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 2023  agosto 24 Giovedì calendario

Intervista a Carlo Pellegatti

Carlo Pellegatti, icona per i milanisti e padre della generazione dei telecronisti tifosi, quando si è celebrato il suo battesimo a San Siro?
«Il 7 ottobre del 1956, avevo sei anni. Milan 3-Napoli 5, era la squadra di Schiaffino e Buffon. Ma il ricordo più vivido da bambino è legato all’invasione di campo dopo Milan-Udinese del ‘59 per festeggiare il settimo scudetto della storia».
Chi le ha trasmesso la passione che ha segnato la sua vita?
«Mio papà Gianni, che era un rappresentante di mobili. Ricordo ancora il profumo di teak e palissandro dei soprammobili che erano di moda. Come nelle prime pagine dell’Ombra del Vento di Zafòn, quando il piccolo Daniel dopo la scomparsa della madre si sveglia da un incubo dicendo “Non mi ricordo più il viso della mamma”, io nutro un altro dispiacere. Non avere alcuna memoria degli abbracci con papà».

Che tipo di famiglia è stata la sua?
«Non eravamo ricchi ma c’erano piccoli lussi che ci potevamo permettere in quei primi anni Sessanta. Ogni sabato, dopo il cinema in centro, andavamo da Peck. Mio padre è mancato un venerdì di fine dicembre del 1975. I miei amici per scuotermi dal dolore mi convinsero ad andare a vedere il Milan con loro. Il 4 gennaio del 1976 vincemmo a Como 4-1, fu il primo successo senza mio papà».
Anche sua mamma vi seguiva nelle vostre trasferte?
«No, Alda poche volte è stata con noi allo stadio, ci aspettava a casa preparando una cioccolata calda. Lei è stata cantante lirica, si è esibita a Regio di Parma e ha smesso quando sono nato io».
Dove nasce il suo eloquio forbito?
«Studi al liceo classico Manzoni, poi laurea in Scienze Politiche. Prima di iniziare la carriera giornalistica ero assunto in un’azienda di spedizioni internazionali. Conosco bene il tedesco perché partecipavo alla fiera di Dusseldorf».
Quando incrocia il microfono per la prima volta?
«Era il 1981 e Video Delta aveva acquistato i diritti per le telecronache in differita del Milan. Mi proposi e mi presero per le partite in casa. Sa chi raccontava le gare dei rossoneri in trasferta? Nicolò Carosio».
Poi?
«Trascorsa la stagione con il Milan in B, che ho seguito da tifoso, mi sono proposto a Radio Panda che mi pagava 20 mila lire a radiocronaca: suggerii di versarmi l’intero importo a fine campionato così che mi sembrasse una paga superiore. E poi a Radio Peter Flowers: la leggenda narra che all’epoca Silvio Berlusconi chiedesse di abbassare il volume della telecronaca classica per sovrapporre la mia voce».
Quando arrivano i primi riconoscimenti?
«Nel 1985 quando inizio a lavorare per la mitica “Qui studio a voi stadio” su Telelombardia e la trasmissione vince il Telegatto».
Quando avviene il passaggio a Mediaset?
«Nel 1991 con un contratto di collaborazione, ma a Marino Bartoletti chiesi di poter continuare con le radiocronache. Nell’estate del ‘92 ho avuto con colloquio con Adriano Galliani, all’epoca ad di Mediaset».
Il primo soprannome che ha dato?
«Collo d’acciaio a Mark Hateley».
È vero che fu Silvio Berlusconi a volerla nella sua tv?
«A lui devo tanto. Ogni volta in cui ci incontravamo ci veniva naturale abbracciarci. Nel 2007, dopo la vittoria nella finale di Yokohama, Sandro Piccinini lo invitò a Controcampo e lui disse: “Carlo Pellegatti è un valore aggiunto per il Milan”».
Era un editore presente anche nel quotidiano?
«Prima dell’impegno in politica si informava su tutto. Per darle l’idea: bordocampo nell’amichevole fra la squadra all’epoca diretta da Capello e il Modena di Frosio. Poiché quest’ultimo era gentilmente prodigo di spiegazioni, mi ero dilungato nella lettura tattica della partita degli avversari. All’intervallo la regia mi riferisce della telefonata del presidente: “Avvisate Pellegatti che ai telespettatori non interessa del Modena”».
Ha mai ricevuto richieste strane dai giocatori?
«I desiderata di George Weah non hanno eguali. Prima aveva iniziato pregandomi di creare dei Vhs con le sue partite e di inserire al momento dei suoi gol la mia radiocronaca con la musica di Bob Marley. Ma fin lì era una pretesa accettabile».
E poi?
«Un giorno arrivò con un borsone a Milanello. “Carlos, cassetta”. Dentro c’erano 60 Vhs che riproducevano le gare dell’Invincible Eleven e del Tonnerre Yaoundè, le prime squadre in cui aveva giocato. Giocatori sconosciuti, numeri di maglia invisibili. Mi chiese di fare la stessa opera».
E lo fece?
«Certo, poi lo scorso anno durante il derby suona il telefono. Guardo il cellulare, era George. Mi invitava a Monrovia per la festa dei 200 anni della Liberia”».
Da boomer a zoomer. Ora ha un canale Youtube.
«Sono stato fra i primi, adesso mi hanno copiato in tanti. Ho 1,8 milioni di contatti al mese, con tre video al giorno. Peraltro nel contenuto che posto la mattina, oltre alle notizie di calciomercato, leggo due pagine di Novecento di Baricco».
La parete ricoperta di foto dei suoi cavalli tradisce l’altro amore della sua vita.
«Mi appassiono all’ippica a fine liceo. Andavo a vedere il trotto tenendo 100 lire per il viaggio di ritorno in tram. La prima cavalla è stata Afodite, senza la r, presa nel 1979. Non partiva mai, quando lo faceva buttava giù il fantino, e andava sempre dritto senza curvare. Da allora ho sempre avuto un cavallo da corsa».
Lo sport praticato però è un altro?
«Il tennis, ho vinto una cinquantina di coppe. Prima le tenevo tutte in camera, dopo il matrimonio Antonella le ha spedite in solaio».
Sua moglie come vive questo suo entusiasmo fanciullesco?
«Guardi qui ho tutti i Forza Milan dal 1963, una collezione di biglietti, abbonamenti e memorabilia del Milan. Ho 300 cassette betacam dei miei film preferiti e dei video musicali. È sempre stata collaborativa. Ci siamo sposati nel 1992 nella chiesa di San Carlo in corso Vittorio Emanuele. Al momento del “Vuoi tu..?” è svenuta, e faticosamente abbiamo portato a termine la cerimonia. Ci siamo sposati di giovedì, eh».
E il viaggio di nozze?
«A Udine la domenica successiva per un bel 0-0».