei servizi dice che Prigozhin, che lunedì era apparso in un video girato sulla pista di un aeroporto militare in Mali, stava tornando in tutta fretta a Mosca per bloccare il piano di Andrey Averyanov, vice dei servizi militari (Gru), che vuole sostituire la Wagner con la creazione di una nuova brigata di 20mila uomini destinata all’Africa. Averyanov viene dall’Unità 29155, che si occupa delle operazioni clandestine dell’intelligence russa come gli avvelenamenti all’estero (vedi la tentata uccisione dell’ex spia Skripal nel Regno Unito con l’agente nervino Novichok). È una speculazione, ma potrebbe essere stato l’uomo giusto per organizzare la fine del capo della Wagner, che due mesi fa era così potente da poter dettare condizioni a Putin.
Ora la decapitazione del gruppo Wagner potrebbe essere la fine delle operazioni dei suoi mercenari russi in Africa e senza indicazioni chiare e immediate gli uomini allo sbando potrebbero non avere altra scelta che farsi assorbire da nuove fazioni – più leali con Putin. Lo stesso Prigozhin aveva già detto che la Bielorussia, che al momento ospita molti mercenari del gruppo in almeno due caserme – ieri sera rimaste senza Internet – era soltanto una tappa temporanea prima del trasferimento nei Paesi africani e quindi non doveva essere considerata un rifugio per sempre. E ieri sera secondo alcune indiscrezioni i mercenari avrebbero cercato di lasciare il Paese in massa. Certo è che il futuro della Wagner nel Sahel e nel resto dell’Africa è al tramonto.
Rosalba Castelletti per Rep
La vendetta plateale pianificata da mesi così Putin si è liberato dell’ex amico ribelle
L’Icaro che osò sfidare il Cremlino alla fine si è davvero bruciato le ali. A due mesi esatti dalla sua abortita marcia su Mosca, Evgenij Prigozhin è morto in volo. Era stato un galeotto nelle carceri di Leningrado, un venditore di hot-dog che si preparava la senape in casa, un “cuoco” che non cucinava ma non disdegnava di servire i potenti a tavola, un manipolatore che scatenava i “troll” sul web all’occorrenza, un avventuriero a capo di mercenari al soldo di autocrati e dittatori, un “macellaio” che non esitava a sbarazzarsi di nemici e traditori a colpi di mazza. L’uomo dalle molte vite è precipitato sotto l’urto delle sue stesse ambizioni. Dopo aver troppo osato, è stato punito come i rivoltosi del passato a cui era stato paragonato, il cosacco Emeljan Pugaciov, decapitato e squartato nel 1775, o il generale disertore Andrej Vlasov, impiccato nel 1946. Il suo jet privato si è schiantato. Abbattuto dalla contraerea o a causa di un attentato. Non ci sono conferme ufficiali e non arriveranno mai. Ma pochi dubitano chedietro alla fatale caduta ci sia la vendetta di Vladimir Putin.
All’indomani del fallito ammutinamento dei mercenari Wagner, con sguardo e parole di fuoco, il presidente russo aveva accusato il suo ex “cuoco” di «pugnalata alle spalle». Di «tradimento». Quello che nel 2019, in un’intervista con ilFinancial Times, aveva definito «il crimine più grande che possa esistere sulla Terra», «il crimine più atroce che si possa immaginare». E i traditori, aveva ripetuto per ben due volte, «devono essere puniti». Ha mantenuto la parola.
Aver concesso la libertà a Prigozhin e ai suoi uomini in cambio dell’esilio in Bielorussia era però parsa una concessione troppo magnanima da parte dell’ex agente del Kgb. Ancor di più l’aver permesso che il “pugnalatore” scorrazzasse liberamente in Russia e, nei giorni scorsi, in Africa. Ma, come aveva detto Ian Bremmer, Prigozhin era soltanto un “morto che cammina”. Putin in realtà aveva preso soltanto tempo. Il tempo necessario per neutralizzare il traditore e i suoi uomini. Aveva dapprima demolito la sua immagine di nemico delle élite corrotte diffondendo video e foto della sua lussuosa villa a San Pietroburgo, nonché dei suoi ridicoli travestimenti. Aveva smantellato uno ad uno i mattoncini del suo impero. Aveva annullato i contratti milionari che aveva concesso alla sua società di cateringConcord e iniziato a trasferire le operazioni in Medio Oriente e in Africa sotto il comando delle forze di sicurezza. I siti online che diffondevano le notizie false a sostegno dell’agenda di Prigozhin erano stati bloccati. La sua “fabbrica dei troll” era stata smantellata. Anche Wagner era stata di fatto dissolta: privata di armi pesanti e i suoi mercenari dispersi, costretti all’esilio in Bielorussia o alla sottomissione al ministero della Difesa.
Ora è stata decapitata. Nel jet precipitato c’era anche Dmitrij Utkin, colonnello in pensione dell’intelligence militare russa Gru. Se Prigozhin era il “generale senza stellette” dei mercenari, Utkin era il primo comandante sul campo. Fu lui nel 2014 a fondare il “Gruppo Wagner” e a dargli il suo nome di battaglia dovuto alle sue simpatie neonaziste. Un omaggio diretto a Hitler e al suo compositore preferito. «È assolutamente un chiaro messaggio a tutte le élite, davvero. A chiunque abbia pensieri sedizioni, sia sul corso dell’operazione militare speciale sia sul tutto in generale», ha commentato la giornalista Ksenia Sobchak. Anche la politologa Tatjana Stanovaja non ha dubbi: «La morte di Prigozhin spaventerà piuttosto che ispirare proteste. Ci saranno risentimento e malcontento, ma nessuna conseguenza politica». Meglio tacere che finire sottoterra o dietro le sbarre. Un mese fa il blogger nazionalista ed ex comandante separatista in Donbass Igor Girkin, nome di battaglia “Strelkov”, “fuciliere”, era stato arrestato con l’accusa di “incitamento all’estremismo”. E proprio ieri era arrivata la conferma della destituzione del generale Sergej Surovikin da comandante in capo delle forze aerospaziali russe e vice comandante del gruppo congiunto delle forze russe in Ucraina con un decreto presidenziale secretato. Per Prigozhin si è preferita un’uscita di scena più spettacolare. «Questo è puro Marquez», ha commentato l’attivista Igor Kochetkov. «Dopotutto Putin avrebbe potuto mandarlo in prigione per sempre nel pieno rispetto delle norme del codice penale riconosciute a livello internazionale. E tutto può succedere in prigione. Ma no, così non è interessante: un traditore devi avvelenarlo o far schiantare il suo aereo». Così come ha creato Prigozhin, Putin lo ha distrutto. E ora ai “musicisti” dell’Orchestra W, come si erano soprannominati sui social, non resta che suonare il Requiem.

Domenico Quirico per La Stampa
Quel complice diventato ingombrante condannato a una fine senza gloria
I morti non parlano. Antica sintesi di saggezza, e di sopravvivenza, che le tirannidi condividono con le associazioni criminaloidi, turpitudini che straripano si può dire dal tempo in cui, tra i due Fiumi, gli uomini alzarono audacemente le mura delle prime città. I morti non parlano. Non hanno tentazioni. Non ricordano. Non gli si estorcono testimonianze, non ricattano e non chiedono ricompense. Il complice è un animale da confessione, adoperabile. Prigozhin non parlerà più. Il caso si sbroglia per sempre. Appunto.
Eugeni Prigozhin ce lo ricorderemo così, nella sua ultima fotografia pubblicata sul profilo Telegram che aveva trasformato in un’arma di guerra. Una foto non a caso “africana’’, vera o finta che fosse: un panorama di deserto, ciuffi di arbusti e una mezzo militare molto sullo sfondo, indecifrabile dal punto di vista geografico; in testa il berretto coloniale, in mano un mitra ultima generazione Kalashnikov, il giubbotto antiproiettile sulla pancia, gli occhi da procione. Nonostante gli arnesi guerrieri, in fondo un vecchietto assai poco temibile e funesto, già: un cuoco in pensione e a caccia di tordi.
«Son cinquanta gradi all’ombra – si lamenta il capo della Wagner (ma lo era ancora?) come un turista in vacanza – ma a noi va bene così, siamo al lavoro, la Wagner rende la Russia più grande e l’Africa più libera». E giù tutti a ciacolare sul ritorno in scena, la rivincita, la nuova in missione nel Niger dei golpisti... e invece, ventiquattro ore. Amen. La contraerea... Sotto tensione per i fastidiosi droni ucraini e pronta a sparare su ogni oggetto volante, forse. Oppure un ordine arrivato da qualche palazzo di Mosca? Una specie di replica dell’enigma Balbo, quadrunviro e governatore libico mitragliato dalla contraerea amica di Tobruck.
Foto vera, quella africana, fotomontaggio, materiale vecchio riciclato per far creder che... Ormai non conta nulla scoprirlo, i trucchi del suo arsenale Telegram non lo hanno salvato dal destino dei complici diventati ingombranti. Un vero avventuriero avanza senza meta e senza calcolo verso un fato ignoto. In fondo un caso esemplare è quello del Figliol prodigo che si avvia verso casa. Ecco qua la piega simbolica nella morte dell’avventuriero Prigozhin mentre si avviava verso San Pietroburgo che è la casa dove stava in agguato un padre, ma diventato assai poco disposto al perdono. Forse per lui non c’era più nessun banchetto da allestire o bue grasso da sacrificare.
Una delle qualità più notevoli della parola avventuriero sta nella sua ampiezza semantica. Un’idea capace di contenere il Figliol Prodigo e Indiana Jones è abbastanza larga per metterci dentro anche un avventuriero in carne e ossa come Prigozhin. «Morire sarà una grandissima avventura» dice Peter Pan altro notevole rappresentante della categoria. Chissà se morire così, in un regolamento di conti con il Padrone, lo è stato per l’ex cuoco del Cremlino, issatosi a imprenditore di un esercito privato, proprietario di miniere, industriale della frottola planetaria e online, agente africano di Mosca. Nell’impero del male putiniano Prigozhin era saltato fuori dall’ampolla come uno spiritello maligno, uno dei tanti, e in origine sembrava una gracile demonietto. Poi iniziò a crescere fino ad agguantare l’intera Africa per la gola.
La sua frustrazione in fondo era che Putin continuava a guardarlo come un pupazzo utile come tanti altri, un genietto sigillato nella bottiglia. Il Prigozhin rispettoso, un po’ volgaruccio, ma umilmente devoto, il mercenario semplice dei mercenari semplici: agire nelle zone d’ombra più spesse, per venti anni, sporcarsi le mani, tu ti arricchisci e io uso la tua banda. Un patto da gangster, in fondo. L’avventuriero di rango era Putin perché si era issato al potere: fuoco e spada, malvagità a ruota libera. All’altro spettava, come è immortalato in una foto del 2011, passargli, standogli umilmente alle spalle, un piatto vestito da cameriere. Tremando in attesa del giudizio sul cuoco. Ecco: ha avuto il suo giorno di gloria, il tentato ammutinamento in presa diretta e poi è stato eliminato dalla scena. Tutto qui. Nel 2011 tutto il grande gioco era solo all’inizio. Lo chef non lo ha capito.
Del suo colpo di stato partito dalla Ucraina e fermatosi sull’autostrada per Mosca si è detto di tutto. E anche questo è molto putiniano: seminare piste che portano ad altre piste all’infinito, confondere le acque spuntare poi alla scena finale per saldare i conti. C’è chi era certo che fosse, nella rivolta, tutto vero e che il micro zar abbia per lunghe ore tremato, dovendo scendere a patti con manutengoli e boiari per restare ancora in sella. Per altri fu poco più che uno sciopero un po’ energico verso il datore di lavoro, per preservare indipendenza e guadagni messi a rischio da progetti di nazionalizzazione della Banda. Per altri una grande messa in scena la cui regia non sarebbe mai sfuggita di mano a Putin, per far venire allo scoperto tiepidi e oppositori. Da chiarire se Prigozhin fosse d’accordo con il Capo o lo abbiano lasciato fare nella ridicola marcia su Mosca con mille uomini.
La perfezione del copione criminale sta nel fatto che tutte queste ipotesi in fondo possono essere egualmente vere. Non si escludono ma si sommano. E che in ogni caso l’unico finale possibile per Prigozhin era essere eliminato.
L’unica cosa su cui si può perder tempo è la definizione del tipo di delitto: vendetta nel caso in cui tutto fosse vero, chiudere la bocca a un complice che poteva, mentre la Russia si apparecchia a una lunga guerra in Ucraina, diventare un testimone pericoloso; o la sponda per qualcuno tentato dall’idea che Putin si avviasse a un non sfolgorante tramonto. La lezione staliniana: colpire a destra e poi pareggiare il conto a sinistra.
Putin ha eliminato alcuni generali forse molesti e poi non restava altro, come in una equazione perfetta, che eliminare anche Prigozhin, l’uomo che i vertici militari odiano forse più che gli ucraini. Tutto quello che è accaduto dal golpe a oggi, la sparizione, le riapparizioni, l’esilio nella colonia bielorussa affidato alla rieducatore locale, il ritorno al Cremlino da chi lo aveva definito “traditore’’: tutto preparava la scena finale: la punizione e la morte.


Stefano Stefanini per La StampaFinalmente sappiamo dov’era Yevgeny Prigozhin. Non in Africa o in Belarus alla guida della trapiantata Wagner. Nella lista passeggeri di un jet privato schiantatosi appena fuori Mosca in rotta per San Pietroburgo. Questa la sollecita informazione dell’Aviazione Civile Russa. L’aveva preceduta, sul canale Zona Grigia di Telegram, collegato a Wagner, la notizia che l’aereo, un Embraer brasiliano velivolo di massima affidabilità, era stato abbattuto dalle difese aeree di Tver a nord di Mosca. La versione ufficiale di un incidente aereo metterà a tacere qualsiasi altra. In Russia almeno.
I russi saranno in realtà gli ultimi a crederci. Faranno finta, come fanno finta di credere a tante cose che gli propina la propaganda del regime. Che del resto non vuole che credano all’incidente. Devono accettarlo, senza discutere se quello sarà il detto del Cremlino, ma devono sapere che la morte di Prigozhin è la punizione per aver sfidato Vladimir Putin. Se fosse incidente, in fondo, è una punizione divina. Se poi aiutata dalle batterie contraeree o da qualche più banale sabotaggio o bomba a bordo, la lezione è la stessa. A bordo c’erano, secondo l’Aviazione Civile Russa, dieci persone, sette passeggeri e tre uomini d’equipaggio. Tanto peggio per loro. Non ci si associa con l’uomo che per il breve spazio di un mattino ha fatto tremare il Cremlino. La loro tragica sorte fa parte della lezione.
Finisce così la parabola di uno degli uomini più brutali e potenti della Russia contemporanea. Potente sì ma che si era creduto abbastanza potente da minacciare il sistema di potere di Vladimir Putin, pur cercando con un acrobatico distinguo fra Presidente, non attaccato direttamente, e la corte dei generali che lo circonda. L’errore di Prigozhin è stato forse di pensare che Putin raccogliesse il messaggio, destituisse l’odiato (da Prigozhin) Ministro della Difesa Shoigu e cavalcasse una rivolta che voleva essere più nazionalista dello Stato putiniano. Ma è su questo Stato asservito e di cortigiani anche sciocchi – basti pensare allo scimmiottatore capo, Dmitry Medvedev – che Vladimir Putin ha costruito il suo potere. In questo sistema non c’è spazio per una scheggia impazzita come Yevgeny Prigozhin.
La sua scomparsa chiude definitivamente la partita che si era aperta con la marcia su Mosca. Quando, su mediazione interessata del dittatorello bielorussso, Aleksandr Lukashenko, latore di inaffidabili garanzie, Prigozhin fece marcia indietro, sembrava che fra Wagner e Cremlino si fosse raggiunto un pareggio. Dopo tutto Wagner fa molto comodo alla Russia, è uno strumento militare intorno all’Ucraina (se adesso aprisse un nuovo fronte da Belarus?), di penetrazione in Africa, di influenza internazionale, di traffici e di arricchimenti illeciti. Ritiratosi in Belarus, Prigozhin aveva lanciato segnali di volersi rimettere in riga, al servizio dei grandi disegni del Cremlino. Troppo tardi. Alla Russia serve ancora Wagner – c’è da temerla specie nel Sahel dove si è radicata – ma senza Prigozhin.
E se domani scoprissimo che c’era un errore nei registri di volo e che Yevgeny Prigozhin non era a bordo dell’Embraer abbattuto(si) a Tver? La lezione è identica: i russi capiranno benissimo il pericolo di chiamarsi Yevgeny Prigozhin. Il cui nome si aggiunge intanto alla lunga scia di morti violente che Vladimir Putin ha lasciato dietro di sé dal momento in cui si è avvicinato al potere, come ci ha ricordato recentemente Michele Valensise commentando il libro di John Sweeney, Killer in the Kremlin. La differenza è che finora la scia passava attraverso figure libertarie di oppositori eroici come Anna Politkovskaya o Boris Nemtsov.
Non confondiamo con loro il brutale mercenario Yevgeny Prigozhin. Ma se tocca anche a lui fare la stessa fine, vuol dire che il regime è arrivato a una critica svolta interna. Forse sceglierà di fargli un funerale di Stato – come vittima di un incidente aereo. Può sempre dare la colpa a un attentato di Kiev. Ma chi ci crederà? —
Michela A. G. Iaccarino per il Fatto
Lo chef è morto
Lo chef è morto. Forse, però, è anche vivo. Evgeny Prigozhin è stato ucciso per le autorità filorusse di Zaporizhzhia e per Rossja 24, prima emittente russa a confermare il decesso del fondatore della Wagner nello schianto del suo jet. L’aereo è stato colpito dall’esercito del Cremlino a nord di Mosca, molto lontano dalla Pietroburgo in cui era nato, proprio come il presidente di cui era diventato il nemico numero uno. Prigozhin è stato colpito tra le nuvole, in cielo, davanti agli occhi del mondo e dei russi, non con le tradizionali operazioni segrete, di avvelenamento o sparizione, predilette dall’intelligence di Putin. Morto in modo spettacolare, colpito da quella Difesa russa che aveva sfidato a giugno scorso, quando aveva deciso “fuori di sé” – per sua stessa ammissione – di marciare verso Mosca. E Mosca non perdona. IL NOME DI PRIGOZHIN, ha informato subito l’agenzia statale aerea Ro s a vi a t si a, era nella lista passeggeri dell’aereo privato Embraer Legacy partito da Mosca, in direzione San Pietroburgo, schiantatosi con una sola ala (pare) poi sui campi verdi dell’insediamento di Kuzhenkino, nella regione di Tver. Gelida, l’agenzia statale Ria Novosti, ha riportato che il “C o m i t at o investigativo russo ha aperto un procedimento penale per violazione delle norme di sicurezza del traffico e del funzionamento del trasporto aereo”.“Tutti i passeggeri sono morti” è stato il primo messaggio diffuso dal ministero delle Emergenze russo, che ha inviato tra le fiamme e i rottami del velivolo i suoi soccorritori. A bordo del jet dieci persone e tra quelle anche Dmitry Utkin, il comandante capo della creatura militare dispiegata dalla Bielorussia all’Africa, ora completamente decapitata della sua leadership. Contravvenendo ad ogni norma basica di sicurezza, i due sarebbero stati sullo stesso aereo. Ora le conseguenze sul ciclopico esercito privato russo sono inimmaginabili, “catas trofiche” anche per il morale delle truppe schierate al fronte, ha scritto il blogger mi Roman Saponkov. Tra i primi a diffondere video dei resti dell’aereo abbattuto Ra-02795, tra la le urla dei residenti e tra le fiamme, è stato il canale Telegram Grey Zone, lo stesso che ha continuato ad informare poco dopo – mentre la notizia scorreva veloce a lettere capitali verso le prime pagine di tutti i giornali – che un secondo aereo- sempre di proprietà dello chef, l’E mbraer numero Ra-02748, volava nel cielo sopra Mosca. “A proposito di Prigozhin, vale la pena aspettare che la nebbia si dissolva”. Scettico sulla notizia della morte del mago dell’intrigo per mano dei signori dei raggiri e complotti anche il consigliere del presidente Zelensky, Mykhailo Podolyak: “Lui aspettava il momento. È ovvio che Prigozhin avesse firmato una speciale condanna a morte”. Nemmeno la Difesa di Londra conferma fino a tarda serata: “S t i amo monitorando attentamente la situazione” dice il brevissimo comunicato dell ’intelligence britannica. Non lo sanno nemmeno alla Casa Bianca se i corpi carbonizzati appartengono davvero a Prigozhin e Utkin, ma se così fosse, “nessuno dovrebbe rimanere sorpreso” ha detto la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Adrienne Watson. Ma nulla accade in Russia, ha dichiarato Biden, “senza che ci sia dietro Putin”. DA VIVO è stato l’unico vero Jocker della storia moderna russa; lo diventa ora ancora più da morto, se dovesse davvero esserlo: in modo rocambolesco, lo stesso in cui ha vissuto, se n’è andato quello che ora i suoi seguaci piangono “come vero eroe di Mosca”, ammazzato per mano “dei traditori”. Il fondatore che si lamentava solo due giorni fa nel suo ultimo video dei 50 gradi di temperatura in Africa – senza specifici dettagli sul luogo, ma in una delle Afriche conquistate dai suoi mercenari a forza di esecuzioni sommarie e violazioni brutali dei diritti umani- forse ora sa pure quanto caldo fa all’inferno. Lo sa secondo Grey Zone: “Anche lì sarà il migliore”
Gian Micalessin per il Giornale
L’esecuzione e la farsa: scompare l’ex cuoco che ha tradito Putin credendosi intoccabile
P unito e abbattuto a due mesi esatti dalla tentata marcia su Mosca o protagonista dell’ennesimo surreale gioco di ruolo? Una cosa è certa: quando c’è di mezzo Yevgeny Prigozhin le verità non sono mai tali. Quindi, benché sia i suoi sia le autorità di Mosca lo abbiano dato  per morto, le voci secondo cui lui e il comandante militare della Wagner Dimitri Utkin fossero a bordo di un secondo jet atterrato all’aeroporto di Mosca sono continuate per ore. Sarebbe stata solo l’ennesima surreale piroetta di un uomo creato da Vladimir Putin per gestire prima le guerre segrete sulla rete e poi quelle, più reali e sanguinose, combattute dalla Russia oltre i propri confini. Un ruolo in cui Prigozhin ha progressivamente perso il senso della realtà pensando di potersi opporre e rivoltare contro il proprio demiurgo. A generare la confusione fatale di un ex-ristoratore trasformato in apprendista condottiero hanno contribuito probabilmente gli orrori del campo di battaglia di Bakhmut. Lì l’ex-cuoco di Putin si era illuso di aver forgiato la propria metamorfosi.
Ma se è facile gestire decine di «troll» sugli effimeri sentieri di internet e social ben più difficile è vivere nel cuore di una battaglia tra cumuli di morti ed esplosioni delle granate. Come un qualsiasi soldato sopravvissuto troppe volte al fuoco nemico Prigozhin si è illuso di esser non solo immune dai pericoli, ma anche dal controllo di chi lo manovrava. Come un burattino in fuga dai propri fili Prigozhin ha scordato un passato da ladruncolo di appartamenti a Pietroburgo seguito dopo la scarcerazione dal riscatto – commerciale sociale e militare – garantitogli da Vladimir Putin. Dopo la ristorazione dei potenti e le guerre su internet erano arrivate quelle, meglio pagate, in un’Africa e in un Medioriente ritornati nel collimatore di Mosca. In Siria l’incarico era semplice. Gli uomini di Prigozhin reclutati tra le ex-forze speciali dell’intelligence militare dovevano condurre la guerra e morire al posto dei soldati veri evocando il miraggio di una guerra priva di caduti e di sofferenze. Ma come succedeva con l’americana Black Water in Iraq armi, soldi e dotazioni provenivano, alla fine, sempre dallo stesso quartier generale. I successi siriani accompagnati dalla morte – ammessa recentemente – di molte migliaia di mercenari sono stati il trampolino per l’Africa.
Prima la Libia dove bisognava garantire le concessioni petrolifere concordate a suo tempo con il colonnello Gheddafi, poi la Repubblica Centrafricana e il Mali dove gli uomini della Wagner fermavano nemici interni e fondamentalisti in cambio di materie prime. Infine l’Ucraina. Prigozhin ci arriva nella primavera del 2022 quando riceve l’incarico di lanciare la prima offensiva su Popashne, Severodenetsk e Lisychansk. Subito dopo è la volta della missione fatale assegnatagli con la mediazione di Sergei Surovikin, il generale «apocalisse» sostenitore dei wagneristi fin da quando comandava le operazioni in Siria. Surovikin nominato ad ottobre comandante delle operazioni in Ucraina (e guarda caso estromesso proprio ieri dal comando delle forze aerospaziali) affida a Prigozhin l’operazione «tritacarne» ovvero l’ assedio della strategicamente inutile Bakhmut al solo scopo di tener impegnate le forze ucraine. Mentre Volodymyr Zelensky cade nel tranello sacrificando i propri uomini nell’inutile difesa i russi preparano la triplice linea di difesa su cui si sta schiantando la controffensiva di Kiev.
Ma nell’orrore di Bakhmut anche Prigozhin perde la trebisonda. Si convince di essere il principale protagonista dei giochi militari del Cremlino e di potersi sostituire a Sergei Shoigu, il ministro della Difesa al fianco di Putin da oltre vent’anni. L’allucinazione finale, inseguita subito dopo la presa di Bakhmut, è la convinzione di potersi ribellare a chi l’ha creato arricchito e armato. Poteva forse salvarsi con l’esilio in Bielorussia. Invece è tornato a giocare le sue carte lanciando un video in cui annunciava il ritorno sui fronti africani. Ma il suo tempo era già scaduto. E ieri, a due mesi esatti dalla tentata marcia su Mosca, gli è stato ricordato che il tradimento si paga con la morte.
Luigi Guelpa per il Giornale
Si schianta l’aereo del gruppo Wagner «Prighozin a bordo Ucciso dai russi»
«Prigozhin? È un bastardo. Ma è il nostro bastardo», diceva un anno fa con una punta di orgoglio il generale Surovikin nel corso di un’intervista concessa a un quotidiano. Da ieri l’uomo della tentata marcia su Mosca del 23 giugno scorso, proprio appoggiato da Surovikin (agli arresti domiciliari), non c’è più. Il jet Embraer Legacy 600, con numero di coda RA-02795, sul quale viaggiava è stato abbattuto e si è schiantato tra Mosca e San Pietroburgo. Con lui sono morte altre nove persone (6 passeggeri e 3 membri dell’equipaggio), tra cui il suo braccio destro Dmitry Utkin. L’agenzia federale russa del trasporto aereo in una nota ha riferito che verrà avviata un’indagine ma è quasi impossibile non accostare la morte, o presunta tale, del fondatore della Wagner al tradimento perpetrato nei confronti di Putin. L’aereo, di proprietà di Prigozhin, era partito dall’aeroporto Sheremetyevo di Kimki, con direzione San Pietroburgo, ed è stato colpito e abbattuto verso le 9 di mattina, ma la notizia è stata diffusa soltanto nel tardo pomeriggio. Testimoni parlano di due forti esplosioni che avrebbero provocato un cedimento strutturale del velivolo. La zona dello schianto è il villaggio di Kuzhenkino, nella regione di Tver (180 km a nord della capitale). «Stiamo definendo i dettagli dell’incidente – si legge in una nota diffusa dal governatore di Tver Igor Rudenya – ma è difficile fare delle valutazioni. La zona è boschiva e i rottami sono disseminati in un’area piuttosto vasta». I canali su Telegram della Wagner hanno per primi rivelato la morte del loro leader («ucciso dai traditori», «la morte avrà conseguenze disastrose»). Più tardi anche le autorità russe, l’agenzia per il trasporto aereo, e poi le televisioni pubbliche hanno confermato il decesso. Ovviamente quando c’è di mezzo la Russia il giallo diventa il filo conduttore di qualsiasi storia. Perché il racconto dai media vicini al Cremlino potrebbe non corrispondere totalmente alla verità. Quanto all’elenco dei passeggeri potrebbe non corrispondere alla lista ufficiale. Per ore Kiev ha parlato addirittura di «lista ricompilata a tavolino per far apparire Prigozhin tra i deceduti». Fonti tra gli 007 ucraini si sono detti sicuri che il capo della Wagner fosse in Africa, dove aveva postato un video su Telegram a inizio settimana. Tant’è che l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, uno degli oppositori del regime di Putin, si era detto pronto a scommettere che la morte di Prigozhin «non è altro che una messa in scena. Putin ha inscenato la sua morte per averlo a disposizione in Africa, lontano dai riflettori dei media. Prigozhin pensa al suo conto in banca, e Putin a portare tutta l’Africa sotto la sua influenza». Frammentarie notizie serali parlavano di un secondo jet Embraer 600, con numero di coda RA-02795, che apparteneva a Prigozhin, atterrato all’aeroporto di Ostafyevo, vicino a Mosca, attorno alle 22. Secondo un canale Telegram del gruppo Wagner non ci sarebbero dati esatti su quale dei due aerei fosse realmente a bordo l’oligarca. Di certo l’Embraer era inserito nella lista delle sanzioni redatta dagli Stati Uniti e il capo dei miliziani lo aveva utilizzato per volare in Bielorussia dopo la tentata marcia per la libertà su Mosca. In tarda serata, però Yegveny Balitsk, il governatore della parte di Zaporizhzhia controllata dai russi, ha tagliato corto: «Prigozhin ormai è storia passata». La Casa Bianca in un primo tempo era rimasta prudente: la morte di Prigozhin, diceva un alto funzionario, «non sarebbe una sorpresa per nessuno». Nella tarda serata diversi media russi hanno diffuso le immagini della sede della Wagner di San Pietroburgo: le luci accese degli uffici formavano una croce a simboleggiare il lutto per la morte di Prigozhin e Utkin. Alcune agenzie, invece davano la notizia di uomini in fuga dai campi della milizia in Bielorussia.